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Senza Expo

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Con l'apertura ufficiale dell'Expo, abbiamo avuto la conferma che i riflettori puntati sul capoluogo lombardo trasformano l'atmosfera dei grandi eventi in una sorta di palinsesto. Una città "palcoscenico" viene raccontata come un qualsiasi manuale d'uso.
Un manuale dove poter scorgere e far declinare - man mano - la scaletta dei vizi e virtù , ansie e speranze nostrane: dall'eccessiva enfasi con cui si è caricato l'evento (visto come nuovo - possibile- volano dell'economia!); all'allarme corruzione, documentato e gravoso, ma pur sempre effetto del sistema italiano, e non sua causa. Quasi come se quest'inversione di termini ci suggerisca, dopo aver verniciato di legalità - con qualche nomina- gli scandali di appalti truccati, la possibilità effettiva di sradicare e bonificare per magia uno dei mali endogeni che colpisce l’Italia.

 Qualsiasi notizia di cronaca - anche l'aggressione di un mitomane in tribunale o attacchi terroristici in Libia- viene letta in funzione della sicurezza di Milano, e quindi della riuscita dell'Expo, dell'Italia. Perché, si pensa, che ormai un Paese in recessione e in crisi (anche di identità), lega indissolubilmente il proprio futuro di rinascita ad eventi del genere.

Si potrebbe quindi soffermare sui dettagli e contorni, sui (non) ringraziamenti del Premier Renzi , per fare analisi politiche sui "giochi" di palazzo. O si potrebbe anche andare in merito, sui contenuti e scoverchiare la consueta ipocrisia che caratterizza eventi del genere: l'ipocrisia secondo cui, a parlare di cibo e di povertà nel mondo, sono sempre i più ricchi. La beffarda constatazione che nobili discussioni sulla biodiversità e la conservazione delle tradizioni culinarie sono sponsorizzate da "Coca Cola" e "Mac Donald". E certamente l'Expo, si può criticate e boicottare. E lo si può fare partendo dalla voce dei cittadini, quelli che si lamentano perché, causa della nuova fermata di San Siro (lilla, M5) hanno soppresso il bus 62.

 Quegli stessi cittadini, insomma, che vedono surclassati in termini di servizi, dalle esigenze destinate all'Expo. In una città dove anche l’Università si vede trasformta in una sorta di Luna Park per turisti. Ma sarebbe in parte limitativo. Quello che è successo ieri andrebbe visto sotto altra lente, non come la continuazione del copione. Della scaletta.

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Non in modo semplicistico, o - peggio- enfatico. Non bisogna sputare subito l’opinionismo sociologico, offrendo sottotitolo alle sequenze delle immagine di chi sfascia, distrugge senza motivo: perché significherebbe rimanere ancora intrappolati nel palinsesto. Voler trovare una risposta facile, spendibile al pubblico. Ha ragione Fabrizio Gatti quando, sulle colonne dell’Espresso, parla di Fascismo: non solo perché le violenze di oggi, sono organizzate, militarizzate, coordinate. Studiate nei minimi dettagli per creare scompiglio. Difatti prima, si sono infiltrati il giorno precedemte agli scontri, tra la folla, per studiare il percorso, e poi oggi, hanno dato l’ordine, partendo da via De Amicis, continuando a Carducci, proseguendo per Leopardi fino a Cadorna, ad attacacre vetrine, banche. poste e autovetture. Tutto coordinato e preparato nei dettagli. Tutto ciò che abbiamo visto sui notiziari.

Tuttavia, questo è fascismo essenzialmente per un altro motivo: perché quel rumore ha la funzione di silenziare tutto il resto. Qualsiasi alternativa. Di tacciare chiunque, voleva e poteva scrivere una nuova alternativa politica all’Expo. Allora, l’icona da spettacolo, che costruisce il palinsesto dei nostri media, andrebbe letta al negativo: partendo da tutto ciò che ci ha tolto.

Hanno tolto la voce ai lavoratori che, proprio ieri primo maggio, in zona Duomo, hanno manifestato – pacificamente e in modo naturale per il diritto a lavoro. Per quelle garanzie che sempre di più vengono usurpate, facendo apparire questa simbologia e rituale come qualcosa di datato, quasi atavico, espressione di una nostalgia di un epoca irrecuperabile. 

Qundo queste pagine vengono cancellate, e non appartengono più al “canone” dell palinstesto in questione, allora già è fascismo. Ecco che i nuovi fascisti allora fanno un grande favore a chi vuole – tra il governo- radicalizzare l’alternativa. Mostrare che o si sceglie il governo o si è con loro. Togliendo la parola a chi voleva ripensare quei temi sostenibilità, innovazioni alimentare, difesa dei prodotti locali, disuguaglienze; partendo da una una nuova e diversa prospettiva: che non ha rappresentanza.

Una rappresentanza che non può avere il nome di un padiglione. Perciò i “fascisti” dei black bloc, sono l’altra faccia, macabra, putrida, orripilante della sottocultura da vetrina che ha genrato ansie per l’Expo, la stessa sottocultura testimoniata dal selfie della ragazza che si fa immortalare davanti all’auto bruciata.
Non bisogna opporre un #no all’expo, ma ripensare - quei temi necessari- senza l’expo, da una nuova prospettiva. Forse, troppo utopistico per una realtà che scorre in 140 caratteri. 

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