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Earwig e la Strega, il primo lungometraggio in CGI dello Studio Ghibli

Slittando di un mese rispetto alla data prefissata, Earwig e la strega, l’ultimo film dello Studio Ghibli, è in proiezione nelle sale italiane dal 21 Luglio. Ha saputo far parlare di sé ben prima della sua uscita per una caratteristica peculiare: è il primo lungometraggio dello Studio completamente in Computer Grafica (CGI).


La casa di Totoro ha saputo elevare l’animazione su carta e matita ai suoi massimi livelli, continuando sulla sua anacronistica strada fino ad ora (escluso il corto Boro il bruco, per essere minuziosi); non stupisce che questa apertura è apparsa eretica agli occhi di molti fan.

Per comprendere quale sia l’approccio del Maestro Miyazaki rispetto alle nuove tecnologie, rimandiamo alla recensione del documentario Never Ending ManNever Ending Man – Hayao Miyazaki. RECENSIONE DOCUMENTARIO – IL GIORNALE DEL RICCIO

Il film è la trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo della britannica Diana Wynne Jones: la piccola Erwig è una bambina abbandonata presso un orfanotrofio da sua madre, una strega in fuga, che le promette il suo ritorno nel momento in cui “le dodici streghe interromperanno la loro caccia“. La bambina, rinominata Erika dalla direttrice dell’orfanotrofio, è un’abile affabulatrice, qualità che la rende leader dell’istituto. Riesce sempre ad evitare l’adozione fino alla visita di due strani personaggi che l’adotteranno senza troppi dubbi: i due sono Bella Jaga, una strega, e Mandragora, un indefinito essere dai poteri soprannaturali.

Le recensioni sui siti di settore concordano nel dare un giudizio negativo: è innegabile che un preconcetto valutativo rispetto al film sia nato proprio dall’averne “parlato troppo” sul fronte “CGI sì, CGI no“, insieme ad una predisposizione ostracista rispetto a Goro Miyazaki, in questo caso regista della pellicola e figlio del ben più noto Hayao, a cui molti fan e recensori non hanno ancora perdonato I racconti di Terramare e La collina dei papaveri, due film che in realtà possiamo ritenere molto interessanti, soprattutto il secondo.

Lo stile grafico dei volti e soggetti umani, uno dei lati più chiacchierati del film, dimostra un’evidente scelta ponderata, rimanendo vicino alla matita Ghibli che non ha mai voluto raffigurare una somiglianza realistica. Discorso differente ed opposto per la realizzazione degli ambienti, sempre maniacalmente al dettaglio, che ritroviamo anche in questa produzione in CGI, con una rappresentazione molto fedele di un sobborgo britannico e cura nei dettagli (non c’è una vettura che non sia realmente esistente e riprodotta con esattezza, per portare un esempio da osservatore pignolo). Obiettivamente, mettendo il film accanto ad altre produzioni contemporanee in CGI, un esempio l’ultimo Lupin III The First, il confronto è tutto a discapito di Erwig, ma stiamo parliamo del primo film realizzato completamente in CGI dallo Studio Ghibli, e il risultato può ritenersi assolutamente soddisfacente (nel caso di Lupin, la realizzazione tecnica è stata affidata alla software house SEGA, che lavora ed elabora in CGI da 30 anni).

I camei e richiami alle produzioni passate, sempre inseriti anche velatamente in ogni film dello Studio, si fanno meno invadenti in Erwing, ma comunque presenti ed evidenti: dal gatto Thomas, sostanzialmente un Jiji in CGI, alla Citroen 2CV, vettura più volte rappresentata nonché automobile d’uso quotidiano da parte del Maestro Miyazaki.

Evidenziando i lati negativi, il film “zoppica” proprio su alcuni dei caratteri distintivi del marchio Miyazaki (che del film ne è il curatore del progetto,): lo spessore narrativo ed emotivo.
Rispetto a tutta la produzione Ghibli, Earwig presenta una superficialità emotiva, un deficit nell’importante viaggio introspettivo in cui lo Studio Ghibli ci ha sempre introdotti in ogni suo personaggio. Crescita e sviluppo del personaggio rimango sottintesi e non strutturati.
Altra nota sulla la scelta del tema magico spiccatamente occidentale. Già ampiamente messo in gioco da Miyazaki, come in Kiki consegne a domicilio (una strega in un borgo mitteleuropeo/svedese), oppure Il castello errante di Howl (in Alsazia); seppur su uno sfondo e una base culturale europea, lo “spirito” (introspezione, crescita, psicologia, rapporti umani) seguiva un filo marcatamente nipponico. Fattore che in Earwig non troviamo, ponendosi molto più come una produzione occidentale; sia chiaro, con mancanza di profondità e tendenza occidentale non intendiamo un produzione alla Dreamworks Illumination Entertainment, la critica pone come metro i lavori Ghibli e giapponesi.
Inoltre, il film chiude nella forzata necessità di un sequel, proprio nel momento in cui sembra decollare.

Questi appunti critici non distolgano, comunque, dal prodotto nella sua totalità che rimane interessante e coraggioso per lo Studio, nonché simpatico e divertente in diversi passaggi.
Rappresenta, sicuramente, una delle esperienze meno riuscite all’interno dello Studio Ghibli, tenendo ben presente che il giudizio nasce da uno standard medio troppo elevato, a cui “purtroppo” ci ha abituati.

Il consiglio rimane, come per ogni film della casa di Tokyo, la visione.
Per i fan, per comprendere un passo importante verso una nuova rappresentazione artistica (seppur parallela) che ha intrapreso lo Studio. Per tutti gli altri, che troveranno un prodotto d’animazione comunque diverso dai soliti Cattivissimo Me e affini.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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