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Sei Nazioni: Italia-Galles, sugli spalti lo striscione “Jemo ‘nnanzi”

Uno striscione bianco rosso e verde di 25 metri, con scritto Jemo ‘nnanzi. Così il rugby torna ad essere simbolo di un messaggio di rinascita post-sisma dell’Aquila. Stavolta in uno scenario di eccezione: la partita del Sei Nazioni, Italia-Galles sotto la pioggia dello stadio olimpico di Roma. Poco importa che la partita si è trasformata in una vera e propria doccia fredda per i XV azzurri che sono tornati alla dura realtà dopo le belle sensazioni dell’esordio contro la Francia.

Una partita fredda, a ritmi spenti che ha premiato gli ospiti, grazie alla buona predilezione dei trequarti: 9-26 il risultato finale grazie anche a una mischia trascinata da Adam Jones e Gethin Jenkins. Ma alla fine, questo match rappresenta per gli occhi aquilani, un’altra occasione per dire che vale sempre la pena combattere.

Di seguito, una riflessione sul rugby, il terremoto e l’identità perduta - di Fabio Iuliano 

«Il rugby è uno sport brutale nella sua chiarezza: se non sei disposto a batterti, perdi». Le parole di Massimo Mascioletti, autentica gloria cittadina della palla ovale, acquistano ancora più senso nel contesto delicato nel quale il capoluogo abruzzese e la sua squadra di rugby devono confrontarsi da quella notte del 6 aprile 2009. Trenta secondi di terremoto hanno cancellato secoli di storia, provocando 308 vittime (309 se si conta la piccola Giorgia che sarebbe dovuta nascere proprio il giorno successivo). Tra di loro anche Lorenzo Sebastiani, giovane promessa della palla ovale. Da quella notte, in cui L’Aquila Rugby ha detto addio alla maglia numero 1 – che resterà per sempre sulle spalle di Lorenzo – sono passati quasi due anni. Da quando il suo nome è comparso tra gli elenchi delle vittime, il cuore del rugby cittadino si è fermato.

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Ma l’impegno e la determinazione dei ragazzi neroverdi non hanno vacillato neanche un istante dopo la scossa. Così, in tanti tra i giocatori si sono attivati, in particolare per l’evacuazione dell’ospedale San Salvatore, a cominciare dal reparto di ortopedia. A chiamare i ragazzi è stato lo stesso Mascioletti. «Mia moglie è infermiera, sono subito corso in ospedale», ha raccontato l’ex ct azzurro, «e ho avvertito alcuni giocatori. È stata dura lavorare mentre iniziavano ad arrivare i morti. È stato un dramma, ma non ci siamo fermati, qualcuno dei miei è andato in centro a scavare fra la macerie, anche con le mani». Tra le vie di quella che da lì a poco sarebbe stata contrassegnata come «zona rossa», c’era l’ex giocatore neroverde, Dario Pallotta, ancora in forza all’Aquila all’epoca. Attirato dalle grida, in uno dei vicoli del centro, Pallotta è entrato in una casa semidistrutta con lo stesso vigore di quando ci si butta in una mischia e, scavando anche con le mani, ha salvato due anziani caricandoseli sulle spalle.

Dopo le prime due settimane di smarrimento, i neroverdi sono tornati ad allenarsi per continuare il campionato: a differenza dei colleghi dell’Aquila Calcio, capitan Maurizio Zaffiri e compagni hanno scelto di andare fino in fondo e non chiedere una promozione d’ufficio, che pure era dovuta. Così, L’Aquila ha lambito il sogno di una promozione insperata, scrivendo comunque una delle pagine più belle della storia sportiva recente. L’ultimo atto della stagione regolare del campionato di serie A si è giocato sulla costa, davanti agli sfollati. Poi la doppia semifinale a Roma contro la Lazio, per arrivare alla finale contro il Prato. Un sogno che si è infranto solo nei tempi supplementari.

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Poi, in un bel giorno di estate, le porte del campionato di Eccellenza si sono spalancate grazie ad un ripescaggio, facilitato dalla mancata iscrizione dell’Almaviva Capitolina. Così, neanche il tempo di tirare il fiato per la pausa estiva, la società aquilana si è trovata a gestire un impegnativo passaggio di categoria, preparando il campionato senza disporre di un campo di allenamento in città, perché sull’erba dello stadio di Acquasanta c’erano ancora le tende degli sfollati. Questo, tuttavia, non ha scoraggiato più di tanto giocatori e tecnici, anche se il fatto di dover vagabondare per gli impianti in tutta la provincia ha avuto delle ripercussioni sul rendimento stagionale; non certo però nella prima giornata che ha visto L’Aquila vincere con il Viadana, in una partita dal finale al fulmicotone. Una bella festa di sport per il pubblico del capoluogo d’Abruzzo, tornato ad affollare le gradinate dello stadio di casa, per riscoprirsi una comunità attorno ai propri giocatori, quella stessa comunità che il terremoto ha disgregato in tanti piccoli segmenti abitati, senza più punti di riferimento, smembrando l’assetto urbano. In un contesto di questo tipo, anche essere parte di un appuntamento sportivo in uno stadio alle porte del centro storico costituisce un evento straordinario per tutti i suoi protagonisti. È Pallotta a descrivere, carta e penna alla mano, le sensazioni di quel giorno. «Sei lì, fermo con tutta la squadra, aspettando di poter iniziare a salire quegli ultimi scalini che ti portano fuori nell’arena», racconta, «dentro al Fattori, dove si catalizza la forza di una città pronta a sostenere la propria identità».

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Quella stessa identità che la città riscopre insieme in un momento dove, per andare avanti, servono vittorie piccole e grandi. Così, la storia di Marta Valente, la studentessa di Bisenti, in provincia di Teramo, estratta miracolosamente viva dalle macerie dopo 23 ore dalla scossa, diventa uno dei simboli di una comunità che resiste e vuole andare avanti. Non a caso, a Marta è stato affidato il calcio di inizio della partita col Viadana. Come l’immagine di Mascioletti che – dopo mesi di assenza dalle scene a seguito di un malore – riceve sorridente l’abbraccio dei tifosi, mentre inaugura il monumento al rugby realizzato dall’ex giocatore Walter Di Carlo, alle porte dell’Aquila. Del resto, Mascioletti è abituato a vincere: nel suo curriculum personale ci sono due scudetti vinti e 227 mete segnate da giocatore, 54 presenze in azzurro, l’esperienza da ct e uno scudetto, anche da allenatore, sempre con L’Aquila. «I momenti difficili fanno crescere l’uomo: io ne so qualcosa, lo sapevo già prima del 18 ottobre 2009, data del mio terremoto fisico, del mio sisma personale», commenta tirando in ballo le sue condizioni di salute. «Ma lo sapevo anche prima di quel 6 aprile».

Così la partita di una squadra che lotta contro gli avversari e le difficoltà economiche diventa, nelle stesse parole di Mascioletti, la partita di una «comunità, una gente, un popolo: persone che hanno bisogno di ritrovare le proprie forze, la propria coesione, la propria determinazione a riconquistarsi il futuro». Quella lotta contro le contraddizioni della ricostruzione, in una battaglia che ha portato gli aquilani in centro con carriole e caschetti e uno striscione «2010, riprendiamoci la città». Un coraggio che è poi lo stesso di una squadra costretta, anche quest’anno, ad inseguire le avversarie. E il coraggio sta anche nell’identità dei colori neroverdi. Quei colori del lutto e della speranza comparsi per la prima volta dopo il terremoto del 1703. Ogni casacca ha cucito sul petto, il numero 1 di Sebastiani, sempre in campo con i ragazzi. «Perché un giocatore di rugby non muore mai, al massimo passa la palla».

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