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 Home page > Attualità > Società > Sandra Mondaini: quando l’happy end deve esserci

Sandra Mondaini: quando l’happy end deve esserci

In Italia è preferibile che le storie abbiano una qualsiasi forma e misura di happy end. Lo testimoniano diversi romanzi scritti da italiani o le trame rappresentate da italiani (tra piccolo e grande schermo). Lo testimonia ogni giorno un certo modo di trattare la cronaca nonché trasmissioni, salotti tv, approfondimenti.
 
Sandra Mondaini è morta il 21 settembre verso le tredici al San Raffaele di Milano dove cinque mesi fa o poco più morì anche Raimondo Vianello. Era ricoverata da una decina di giorni e non era la prima volta, di recente, che aveva avuto problemi respiratori.
 
L’aver fatto parte del mondo della televisione, più in generale dello spettacolo italiano segnandone la storia stessa al pari di altri professionisti come Mike Bongiorno o Corrado, pare autorizzare il business media all’inizio delle danze. Verso l’happy end.
 
Da quando si è diffusa la notizia, dalle ore quindici circa di martedì 21 settembre, non sono mancate trasmissioni, interviste, articoli, inviati, e ogni altra forma di divulgazione mediatica spacciata come ‘memoria’. In ricordo di Sandra, si sente ovunque, per ore e ore.
 
La morte però, non è moralmente e forse neanche socialmente considerata un happy end. Ecco allora che la storia di Sandra Mondaini (e dunque anche quella di Raimondo Vianello), diventa qualcosa che forse è stato, forse no, purché la si riesca a piegare, tendere, avvicinare a una fine felice.
 
Nelle storie, si diceva all’inizio, la fine è preferibile sia felice. E la morte non è esattamente il genere di fine felice che ci si aspetta.
Ecco allora che si interviene.
E lo si trova, l'happy end, lo si trova o imposta. Realtà e finzione tendono a perdere d’importanza, la distinzione tra i due, non lo è più, importante. Purché questa fine non sia comune, non sia triste, o dolorosa. Purché se ne possa dire 'bene', raccontando l'intera storia.
 
Molte le voci che intervengono, nella lunga maratona prevalentemente promossa dai media Mediaset (politically correct, certamente). Molti i volti, gli spezzoni ripresi da registrazioni, le riflessioni tra professionisti, amici e colleghi. Molte le parole che d’improvviso inondano canali e carta stampata.
 
L’happy end in questa storia ci deve essere.
Sandra Mondaini aveva perso da poco il compagno d’una vita. Cinquant’anni insieme vivendo e lavorando gomito a gomito. I figli non sono arrivati, allora la coppia ha adottato un’intera famiglia. Poi le trasmissioni, le sit-com, i ruoli reinventati, le partecipazioni, i riconoscimenti.
Dunque, se Sandra cede a una crisi polmonare, ora che è rimasta sola, ora che nel corpo la malattia si è fatta più feroce, ora che la volontà è schiacciata dalla solitudine e il dolore; allora se Sandra muore è per tornare assieme al suo Raimondo. Ora sono assieme, di nuovo. Ora stanno bene, assieme e sono felici.
 
L’happy end c’è, insomma.
Strappa sospiri teneri e qualche rimpianto.
Perché in quanti possono raccontare una storia d’amore così lunga e complice? In quanti possono immaginarsi (e vogliono immaginarsi) a vivere letteralmente il fatidico ‘finché morte non ci separi’?
 
E' morta Sandra Mondaini, aveva 79 anni, nel dicebre 2008 si era ritirata dal mondo dello spettacolo, un cancro al polmone, uno al seno entrambi superati poi la recente vasculite. Debuttò nel 1953 come attrice cinematografica per poi diventare soubrette e attrice televisiva.
 
C'è chi sostiene (tra salotti tv e interviste) che la famosa gag con Raimondo Vianello, a chiusura di ogni puntata di Casa Vianello, dove lei annuncia "Che noia, che barba, che barba, che noia" per poi muovere i piedi in aria da sotto le coperte mentre lui finge noncuranza leggendo il giornale; c'è chi sostiene che sia una delle rappresentazioni più forti e ricordate dal pubblico italiano dei rapporti di coppia conflittuali ma integri (la gag si conclude comunque con loro due, la notte, a letto insieme, qualunque cosa sia successa nel corso della puntata, tra ombre allegre di tradimenti irrealizzabili, trame di pianerottolo e proposte di improbabili ricchi: un infinito piccolo happy end).
 
Ora che è morta, insomma, si può credere in quello che si preferisce, si può raccontare ed enfatizzare questa o quell'altra piega di una storia che si piega di voce in voce, lei - la protagonista - ormai non replicherà a tutto questo show-social-media che della sua vita ora non ha più bisogno.
Basta la storia, la realtà plasmata dalle soggettive invenzioni, della sua storia.
 
L’happy end che deve esserci ha zittito il silenzio, il rispetto del silenzio altrui, del dolore.
Ha cancellato le verità trasformandole in deliziose e succulente fiction immortali.
Salutami Raimondo, cara Sandra…
 
(C’è già il colpo di scena, pare, l’accusa lanciata da una parente di non aver potuto vedere la Mondaini dopo la morte di Raimondo, la famiglia adottata avrebbe – sempre secondo questa parente della Mondaini – allontanato la donna da ogni altro contatto familiare. Show must go on.)
 
Più d'una generazione di italiani che alla morte di Sandra Mondaini si aggrappa per ore e ore, fino a notte fonda e oltre, è qualcosa che dovrebbe far riflettere, su 'chi siamo' come società, come individui persi tra incertezze e necessità di salvagenti a cui aggrapparci. Poco importa se stavolta il salvagente ha la faccia di Sbirulino ("Sbirulino era un bambino vivace e allegro, doveva saltare e muoversi in continuazione" ha dichiarato la Mondaini in una delle ultime interviste "verso la fine era diventato faticoso, per me, far ridere i bambini era bello ma non ero io").
 
Credits Foto: leonardo.blogspot.com

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