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Ritiro dall’Afghanistan tra commenti fuori luogo e poca memoria. Qualche “punto fisso” per orientarsi

I social sono invasi da post e commenti sui recenti avvenimenti in Afghanistan.
Anche in un caso così palese, dopo vent’anni di guerra e occupazione militare, le considerazioni seguono la logica occidentale delineata dal circo mediatico, piuttosto lontano dalla storia degli ultimi 20 anni.

Qualche “punto fisso” su cui poter gestire qualsiasi valutazione.

 

Pagina del quotidiano “The Indipendent” con in foto Osama Bin Laden, quando era ancora considerato un “Combattente per la Libertà”.

I social sono invasi da post e commenti sui recenti avvenimenti in Afghanistan.
Anche in un caso così palese, dopo vent’anni di guerra e occupazione militare, le considerazioni seguono la logica occidentale delineata dal circo mediatico, piuttosto lontano dalla storia degli ultimi 20 anni.

Qualche “punto fisso” su cui poter gestire qualsiasi valutazione, che si aggiungono alle righe di alcuni mesi fa – Gli Stati Uniti annunciano il ritiro delle truppe dall’Afghanistan.:

– il primo e più importante, in alcuni casi ignorato e in altri volutamente dimenticato:
i talebani non sono tornati perché gli americani partono, ma i talebani sono lì GRAZIE agli americani.

Anche a rischio di apparire ridondanti, ricordiamo che i mujaheddin afghani furono finanziati, armati e addestrati dagli Stati Uniti d’America in funzione anti-sovietica a fine anni ’70. Il Presidente Ronald Reagan, finanziatore dei mujaheddin con l’operazione Cyclone insieme al predecessore Jimmy Carter, li descrisse come:
“combattenti per la libertà che difendono i principi di indipendenza e libertà che formano le basi della sicurezza e della stabilità globali”.
Il supporto americano ai talebani nasce per soffocare l’Afghanistan socialista (e il conseguente intervento dell’Unione Sovietica in sua difesa) che per la prima volta stava apportando una modernizzazione sociale, culturale, economica e politica al paese, dopo secoli di ingerenze britanniche e lotte di potere che oscillavano tra emirato e monarchia. Le riforme dell’Afghanistan socialista di Taraki (successivamente assassinato con un’azione coordinata dalla CIA) si occuparono di distribuzione delle terre a 20.000 contadini, abrogazione dell’ushur (la decima dovuta ai latifondisti dai braccianti), penalizzazione dell’usura, regolamentazione dei prezzi dei beni primari, statalizzazione dei servizi sociali con garanzia di accesso per tutti, diritto di voto alle donne, legalizzazione dei sindacati, divieto dei matrimoni forzati e lo scambio di bambine a scopo economico, sostituzione delle leggi tradizionali e religiose con quelle laiche, messa al bando dei tribunali tribali e istruzione pubblica, anche alle bambine che in precedenza non potevano frequentare la scuola.

Manifestazione in Afghanistan, fine anni ’70.

– i migliaia di post, soprattutto di personaggi famosi, politici e influencer, che hanno all’unisono commentato con preoccupazione e preghiere rivolti alle donne che “torneranno col burqa“, dimostrano un’ipocrisia di fondo: in questi vent’anni di occupazione americana ben poche cose erano cambiate a livello di libertà personali e diritti umani, special modo per le donne e nelle aree non urbane, che rappresentano l’80% di tutto l’Afghanistan.
Su questo troviamo le parole dell’attivista afgana Rohina Bawer che, in un’intervista di 5 anni fa, risponde così alla domanda:
Dopo 15 anni di guerra, cosa è cambiato in Afghanistan?
“Poco o nulla. L’Afghanistan ha cambiato la sua facciata, ma non la sua essenza. A livello formale è stata fatta una grande rivoluzione, ma al governo, ci sono gli stessi signori della guerra che c’erano prima: per questo non devono stupire i negoziati tra le istituzioni e i Taliban. Sono la stessa cosa.”
E ancora: Cosa vuol dire essere attivista in Afghanistan?
“Rischiare la vita. In questi ultimi anni c’è stato un aumento delle minacce contro le donne che combattono per i diritti umani. Molte di noi sono state uccise. Dobbiamo cambiare casa non appena il governo scopre dove viviamo, perché è il governo per primo a non volere che le donne abbiano ruoli pubblici. A rischiare di più sono le attiviste che lavorano nei villaggi dove il sistema tradizionale è ancor meno disposto ad accettare il loro operato. A Kabul la situazione è diversa e troppo spesso viene presa ad esempio, ma l’Afghanistan non è solo Kabul.”


Quindi, il burqa, non se n’è mai andato.
Il “denunciare” con post di solidarietà solamente ora, alla partenza americana, crea un pericoloso e falso immaginario intorno alla figura “salvifica” degli statunitensi, che in realtà sono la causa del disastro umano e materiale di quel popolo.
Come spiegato nel precedente punto, per vedere una donna libera del proprio destino in Afghanistan siamo costretti a risalire agli anni ’70, nel periodo socialista.


Significativo al riguardo un aneddoto raccontato dallo scrittore e giornalista Eduardo Galeano nel suo libro “I figli dei giorni”:
Verso la fine del 1979 le truppe sovietiche invasero l’Afghanistan. Scopo dell’invasione era la difesa del governo laico che stava tentando di modernizzare il paese. Io ero uno dei membri del Tribunale Internazionale di Stoccolma che nel 1981 si occupò del tema. Non dimenticherò mai il momento culminante di quelle sessioni: stava testimoniando un importante capo religioso, rappresentante dei fondamentalisti islamici Talebani, a quel tempo definiti “Freedom Fighters” dall’Occidente, “Guerrieri della Libertà” invece che terroristi.
L’anziano Talebano dichiarò: “I comunisti hanno disonorato le nostre figlie! Hanno insegnato loro a leggere e scrivere!.“

Ragazze afgane, anni ’70, periodo socialista.

– Un altro post che ha riscosso particolare successo è la domanda retorica “dove sono l’occidente e le democrazie?”

La risposta è semplice e scontata:
l’occidente e le democrazie liberali c’erano, ed erano quelle che hanno bombardato per vent’anni fino alla giornata di ieri, dando lo spettacolo di un ritiro rocambolesco in stile guerra del Vietnam.
Domanda posta anche da politici (ed elettori) che appoggiando ciecamente la politica estera guerrafondaia americana stavano per trasformare anche la Siria in un “Afghanistan 2” con l’ISIS, che ha svolto per l’America lo stesso ruolo dei mujaheddin, ma fallendo. Il riferimento (anche) al PD e ad Enrico Letta (non) è casuale.
Le parole “democrazia” e “occidente” con cui politici, liberali, media e benpensanti riempiono i discorsi quando parlano di politica estera, elevando noi stessi sopra a chiunque altro, sono in realtà sinonimo di morte e distruzione nei paesi subalterni all’imperialismo occidentale.

– tra gli aspetti più significativi ma ignorati dai commenti, c’è la produzione dell’oppio.
Nel 2001, sotto il controllo talebano, furono prodotti in Afghanistan 185 tonnellate di oppio; nel 2017 la produzione ha superato le 9.000 tonnellate. Dall’invasione americana in poi l’aumento è stato esponenziale, un dato che non può essere ignorato sul piano strategico e di permanenza nel paese, ma che a quanto pare non attira la dovuta attenzione mediatica.

Saigon 1975 – Kabul 2021

La situazione attuale è senza dubbio terribile e difficile. È stato ripetutamente proposto il paragone con il Vietnam, ma c’è una differenza abissale: a Saigon entrarono uomini guidati dallo spirito e dalle idee di Ho Chi Minh, a Kabul con quelle della jihad. Ma va aggiunto e considerato che i talebani al comando, di una generazione successiva a quella protagonista degli anni ’90, hanno un approccio diverso e pragmatico rispetto ai loro predecessori su politica internazionale e mondo islamico circostante, valutazione condivisa anche da Fulvio Scaglione che commenta: “i “vecchi” talebani avevano conquistato l’Afghanistan, se n’erano sorpresi e poi avevano cominciato a pensare a cosa farne, questi “nuovi” hanno pensato a lungo e poi si sono presi il Paese. Nemmeno per un istante hanno creduto di coltivare la splendida solitudine islamista adorata dai genitori e, prevedibilmente, hanno scelto di dialogare con il fronte dei Paesi (Cina e Russia in primo luogo) che vogliono fare da baluardo allo strapotere occidentale.”

Su questo campo attualmente trovano il favore della Belt and Road Iniziative cinese, promossa da un paese che non cerca egemonia e ingerenza, come dimostrato storicamente e per rifiuto del modello interventista occidentale, che ha pragmaticamente riconosciuto le forze talebane come le attuali detentrici del potere afgano, con cui è corretto dialogare e coinvolgere nello sviluppo economico del centro-Asia.
La notizia è stata immediatamente riportata in occidente come un “tentativo d’ingerenza della Cina”, che mette sul piatto forniture di energia e infrastrutture con accordi paritetici; se diamo per buono questo come ingerenza, l’averli massacrati, torturati, bombardati, depredati e uccisi per vent’anni, cos’è?

 Il Ministro degli Esteri cinese Wang Yi meets con Mullah Abdul Ghani Baradar.

Leggi anche:
Gli Stati Uniti annunciano il ritiro delle truppe dall’Afghanistan.

Link esterni:
“Afghanistan: è cambiata la facciata ma non l’essenza” – La Repubblica

Chi sono e cosa vogliono i nuovi talebani che hanno riconquistato Kabul – Fanpage
E ORA ENTRA IN SCENA LA CINA – Adriano Màadaro
L’Afghanistan prepara il Narco-Stato che inonderà il mondo di eroina – Il Giorno
Afghanistan 2001-2016, l’unica “liberazione” è quella dell’oppio – Il Fatto Quotidiano

Questo articolo è stato pubblicato qui

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