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Rivolte: la Cina sarà la prossima?

Da mesi, le autorità di Pechino insistono che la lotta contro l'inflazione è la loro priorità. Con milioni di famiglie che impiegano un terzo del proprio reddito nell'acquisto di generi alimentari, si teme che un'inflazione elevata possa innescare tensioni sociali. Le avvisaglie ci sono già.

Nel novembre 2008, nel tentativo di contrastare il rallentamento economico provocato dalla crisi finanziaria mondiale, che rischiava di minacciare il livello di esportazioni della Cina, Pechino lanciò un piano da 4000 miliardi di yuan (l'equivalente di 600 miliardi di euro) per stimolare lo sviluppo di infrastrutture. 2010 la Cina ha superato il Giappone come seconda maggior economia del mondo, e c'è chi sostiene che possa soffiare il primo posto all'America entro un decennio o due. Tuttavia, se le proiezioni di crescita futura auspicano scenari rosei per i mercati emergenti, la storia ci insegna che ad un certo punto la crescita comincia a rallentare, fino ad arrestarsi per poi invertire tendenza1.

Ma per la Cina quanto è vicino quel punto2?
In generale, per i Paesi emergenti la fase iniziale della crescita è molto rapida, perché le economie in via di sviluppo possono avvalersi delle tecnologie e del know how già implementati quelle più avanzate. In seguito, più un'economia emergente si avvicina a quelle evolute, più è difficile mantenere il ritmo iniziale3. Per non cadere in flessione un sistema deve cominciare a rinnovare se stesso, avvertendo per tempo i segnali lanciati dai principali indicatori macroeconomici come il tasso di inflazione.

Prima che si trasformi in una minaccia per la stabilità sociale.

In questo inizio del 2011 l'inflazione ha toccato il 9,7% nei mesi tra gennaio e marzo, un dato molto più elevato del previsto e in aumento rispetto allo stesso periodo del 2010. A fare da traino sono stati i generi alimentari, in crescita dell'11,7%. In ottobre i prezzi del cibo erano saliti del 10,1% su base annua, a fronte di un aumento dell'8% in settembre, del 7,5% in agosto, del 6,8% in luglio e del 5,7% in giugno. Si tratterebbe inoltre si stime in difetto, poiché la metodologia di calcolo dell'indice non prende in considerazione alcuni prezzi, come quelli immobiliari. Il tasso reale di inflazione sarebbe allora ben oltre il 10%.

Una crescita inarrestabile a cui sia il governo che la Banca centrale hanno cercato di porre rimedio attraverso gli strumenti classici della politica monetaria. Senza troppo successo.

Lo stesso premier Wen Jiabao ha riconosciuto che "Le cifre sono superiori aspettative del mercato, in particolare il CPI (indice dei prezzi al consumo), il che significa che la pressione inflazionistica è davvero grande". In una riunione di gabinetto della scorsa settimana, Wen ha ribadito che il governo deve utilizzare tutti gli strumenti a sua disposizione per contrastare l'inflazione. "Cercheremo con ogni mezzo di stabilizzare i prezzi, che rappresenta la priorità assoluta del nostro programma economico per quest'anno e anche il nostro compito più urgente", ha concluso.

Ma l'aumento dei prezzi è anche una diretta conseguenza della domanda interna in ascesa.

Più volte il presidente cinese Hu Jintao ha detto che la crescita economica della Cina è ancora troppo sbilanciata verso l'export, e che l'obiettivo del governo era quello di rafforzare il ruolo del consumo interno nell'economia del Paese. Un impegno ribadito venerdì scorso, in occasione del World Economic Forum.

Finora i dati sembrano dargli ragione. Le vendite al dettaglio nel primo trimestre dell'anno sono aumentate del 16,3% rispetto al 2010, a cui va anche aggiunto l'aumento della domanda di petrolio del 10,3%, peraltro da poco rincarato a causa della crisi libica. Trainando a rimorchio anche l'inflazione.

Numeri di fronte ai quali le istituzioni sono corse ai ripari.

Questa settimana la Banca centrale cinese ha aumentato la riserva obbligatoria per le banche di 50 punti base ieri, portandola al 20,50%. Si tratta del quarto aumento di quest'anno e del dall'inizio del 2010. La Banca centrale prevede che l'aumento possa ridurre di circa 376,4 miliardi di yuan (57,6 miliardi dollari) la base monetaria nel Paese. Già il 6 aprile la Banca aveva ritoccato di 25 punti base il tasso di interesse sui prestiti a un anno e quello sui depositi, portandoli rispettivamente al 6,31% e al 3,25%. È stato il secondo rialzo da inizio febbraio e il quarto da ottobre4.

La maggiore preoccupazione per i governanti cinesi non è che i grandi numeri dell'economia cinese possano subire una battuta d'arresto.

Il vero incubo dell'oligarchia di Pechino è che la frustrazione per l'aumento dei prezzi del cibo possa provocare delle vere e proprie sommosse sulla falsariga delle rivolte del pane nel mondo arabo. La spesa per i generi alimentari assorbe un terzo di tutto il reddito a disposizione delle famiglie cinesi, le quali non potranno sostenere i crescenti aumenti a lungo.

Le rivolte dei gelsomini in marzo sono un chiaro sintomo di questo malcontento. I primi appelli alla mobilitazione risalgono a febbraio e si sono risolti in un flop: poche centinaia di persone riunite e per nulla rumorose. Ma tanto è bastato a far innervosire il governo. “Tutti sanno che la stabilità è un bene e il caos una sciagura,” ammoniva un quotidiano ufficiale di Pechino lo scorso 5 marzo. Sottile avvertimento alla popolazione per dissuaderla dal prendere parte alle manifestazioni5.

Ma nonostante le rassicurazioni del presidente Hu Jintao sullo sviluppo del welfare (e le censure sul web, che hanno sistematicamente bloccato sia le iniziative di piazza che le notizie dall'Egitto6), i sommovimenti non si fermano, così come gli arresti. Nel Paese sarebbe in atto la peggiore repressione degli ultimi 13 anni7, e c'è già chi parla della Cina come della prossima polveriera pronta ad esplodere8.

Sebbene sia l'anno del coniglio, stavolta è la tigre a tremare. Anche i conigli possono mordere, se sono spinti a farlo 9.

Chissà potrà arrivare la rivoluzione dei gelsomini in Cina.

Le riforme strutturali potrebbero contribuire ad attenuare gli effetti di un rallentamento economico e di un'inflazione galoppante, meglio ancora se perseguite durante gli anni grassi piuttosto che in quelli (prossimi?) di magra. Ma il riscoperto disappunto delle masse potrebbe trascendere le questioni economiche per estendersi anche alle rivendicazioni politiche.

Il Paese non sembra ancora pronto per emulare gli eventi in corso in Nord Africa, ma appare chiaro che qualcosa si sta muovendo.

Pechino potrà anche affermare che la Cina è immune da qualsiasi vento rivoluzionario, ma nei piani alti l'inquietudine traspare. Se il governo costringe le università a chiudere i cancelli, mobilita in massa le forze dell’ordine, censura siti d'informazione sulle rivolte arabe e comanda arresti domiciliari “preventivi” significa che, forse, il governo non è poi così tranquillo.

 

 

 

 

3Per una succinta analisi sui limiti di crescita delle economie emergenti si veda: http://www.economist.com/node/18560195?story_id=18560195#footnote1

4Per approfondire i dati macroeconomici dell'economia cinese si veda: http://www.atimes.com/atimes/China_Business/MD19Cb01.html

9Con questa frase si chiude il video realizzato da alcuni dissidenti e censurato dal governo: http://www.mondocina.it/index.php/notizie/in-cina/783-lanno-del-coniglio-che-destituisce-la-tigre-un-video-fa-tremare-il-governo-cinese.html

Commenti all'articolo

  • Di mondozio (---.---.---.76) 21 aprile 2011 11:55
    mondozio

    http://www.mondozio.it/2011/03/e-se...

    pensom sia attinente a quanto scritto
  • Di Geri Steve (---.---.---.146) 22 aprile 2011 03:19

     Io non sono ne’ uno studioso ne’ un frequentatore di Cina o paesi arabi, cmqe credo che vadano distinti i problemi di disagio economico da quelli di disagio politico.

    Ai cinesi poco importa se la Cina e’ la seconda o la terza o la prima economia del mondo, importa molto di piu’ quale sia il loro tenore di vita, che dipende dal reddito medio, dalla distribuzione della ricchezza e dal costo della vita, e comunque oggi e’ certamente un tenore di vita basso, ma piu’ alto che in passato.

    Il fatto che il costo della vita stia diventando troppo alto rispetto ai salari e’ un problema di facile soluzione dal punto di vista economico: basta aumentare i salari; i margini economici ci sono, c’e’ pero’ un problema politico perche’ chi detiene il potere economico dovrebbe ridurre i suoi enormi profitti sia per la redistribuzione del profitto sia per il probabile calo di competitivita’ delle sue merci.

    Credo che ci sia una situazione simile in alcuni paesi arabi in cui la poverta’ della popolazione sarebbe facilmente risolvibile redistribuendo l’enorme ricchezza proveniente dal petrolio.

    Ma nel caso della Tunisia come dell’Egitto c’era poco da redistribuire, e la rivolta era piu’ tesa alla conquista di diritti che alla redistribuzione. E cosi’ anche a piazza Tien Ammen.

    In Europa, dopo la rivoluzione francese, le monarchie assolute han dovuto e saputo evolversi in monarchie costituzionali e poi in stati formalmente democratici, ma i dittatori arabi pare che non siano mai capaci di alcuna evoluzione.

    In Cina poi, una pacifica evoluzione democratica e’ quasi impensabile: lo stato cinese e’ sempre stato un impero centralizzato e l’insorgere di rivendicazioni democratiche porterebbe inevitabilmente alla spaccatura, sia perche’ il potere si arroccherebbe la’ dove puo’ conservarsi, sia perche’ uno stato con oltre un miliardo di cittadini che si autogovernino democraticamente non si e’ mai visto, ed e’ anche difficile il solo immaginarlo.

    Geri Steve

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