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Scandali e politici clericali: fino a che punto è “negoziabile“ l’onestà?

Si avvicinano le elezioni, e si sta quindi avvicinando anche il momento in cui la gran parte dei politici italiani comincerà a corteggiare più o meno strumentalmente l’elettorato cattolico, che ritengono “decisivo”. A prescindere. Anche quando i dati elettorali (e, negli Usa, anche i sondaggi mirati) sembrano smentire tale premessa. E anche se tale premessa ha un’implicazione di non poco conto: se un “corteggiatore” è disposto a tutto, sarà ancora più incentivato a enfatizzare il proprio lato cattolico. I risultati sono sotto gli occhi di tutti.

Tutti sono decisivi, se elezioni possono essere vinte o perse per poco più di ventimila voti, come quelle per la Camera nel 2006. Anche coloro che hanno a cuore la sorte della laicità delle istituzioni potrebbero incidere, se non votassero liste con esponenti notoriamente clericali. Avremmo un Parlamento forse più moderno ed europeo e più vicino alle sensibilità della società.

Sappiamo bene quanto incidano anche, all’opposto, i voti veicolati dalla ‘ndrangheta in vendita a 50 euro l’uno. Uno scandalo che ha portato all’arresto dell’assessore alla casa della Regione Lombardia, Domenico Zambetti, Pdl proveniente dalle fila dell’Udc. Indagato tra gli altri anche Paolo Coraci, già esponente della formazione cattolicista ‘Liberi e forti’ (ispirata al popolarismo di don Luigi Sturzo) nonché capo di una loggia massonica.

Ora nella rete delle indagini su Zambetti è finito anche il sindaco di Sedriano, il pidiellino Alfredo Celeste, accusato di corruzione. Per il quale i pm ipotizzano contatti con personaggi vicini alle cosche calabresi. Celeste, “laureato in teologia, devotissimo alla Madonna di Medjugorie” nel ritratto fatto da Repubblica, insegnante di religione divenuto sindaco, è già noto per aver fatto obiezione di coscienza‘ nei confronti della celebrazione dei matrimoni civili. Non c’è da stupirsi: di recente anche un altro insegnante di religione, Alberto Giannino, è stato arrestato con l’accusa di pedofilia. Integralista noto per sparate ateofobe e omofobe, ad esempio quando denunciò un presunto complotto perpetrato nei confronti di un altro insegnante di Irc, o quando attaccò il gay pride. Anche lui aveva fondato un partito schiettamente clericale, I Cattolici per la Libertà.

Una realtà, quella lombarda, dove è nettissima l’influenza di Comunione e liberazione e della Compagnia delle Opere nella gestione degli affari e nella distribuzione di incarichi politici. Come già evidenziato da libri-inchieste come La lobby di Dio di Ferruccio Pinotti, o (per quanto riguarda il Veneto) Cosa loro, scritto a quattro mani da Sebastiano Canetta e Ernesto Milanesi. La Lombardia del cattolicissimo Roberto Formigoni ben rappresenta gli effetti del connubio tra clericalismo, affari, sussidiarismo spinto e cattolicamente orientato, che ha come scenario privilegiato la sanità. Basti pensare alla storia del crack (quasi) miliardario del San Raffaele, ospedale gestito dalla Fondazione Monte Tabor capeggiata dallo scomparso don Luigi Verzè. E agli spin off di questa telenovela, che ha coinvolto faccendieri come Pierangelo Daccò ed ex assessori come Antonio Simone nel favorire certi istituti. Scandalo, quello della sanità lombarda, che ha sfiorato anche il ‘Celeste’ governatore Formigoni. Tutti personaggi rigorosamente in quota cielle. Il presidente lombardo rischia ormai di essere travolto dal malcostume che lo circonda e punta alla elezioni anticipate. Persino il segretario Pdl, Angelino Alfano, è intenzionato a scaricarlo o quantomeno a non difenderlo a tutti i costi: contro quindi un “accanimento terapeutico” — ha detto testualmente — per tenere in piedi il governo regionale.

Come segnala Il Fatto Quotidiano, potrebbe scendere in campo anche Massimo Mezzaroma. Palazzinaro e fautore del colpo di spugna del condono, già condannato per aggiotaggio, vicino all’ex piduista Licio Gelli – e al suo Movimento etico per la difesa internazionale del crocifisso – e a Marcello Dell’Utri. È l’ennesimo fanatico del crocifisso che si butta in politica. Ed è anche l’ennesima dimostrazione di come il clericalismo affarista sia espressione della pesante decadenza dalla nostra classe politica.

Non si tratta certo di bollare tutti i politici cattolici come dei disonesti. Ma risulta sempre più evidente che il clericalismo — più o meno strumentale e ostentato — è ormai un leit-motiv dei politici più spregiudicati. Una fede che diventa non più un vissuto personale coerente e sentito, ma semplicemente un’arma elettorale da brandire, un po’ come la riduzione delle tasse. Su questo forse la Chiesa dovrebbe dire qualcosa, nel suo stesso interesse. Se non lo fa, è perché anch’essa preferisce i privilegi terreni a un’immagine più vicina a quella che pretende per se stessa. Chi è percepito come potere sarà inevitabilmente avvicinato da chiunque ambisce al potere, in ogni modo. Di questo passo, chiunque si presenterà come esponente neo-cattolico sarò visto con sospetto dall’elettorato. La Chiesa non ha niente da dire? Del resto cosa dovrebbe dire, se tra i valori non negoziabili della Chiesa non risulta ci sia anche l’onestà?

Meglio un politico corrotto, o un politico che si batte per l’autodeterminazione delle donne, per la difesa della laicità e per i diritti di gay e lesbiche? Il magistero cattolico sembra non avere dubbi: meglio il primo. La domanda apparirà retorica, ma va ancora una volta riproposta: quale bisogno ha, il nostro disastrato Paese, di far proprie le priorità dei vertici dei Sacri Palazzi?

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