• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Tempo Libero > Recensioni > Siamo buggerati anche da magistrati e sindacati?

Siamo buggerati anche da magistrati e sindacati?

"In Italia l’unica vera rivoluzione sarebbe una legge uguale per tutti" (Ennio Flaiano).

Siamo buggerati anche da magistrati e sindacati?

Stefano Livadiotti è il giornalista de L’espresso che racconta i privilegi di due caste molto trascurate dall’opinione pubblica: nei suoi scritti si parla spesso di magistrati e sindacati.

Nel libro “Magistrati. L’ultracasta” (Bompiani, 2009), emerge un quadro di privilegi che nemmeno le mogli e le amanti dei politici hanno mai immaginato: “Le nostre toghe hanno le paghe più alte di tutta l’Europa continentale, possono arrotondare lo stipendio con lavori extra, incassano pensioni d’oro, sono protette da una scala mobile tagliata su misura, e quanto a ferie sono secondi solo ai pargoli dell’asilo: 51 giorni ogni 12 mesi… dietro il paravento di esami fasulli (con il record mondiale di promossi: il 99,6 per cento), hanno visto crescere il loro status, e il loro stipendio, con il solo scorrere del tempo, in base alla semplice anzianità professionale. Un sistema grazie al quale il 67 per cento di loro, ha un ruolo superiore alla funzione che esercita” (p. 18).

Inoltre le cause civili promosse dai magistrati hanno delle corsie preferenziali: sono più veloci e ottengono rimborsi più sostanziosi. “I magistrati, insomma, sono più uguali degli altri” e sono abilissimi nel negoziare con i politici. Sui “provvedimenti legislativi che sono chiamati ad applicare ci sono le loro impronte (da parlamentari). E alla guida della macchina che dovrebbe fare funzionare i tribunali ci sono anche loro: i 91 magistrati dati in prestito al dicastero della giustizia ne controllano tutti gli snodi fondamentali, tenendo praticamente in ostaggio quello che risulta solo un ministro dimezzato” (p. 20; Giuseppe Di Federico p. 55). Perciò, questo stato nello stato, sventolando il sacrosanto vessillo dell’indipendenza e “facendo leva sull’immagine dei tanti magistrati eroi che alla missione hanno sacrificato la vita, è riuscito a blindare la cittadella della giustizia, conquistando per i propri associati un carnevale di privilegi e bandendo ogni forma di meritocrazia”. L’Italia spende per la giustizia come gli altri paesi, ma la spesa finisce quasi tutta in stipendi, “il cui costo è cresciuto del 26 per cento in cinque anni” (p. 63).

Così la giustizia è precipitata a livelli da terzo mondo: siamo arrivati a un gradino sotto il Gabon nelle classifiche internazionali con 9 milioni di processi da terminare. E i giudici continuano a lamentarsi delle ingerenze politiche e diventano i protagonisti supervalutati della scena televisiva. La responsabilità della malagiustizia non è dovuta soltanto al sistema burocratico: a Torino e a Bolzano ci sono procure che lavorano dignitosamente mentre nel resto d’Italia solo il 30 per cento delle cause sfociano nella sentenza finale. Infatti la gestione del personale è decisiva: i rinvii sono spesso causati dall’assenza del giudice titolare e all’omessa “ o irregolare notifica di atti all’imputato o alla parte offesa, per gli avvisi non controllati in tempo, gli indirizzi sbagliati e gli errori di persona” (p. 32).

Nei procedimenti civili le cose vanno scandalosamente peggio, con gravi conseguenze sulla sicurezza e sullo sviluppo dell’economia: “Negli anni 2000-2005 l’Italia ha intercettato solo il 4,2 per cento degli investimenti esteri in entrata nell’Unione Europea, meno di un terzo di quelli arrivati in Germania, Gran Bretagna e Francia e poco più della metà delle somme andate a Olanda e Spagna” (Svimez.it). E i peggiori criminali, truffatori e maneggioni del mondo hanno eletto l’Italia a loro paradiso personale. Non a caso l’Italia è la primatista europea nelle condanne della Corte Europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo e i dati della disorganizzazione manageriale della giustizia sono consultabili nel sito dell’European Commission for the Efficiency of Justice (Cepej).

Sempre Livadiotti ha descritto la casta dei sindacati nel libro “L’altra casta”, un’inchiesta che svela i privilegi e i fatturati da multinazionale di queste organizzazioni senza scopo di lucro (2008).

In questa pubblicazione ci sono alcune considerazioni molto significative: “Secondo i calcoli dell’ex Cgil Giuliano Cazzola, se si sommano ai pensionati i lavoratori dell’amministrazione statale, dei trasporti, dell’energia e delle telecomunicazioni, il 70 per cento degli iscritti a corso d’Italia è a libro paga dello stato. Il mercato, insomma l’ha visto solo in cartolina. Un dato che da solo basta a spiegare il forte istinto conservatore delle tre confederazioni” (p. 17). Quindi le generazioni più giovani non si sentono rappresentate: ci sono pochissimi giovani ai vertici delle confederazioni, l’organizzazione è troppo burocratica e i rapporti con il mondo del lavoro atipico sono troppo scarsi. E si è addirittura arrivati a taroccare il conteggio dei numeri degli iscritti per ottenere più visibilità mediatica e più potere ai tavoli delle trattative (L’Espresso, 11 febbraio 2010).

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares