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Sesso e disabilità: misteri di un tabù nel 21simo secolo

Deve essere un periodo un po' così… Pochi giorni fa ho letto di un incontro pubblico organizzato da una cooperativa sociale dal titolo "Sessualità e disabilità". In questi giorni sul Corriere.it trovo due articoli (qui e qui) sul sesso dei disabili. Altrove, non ricordo dove, ho letto di sfuggita qualcosa sulla sfera sessuale dei disabili. Ora pare ci sia la smania di parlare di sesso e sessualità in un paese come il nostro dove su questi argomenti pesano come macigni molti tabù.

Diverse cose mi hanno colpito ma c'è un particolare refrain mascherato in questa domanda che si ripercuote non solo nei post ma anche nei ricordi di colloqui o situazioni con persone "normodotate": i disabili fanno sesso?

La risposta dovrebbe essere scontata ma evidentemente non lo è.

Questo dubbio atavico che assilla molte persone, almeno tra quelli "addetti ai lavori", quelli cioè che frequentano nel bene e nel male il mondo della disabilità, comunque parte da un concetto culturale di fondo: la disabilità ha marchiato per anni il segno meno sulla fronte dei suoi "involontari" appartenenti pertanto certe aspetti della vita che per una persona "normodotata" sono banali, automatici e scontati, non possono essere visti alla stessa maniera quando parliamo dei disabili.

Se poi l'aspetto riveste la sfera sessuale, apriti cielo. I disabili non possono fare sesso? Se sono sordi, cieci, paraplegici, tetraplegici, malati di distrofia muscolare, ecc ecc ma hanno l'apparato sessuale integro, non possono fare sesso?

Ma soprattutto, elevandoci in un piano più elevato da quello materiale, quello dei sentimenti, non possono innamorarsi? Non possono avere una vita affettiva normale? Non possono provare sentimenti? Ma perché mai? Un disabile mentale che soffre di sdoppiamento della personalità o di disfunzioni varie o un Down sono così ritardati (per passare un termine così in voga) da non poter far scoccare quella scintilla che scatena sentimenti così profondi come l'amore? Se un sordo e una udente sono insieme, la prima domanda che mi sento dire: "Ma come fanno a comunicare?". Rabbrividisco.

Sinceramente mi ci perdo. Non riesco a capire come si possa ragionare in questo modo. Non riesco a immaginare nemmeno un colloquio con una persona che ragiona così. Forse perché faccio parte di quel mondo e certe cose mi paiono scontate.

Ricordo una persona che mi disse una infelice ma benevola battuta indirizzata ad una coppia formata da un cieco e da una ragazza, non proprio bella ma nemmeno brutta: "Beh, lui non la vede…". Io gli risposi: "No, no, lui l'ha vista molto bene, forse la conosce meglio di te e sta godendo appieno la loro storia". Ma finché rimaniamo nella benevolenza e nella pura goliardata, ci si può pure passare sopra. Quando ci scontriamo con la convizione che le cose siano così, però, sono dolori.

Ho constatato spesso una certa chiusura mentale nel dare significati a verbi più ampi come sentire o vedere. Un cieco non può vedere, un sordo non può sentire. Stop, fine della favola. Quindi ci sono dei limiti, non c'è nulla da fare. A nessuno passa per la testa che è tutto relativo. Un cieco toccando gli oggetti e le persone possono costruirsi un immagine che "vedono" nel cervello, un sordo usando gli occhi e la sensibilità alle vibrazioni possono "sentire", forse anche meglio di un udente.

Mi piacerebbe incontrare queste persone che si meravigliano di questi aspetti "strani" dei disabili e discuterne con loro, anche solo per capire su quali basi si fondano questo "credo". Questo mantra continuo che porta a vedere i disabili come degli UFO provenienti da un altro mondo infastidisce oltre misura. Vorrei capire da dove provengono questi pregiudizi che ingigantiscono le diversità a tal punto da farli guardare con sospetto in ogni cosa che fanno.

Ho seguito il link di un blog segnalato da uno dei due articoli del Corriere della Sera: è stato creato da una coppia francese, Isa Flower e Staral Street (due pseudonimi), che raccontano quotidianamente, anche con l'ausilio di immagini dei loro rapporti, il loro punto di vista della sessualità e del sesso. Da una parte mi fanno tenerezza, dall'altra li ammiro per il coraggio nelle loro provocazioni. Sorrido però al vedere una didascalia in un video di un servizio creato da France 2 "Sexe amour et handicap" : "couple mixte", "coppia mista". Che significa coppia mista? Se ragioniamo con il concetto delle etichette ("tu disabile, io normodotato"), è vero: è una coppia mista. Ma all'atto pratico, lo è veramente? È necessario rimarcare questa differenza? Personalmente trovo fastidioso considerare coppia mista quando le due persone appartengono a razze diverse, figuriamoci in questa circostanza.

È evidente che sia un problema culturale, è altrettanto evidente come la società al giorno d'oggi segua dei miti e dei valori che vanno in direzione contraria all'apertura verso l'altro, alla vera accoglienza, alla valorizzazione delle potenzialità che qualunque uomo può dare al servizio degli altri, in quanto Io ma soprattutto in quanto parte di Noi. Quando smetteremo di pensare individualmente come un confronto di chi ha più o di chi a meno e finalmente penseremo a un Noi condiviso? Quando finirà questo vizio di appioppare delle etichette come un marchio sulla pelle di chiunque sia diverso? Quando riusciremo ad allargare il concetto di accoglienza e di apertura verso l'altro?

Ai poster l'ardua sentenza.

Credits foto: www.portalegiovanimugello.it

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