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Rodrigo Garcia: storie, narrazioni cinematografiche e regia

Rodrigo Garcia non è uno di quei registi che ‘restano in mente’. Attualmente ha all’attivo 5 film, diverse regie per le serialità televisive, il tutto in circa undici anni di lavoro che – specialmente per i ritmi americani – è nettamente al di sotto della soglia di ‘visibilità’.
 
Figlio d’arte, come si suol dire, suo padre è lo scrittore Garbriel Garcìa Màrquez, inizia a lavorare nel’94 come operatore di ripresa (Giovani, carini e disoccupati, Il profumo del mosto selvatico, Piume di struzzo, per citarne alcuni) ma la strada è lunga. Ha fatto il direttore della fotografia (ad esempio nel film Gia e Four Rooms) mentre alla regia ha debuttato nel 2000 con ‘Things You Can Tell Just by Looking at Her’ (Le cose che so di lei).
 
Sebbene a mio avviso specialmente nei film che ha diretto (o nelle storie in cui ha collaborato alla scrittura e alla produzione) si sente la ‘sua impronta’, una sorta di macro-atmosfera, un approccio nel narrare; l’anno che definirei “della svolta” è il 2008.
 
È proprio del 2008 la serie tv per HBO ‘In Treatment’ che proprio Rodrigo Garcia scrive e produce basandosi sull’originale serie israeliana ‘Be Tipul’ creata dal regista Hagai Levi (produttore esecutivo della nuova serie americana assieme all’attore Mark Wahlberg).
 
Originale per essere una produzione americana, ‘In Treatment’ proponeva narrazioni ‘statiche’ partendo da un plot semplice e ripetitivo: un terapista, Paul Weston (interpretato da un Gabriel Byrne in forma e ben calato nella parte) si occupa di un caso al giorno dal lunedì al giovedì tra una coppia 'scoppiata', giovani autolesionisti, un pilota in crisi, e così via; mentre il venerdì è dedicato alle sedute che lo stesso Weston fa dal suo supervisore Gina (Dianne Wiest, anch’essa in splendida forma) che, di fatto, gli fa da terapista. Quattro giorni da analizzatore delle menti altrui, un giorno a farsi analizzare la propria. Uno schema semplice, come dicevo, tra l’altro le puntate ruotano interamente attorno alle sospensioni, gli sguardi, i movimenti di corpo e volto, i sottintesi, le cadenze della voce… dal momento che tutto si svolge (con qualche rarissima eccezione) nello studio di Weston dove interagisce coi vari pazienti che entrano ed escono.
 
Peccato che in Italia questa serie non la si è vista molto, la prima e la seconda serie furono trasmette da Cult (canale del pacchetto Sky), la terza e ultima è ancora inedita.
 
Sempre nel 2008, esce ‘Passengers(Mistero ad alta quota) diretto sempre da Rodrigo Garcia, con Anne Hathaway e Patrick Wilson. E di nuovo, gran parte dei sensi della storia sono affidati a sottintesi, sospensioni, sguardi, dettagli da decodificare e dinamiche della mente da tradurre.
 
‘Passengers’ racconta la storia di Claire Summers, giovane psicologa al primo incarico, a cui viene affidato un gruppo di superstiti sopravvissuti a un disastro aereo. Ma dagli incontri di gruppo emergono incongruenze, soprattutto sulle cause dell’incidente. Contestualmente Claire inizia una relazione con Eric, che rifiuta di essere un suo paziente, pur essendo stato uno dei ‘passeggeri’. Tra scomparse e tasselli mancanti sarà proprio Claire ad arrivare alla “verità che guarisce” capovolgendo la trama iniziale e svelando anche allo spettatore la reale dinamica dei fatti.
 
Pur non potendo stabilire con certezza se c’è un collegamento voluto, cercato o comunque se c’è stata un’ispirazione comune: tutta la struttura su cui poggiano le narrazioni in ‘Passengers’ richiamano – di fatto – le scelte che sono state fatte per il finale della nota e pluri premiata serie tv prodotta dalla ABC ‘Lost’ (le cui riprese si sono concluse nel 2010, dopo 6 anni di lavoro, sei stagioni e una serie di episodi extra). Il finale di ‘Lost’ ricalca l’idea che ‘una certa realtà’, fino a quel momento data per certa, venga totalmente stravolta per svelare l’effettiva verità, i fatti nudi e crudi, che hanno a che fare con la vita e la morte dei protagonisti capovolgendone gli ‘status’.
 
Ovviamente anche l’inizio ha precise aderenze: si tratta sempre di un aereo che si schianta in ‘Lost’ (che inizia nel 2004) quanto in ‘Passengers’. Poi gli svolgimenti prendono strade differenti.
 
In ogni caso, se a qualcuno capitasse di vedere ‘Passengers’ dopo la fine di ‘Lost’, il collegamento e l’intuizione finale dovrebbero risultare più immediati, se non scontati.
 
‘Passengers’ è girato con atmosfere rarefatte, anche nella prima parte (più tranquilla nel plot perché tutto sembra comprensibile e lineare: i superstiti che cercano di riprendere a vivere, la psicologa che si barcamena tra emozioni, traumi e tentativi di guarigione…) s’insinuano dubbi in chi guarda. Garcia non lascia nulla al caso, le inquadratura, le battute quanto le singole sequenze si sforzano di spiegare ciò che verrà o di darne comunque un senso.
 
Sebbene la critica non sia stata particolarmente positiva con Garcia per ‘Passengers’ (ed effettivamente la sceneggiatura – di Ronnie Christensen - qualche ‘buco’ ce l’ha a rallentare il ritmo, sfilacciare le sotto trame e amplificare l’impressione che sia tutto troppo surreale), personalmente trovo che nel film resistano punti di forza in grado di far riflettere lo spettatore, forse stupirlo o coinvolgerlo. Le dinamiche misteriose fanno parte delle scelte complessive di chi ha narrato questa storia (sceneggiatore e regista in primis ma non solo) oltre al fatto che c’è lo sforzo di usare i dettagli per ‘spiegare’ il finale (in una logica espressiva che, ad esempio, ne ‘Il sesto senso’ di M.Night Shyamalan del’99 ha retto la narrazione stessa rafforzandola).
 
Manca probabilmente qualche passo in più a rendere i dettagli e le singole scene più omogenee con la struttura e il finale, allo stesso tempo la relazione tra Claire ed Eric resta troppo defilata e in bilico, sopraffatta dalla confusione e le sospensioni tranne in alcuni secondi finali quando tutto ormai è chiaro. Interessanti, invece, i dettagli sulla vita di Claire che lo spettatore comprende a pieno sempre alla fine ma che, di fatto, introducono nel mondo del personaggio quanto nel suo passato. Aggiungere inquadrature sulle singole vite dei passeggeri superstiti avrebbe, forse, favorito empatie e comprensioni per questi personaggi che vanno e vengono, poi iniziano a sparire lasciando incertezze negli sviluppi.
 
Garcia ha il radar per i legami e i sentimenti, per questo probabilmente un thriller come 'Passengers' ne ha risentito. Ma in altri suoi film e regie seriali si rintraccia quell'ossessione per la scarnificazione delle emozioni, la ricerca più in profondità di ragioni, cause-effetti, memorie e sensibilità. Diversi suoi lavori si concentrano, infatti, su più storie, pur avendo magari una linea narrativa principale (o in assenza di essa), Garcia ha bisogno di virare, mostrare più corpi, più storie, più implicazioni per continuare l'esplorazione. Come in Le cose che so di lei (2000) ma anche nel successivo 9 vite da donna (2005). Anche Mother and Child del 2009 che Garcia scrive e dirige, recupera l'attenzione per i legami raccontando le storie di tre donne che fanno i conti, in modi diversi, con la maternità.
 
L'ultimo lavoro di Rodrigo Garcia, 'Albert Nobbs', inizia a far parlare di sé in questo periodo avendo ricevuto tre nominationa ai Premi Oscar 2012 (Miglior trucco, miglior attrice per Glenn Close e miglior attrice non protagonista per Janet McTeer). Ma aveva già ottenuto tre nomination ai Golden Globe.
 
Il film, fortemente voluto dalla stessa interprete Glenn Close (che firma la sceneggiatura con John Banville) da anni tentava di realizzarlo al cinema (nel 2000 quasi ci riuscì) dopo averlo interpretato a teatro nel 1982; è tratto da un racconto dello scrittore George Moore (a cui è attribuito il soggetto).
 
In questa storia Garcia abbandona l'ossessione per l'introspezione psicologica per dedicarsi con perizia alla ricostruzione storica pur non mancando le dinamiche emotive e le empatie che restano le parti più credibili e ben riuscite. La storia narra le vicende di una donna nell'Irlanda del diciottesimo secolo che si trova costretta a fingersi un uomo per lavorare in un albergo di Dublino come cameriere.
 
La critica per ora si è dichiarata molto netta, su questo film, riconoscendo una prima parte notevole (anche grazie alle interpretazioni della Close in primis ma anche di altri tra cui la McTeer anch'essa nominata per l'Oscar) mentre la seconda parte risuterebbe sotto tono in quanto - pare - risentire troppo degli svolgimenti successivi non del tutto realistici e non del tutto integrati, frutto della rielaborazione non sempre riuscita partendo dal racconto originale.
 
Il film, comunque, dopo una prima diffusione-anteprima on line il 3 gennaio, è arrivato nelle sale americane il 27 gennaio mentre in Italia uscirà il 10 febbraio (distribuzione Videa).
 
Un regista da tenere sott'occhio, dalle sensibili empatie già sviluppate, che prima o poi azzeccherà l'opera in grado di convincere dall'inizio alla fine.

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