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Sconti fiscali: il ritorno della partita di raggiro

Il prossimo 31 gennaio rappresenta la scadenza che l’esecutivo si è dato per la “razionalizzazione” degli sconti fiscali, cioè delle detrazioni d’imposta Irpef al 19%. Sarà l’ennesima occasione per confermare agli elettori (che certamente saranno in questi giorni impegnatissimi a dibattere sui sistemi elettorali anziché sul proprio reddito disponibile) che, più che in quella delle banane, viviamo nella repubblica del peyote.

L’antefatto: il governo ha deciso di mettere mano alla selva di sconti fiscali che cumulativamente erodono base imponibile per 5,4 miliardi di euro annui. Sono le tax expenditures, formatesi e stratificatesi nel corso del tempo per motivazioni nobili e meno nobili. Da tale riordino il governo conta di recuperare nel 2014 la cifra di 488 milioni di euro, come da Legge di Stabilità.

Se non sarà possibile separare le voci di agevolazione “meritevoli” da quelle sacrificabili, è previsto scatti l’ennesima “clausola di salvaguardia“, che porterebbe ad un taglio lineare di tutte le agevolazioni, la cui detrazione d’imposta passerebbe quest’anno dal 19 al 18%, a valere sui redditi del 2013. Solo che ci si è resi conto che un taglio lineare degli sconti Irpef sarebbe pesantemente regressivo (incredibile come queste “illuminazioni” giungano sempre in corso d’opera e pure oltre), e si sarebbe quindi orientati ad una “salvaguardia” fatta con rimodulazioni del taglio di detrazione in funzione del reddito. I tecnici del ministero dell’Economia e quelli della Ragioneria Generale dello Stato avrebbero quindi ipotizzato di mantenere le detrazioni del 19% a chi ha un reddito fino a 30.000 euro, di tagliarle di un punto a chi si trova tra 30.000 e 60.000 euro e di due punti ai ricchi che superano i 60.000 euro lordi annui. Ma anche così c’è un piccolo problema.

Infatti, dei 19 milioni di contribuenti italiani che hanno utilizzato detrazioni d’imposta al 19%, ben 15 milioni hanno reddito imponibile dichiarato entro i 30.000 euro, per cui l’obiettivo di risparmi per quasi mezzo miliardo di euro svanirebbe come neve al sole, e si sarebbe costretti a massacrare le percentuali di detrazione dei riccastri che superano i 30.000 lordi annui, veri parassiti sociali del nostro stato etico. Oppure, in alternativa, si potrebbero fare sparire completamente le detrazioni per alcune tipologie di spese non più “meritevoli”.

Operazione già effettuata in passato dall’ineffabile Giulio Tremonti, che tra le altre cose rimosse la detrazione per gli abbonamenti al trasporto pubblico locale, introdotta da Prodi, che operava con un tetto di 250 euro annui. Non si deve inoltre dimenticare che, tra la selva di benefici fiscali, vi sono voci che appaiono (mai verbo fu usato più opportunamente) come intoccabili. Ad esempio le spese sanitarie, che determinano una erosione di gettito di 2,7 miliardi; o gli interessi passivi su mutui, che pesano per altri 1,2 miliardi. Due agevolazioni assorbono quindi quasi tre quarti dell’erosione complessiva. Come si nota, questo è un problema con una pluralità di vincoli operanti simultaneamente.

Volete equità rispetto a tagli lineari delle detrazioni? Non raggiungete il gettito-target, in virtù del noto teorema di Petrolini. Volete preservare le voci socialmente più meritevoli? Anche qui niente gettito. Ecco allora che qualche spiritoso ha suggerito di eliminare la detrazione su spese funebri, ma anche quella per attività sportive e per affitti degli universitari fuori sede. Come che sia, all’orizzonte si staglia inconfondibile il profilo dell’ennesimo cetriolo raggiro per i contribuenti italiani, sotto molteplici profili.

Intanto, il profilo storico: sono circa vent’anni, con intensificazione negli ultimi tre, che ci frantumano le gonadi con questa storia del riordino delle tax expenditures. L’idea originaria era quella di contenere l’erosione (cioè allargare la base imponibile) per finanziare la riduzione delle aliquote d’imposta. Invece stiamo allargando base imponibile per chiudere buchi, anche se qualcuno continua a fare il finto tonto, o probabilmente trattasi di tonto autentico, con certificato di garanzia.

In conseguenza di ciò abbiamo evidentemente un aumento dell’imposizione fiscale, anche se i soliti tonti più o meno finti vi diranno nell’ordine che: a) le imposte non sono aumentate nel senso di aumento delle aliquote formali; b) si tratta di operazioni improntate all’equità; c) la pressione fiscale del 2014 è prevista in calo (ma anche no). E comunque, in caso, può sempre comparire un provvidenziale “studio” della Cgia di Mestre a dare una mano.

Ah, ultima ciliegina sulla torta rancida: la manovra di “riordino” sugli sconti Irpef sarà più che compensativa del “taglio” del cuneo fiscale sui lavoratori dipendenti, fermo restando che chi ha un imponibile di almeno 55.000 euro non vedrà manco quel “taglio”. E ora potete tornare a fare simulazioni sui sistemi elettorali per vedere che fine farà Alfano.

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di Il Gufo (---.---.---.115) 21 gennaio 2014 14:07

    Credo che sia la discussione più sterile che abbia mai sentito, non per colpa dell’autore.
    Se le previsioni del Governo sul PIL sono [b]costantemente[/] sopravvalutate del 150% (ovvero avremo crescita 1% quando era previsto l’1,5%) l’unica cosa che otteremo saranno nuovi buchi di bilancio.
    Non dobbiamo spendere più di quello che incassiamo (Fiscal compact in Costituzione)?
    Basta stimare che incasseremo una volta e mezza i soldi che effettivamente arrivano per dare il via a:
    - tassazione sempre meno progressiva, i tagli lineari
    - svendite selvagge di patrimonio pubblico, le "privatizzazioni"
    Niente di più che l’applicazione della "Greek way".
    Ci rimetteranno solo i poveri, peggio per loro.

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