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Sappiamo governarci da soli, dateci i soldi

Il Recovery Fund è una erogazione condizionata a riforme. Malgrado ciò, da noi c'è chi torna ad assumere posture orgogliosamente accattosovraniste

La Commissione Ue ha pubblicato il “Pacchetto di primavera” del cosiddetto semestre europeo. Come scrive Wikipedia, “il semestre europeo consiste in un insieme di procedure volte ad assicurare il coordinamento e la sorveglianza delle politiche economiche e di bilancio dei paesi membri dell’Unione europea e dei paesi membri della zona euro”.

In particolare,

Il pacchetto di primavera inizia solitamente a maggio, quando la Commissione europea valuta i Programmi nazionali e presenta dei progetti di Raccomandazioni specifiche per paese. Le raccomandazioni sono proposte dalla Commissione sulla base della valutazione delle politiche di bilancio ed economiche illustrate degli Stati nei Programmi nazionali di riforma e nei Programmi di stabilità o convergenza. Le raccomandazioni devono fornire orientamenti sui risultati realisticamente realizzabili nei 12-18 mesi successivi per conseguire gli obiettivi macroeconomici e di bilancio

Ora che abbiamo messo a fuoco l’essenziale, andiamo a vedere il quadro generale e le raccomandazioni per il nostro paese. Superfluo richiamare l’importanza dell’appuntamento di quest’anno, che giunge durante una guerra sul suolo europeo, uno shock energetico preesistente ad essa e che ha portato la Commissione a formulare il piano di riduzione della dipendenza energetica dalla Russia, noto come REPowerEU, e l’implementazione dei programmi nazionali di ripresa e resilienza (PNRR).

Un quadro macroeconomico strettissimo

Il contesto macroeconomico, come sappiamo, è ad alto rischio di esiti di stagflazione, cioè inflazione elevata e stagnazione (o recessione) causata sia dall’azione corrosiva dei prezzi elevati che da quella delle banche centrali per raffreddare l’incremento dei prezzi, nei limiti in cui ciò è consentito da uno shock di offerta.

Con la Bce che ha quasi terminato i propri acquisti e pare procederà entro fine settembre a un rialzo di mezzo punto complessivo dei tassi ufficiali, e con elevati stock di debito che gravano su molti paesi, i margini di manovra sono davvero esigui.

A livello macroeconomico, nel 2022 la posizione fiscale Ue è stimata espansiva nella misura di circa l’1,75% del Pil. Tradotto: non c’è alcuna austerità in corso. Le misure aggiuntive adottate negli ultimi mesi per mitigare l’impatto della crisi energetica su famiglie e imprese hanno pesato per circa lo 0,6% del Pil. Ma c’è chi, come l’Italia, ha fatto molto di più, superando il punto percentuale e mezzo. Sono azioni che devono essere mirate, selettive e transitorie.

Poiché le previsioni, pur in condizione di incertezza senza precedenti, vedono ancora un’espansione nel biennio 2022-23, la Commissione chiede prudenza, soprattutto nella spesa corrente primaria (cioè senza considerare quella per interessi sul debito pubblico). In particolare, leggiamo dalla raccomandazione “indistinta”,

La politica fiscale dovrebbe combinare il maggiore investimento con il controllo della crescita della spesa primaria corrente finanziata a livello nazionale, consentendo agli stabilizzatori automatici di operare e fornendo misure temporanee e mirate per mitigare l’impatto della crisi energetica e fornire assistenza umanitaria alle popolazioni che fuggono dall’invasione russa dell’Ucraina.

Piena e tempestiva implementazione dei PNRR è la chiave per conseguire più elevati livelli di investimento. Inoltre, i piani fiscali degli stati membri per il prossimo anno dovrebbero ancorati a percorsi di prudente aggiustamento di medio termine che riflettano le sfide di sostenibilità fiscale associate agli elevati livelli di debito-Pil che sono ulteriormente aumentati durante la pandemia.

Scordatevi deficit aggiuntivo

Tradotto: scordatevi di fare deficit aggiuntivo rispetto a quello eventualmente prodotto spontaneamente dagli stabilizzatori automatici (sussidi di disoccupazione, minore gettito fiscale) durante una recessione.

All’Italia, nelle raccomandazioni specifiche, viene ricordato che è uno dei tre paesi Ue con “squilibri eccessivi” assieme a Grecia e Cipro e si ribadisce che il nostro sistema fiscale ostacola l’efficienza e la crescita, che il nostro Mezzogiorno è indietro, che povertà ed esclusione sociale sono le nostre stigmate.

Il Recovery Fund ci aiuterà ma servono riforme. In particolare, nella pubblica amministrazione, nella giustizia civile, nella lotta a frodi e corruzione, nella rimozione delle barriere alla concorrenza, soprattutto nei settori della transizione ambientale. Ma anche nell’istruzione e formazione, negli esiti educativi. Nulla di inedito, direi.

L’Italia, si ribadisce, ha un problema di sostenibilità di medio-lungo termine delle finanze pubbliche, di natura demografica. Leggasi pensioni. Ma ci sono anche problemi legati al disincentivo all’offerta di lavoro, perché la tassazione è sproporzionatamente elevata rispetto ad altre tipologie di imposizione.

E qui si parla della necessità di aumentare il gettito delle imposte indirette, ad esempio. Attenzione: aumentare il gettito non vuole dire aumentare le aliquote Iva esistenti ma recuperare evasione, erosione ed elusione. Ricordatelo a chi verrà a dirvi “giusto, meno tasse sul lavoro e più Iva!” perché, prima di alzare le aliquote, c’è un impressionante stock di evasione, elusione ed erosione da recuperare.

Tra le criticità fiscali, si ribadisce che l’Italia esenta quasi tutte le prime abitazioni e che la base imponibile immobiliare è “datata”. Inoltre, abbiamo un problema di insufficiente ricavo dalle concessioni pubbliche, ad esempio sulle spiagge. Delizioso l’understatement del Country Report su una situazione di “non ottimalità”:

I dati pertinenti sui beni immobili sono stati raccolti in un’unica piattaforma digitale, ma non sono ancora stati effettuati aggiornamenti dei valori catastali. Inoltre l’utilizzo di concessioni pubbliche per beni pubblici, quali le spiagge, non è stato ottimale. Ciò comporta una notevole perdita di entrate in quanto tali concessioni sono state automaticamente rinnovate per lunghi periodi e a valori di gran lunga inferiori a quelli di mercato.

Questi sono due casi concreti che discendono dai principi di applicazione della fiscalità ritenuta preferibile. Poi, si segnala che l’Italia ha una enorme patologia nelle cosiddette tax expenditures, cioè nei vari bonus e sussidi selettivi che diventano diritti acquisiti e nessuno più riesce a toccarli.

Fondi condizionati

Perché vi ho scritto tutte queste “banalità”, nel senso che leggiamo tali raccomandazioni da tempo immemore? Perché l’occasione è stata propizia per consentire a qualche nostro esponente politico di riprendere antiche posture.

Ora, qui occorre essere molto chiari, alla nausea: i fondi del PNRR sono condizionati ad uno stato di avanzamento lavori che non sono le colate di cemento delle infrastrutture fisiche o la mano di verde della “transizione” digitale, o altro. Sono condizionati a riforme. Senza quelle, niente fondi. E peraltro, temo che alcune di quelle riforme siano dei morticini, vedi quella sul fisco.

Ecco perché mi pare corretto dire, o meglio ribadire, che “il Recovery è il nuovo patto di stabilità“. Come potrebbe essere altrimenti? La differenza sta nel fatto che, “prima”, non c’erano fondi esterni da investire e ora ci sono, e tanti.

Assumere pose da sdegnati patrioti su fondi da ricevere, rigettando linee guida di riforma peraltro concordate e non calate dall’alto, non fa che perpetuare l’approccio accattosovranista che è l’unica recita da filodrammatici che alcuni soggetti riescono a produrre. Temo sentiremo e leggeremo anche che “la Ue ci ricatta”, che sarebbe ridicolo se non fosse inverecondo. Se siete così sovrani e non tollerate ingerenze esterne, rinunciate a quei fondi condizionati. Ma toglietevi dalla testa che quei soldi abbiano un carattere “risarcitorio”, “perché noi valiamo”. Contrariamente a quanto molti nostri politici sono giunti a credere, non esiste alcun diritto acquisito italiano ai sussidi europei.

Ora, resta da capire se la Commissione sarà più o meno rigida e rigorosa nella verifica del raggiungimento delle cosiddette milestone di riforma, passaggi necessari per sbloccare i fondi, a stato di avanzamento. Chi pensava, in origine, che non esistessero vincoli e che con una pacca sulle spalle e qualche sorridente photo opportunity nei vertici europei fosse possibile sfangarla, sbagliava. O meglio, mi auguro che i fatti dimostrino che si sbagliavano e si sbagliano.

Perché pensare a jolly, mercanteggiamenti e carte del tipo “esci di prigione” di fronte a oltre 130 miliardi acquisiti a credito, è il modo migliore per farsi del male. E molto. Allo stesso modo, usare i soliti slogan tipo “giù le mani dalle tasche degli italiani” quando qui di soldi ne devono entrare anziché uscire, fornisce la misura della bancarotta intellettuale di un paese e della classe politica che tale paese esprime.

Niente riforme, siamo italiani

Quindi, mettetevi il cuore in pace: il patto di stabilità è sospeso per un altro anno ma non è un “liberi tutti”. Non viene favorito il deficit aggiuntivo come eterno proiettile d’argento all’italiana e viene ribadito che ci sono vincoli da superare per mettere le mani sul jackpot. Ricordate, settimane addietro, la tarantella italiana in Ue per “un nuovo Recovery Fund dell’energia”? E ricordate cosa scrissi allora, sulla assoluta assurdità di richieste del genere, completamente sganciate dalla realtà? Come è finita? Non sento: avete per caso detto “proprio come immaginavi”?

Non posso tuttavia esimermi da una considerazione: quanto è davvero riformabile questo paese, sia in condizioni di crisi conclamata (cioè che toglie risorse) che durante una pioggia di denaro, in parte rilevante a titolo gratuito, ma comunque condizionata alle riforme medesime? Comincio a pensare che sia tempo e denaro sprecato, e che certe riforme non passerebbero neppure sotto occupazione militare.

Quanto al “sappiamo governarci da soli”, magari a colpi di condoni aperti in permanenza, lo abbiamo visto e lo vediamo da molto tempo. Di questo passo, servirà cambiare le parole dell’inno nazionale per fare spazio all’imprescindibile concetto: “siamo sovrani, dateci i soldi“. Io però avrei una sola domanda: come abbiamo fatto, noi italiani, a ridurci così?

 

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