Rishi Sunak, Giorgia Meloni e la lotta al divano
Il premier britannico annuncia la strategia elettorale: tagli al welfare per meno tasse sul lavoro. Somiglia alla strategia italiana, che tuttavia è proibita da demografia e dissesto fiscale
Il primo ministro britannico, Rishi Sunak, inizia la lunga volata che porterà il paese alle elezioni politiche, che avranno luogo nella seconda metà dell’anno, come da recente annuncio di Downing Street. I Conservatori sono stabilmente dietro al Labour di Sir Keir Starmer all’incirca di una ventina di punti percentuali, e devono quindi tentarle tutte. E cosa c’è di meglio che promettere tagli alle tasse, la cui pressione è ai massimi dalla fine della seconda guerra mondiale pur restando molto distante dai livelli dell’Europa continentale?
SUNAK TAGLIA I CONTRIBUTI (CHE AVEVA ALZATO)
E così, Sunak e il suo Cancelliere dello Scacchiere, Jeremy Hunt, hanno annunciato nel cosiddetto Autumn Statement un taglio di 2 punti percentuali dei contributi all’assicurazione sociale. Fun fact, come direbbero gli anglosassoni: fu proprio Sunak, nelle vesti di Cancelliere del governo di Boris Johnson, ad aumentare quei contributi (nella misura di 1,25%), col dichiarato fine di risollevare il moribondo servizio sanitario nazionale. Con decorrenza aprile 2022, anche le tasse sui dividendi sono aumentate di pari misura.
Ma i tempi cambiano, e le elezioni si approssimano. I Tory, lacerati tra istanze sociali e una destra interna per la quale è vitale ridurre la pressione fiscale, tentano di tenere tutto unito. I soldi per l’alleggerimento fiscale derivano anche dalla perfida trovata dello stesso Sunak, poi confermata e prorogata da Hunt, di congelare l’indicizzazione degli scaglioni d’imposta. In tal modo, a causa del cosiddetto fiscal drag, un numero crescente di britannici ha iniziato a pagare le imposte sul reddito o si è spostato allo scaglione d’imposta più elevato, gonfiando le casse pubbliche.
Anche per l’imposta sul reddito delle persone fisiche, quindi, si è prodotto quel drenaggio fiscale che da tempo dopa l’imposta su successioni e donazioni. Sono tecniche di raccolta di risorse fiscali che noi italiani conosciamo bene, dai tempi che furono. Nessuno, tra i governi italiani che si sono alternati in questi lustri, ha pensato alla invero costosa riforma di indicizzare scaglioni d’imposta e detrazioni. Certo, la bassa inflazione ha ridotto quell’urgenza ma poi le cose sono cambiate, a testimonianza che alcune decisioni vanno prese proprio quando appaiono più inattuali.
Ma torniamo a Sunak e Hunt. La prospettiva fiscale è quella di incentivare l’offerta di lavoro (cioè aumentare il netto per chi presta la propria opera). Sunak ha parlato di “nobiltà del lavoro”, in effetti. Da finanziare come? Pare soprattutto col ridimensionamento del welfare. Una strategia “offertista” e di aumento della partecipazione alle forze di lavoro, quindi.
MELONI E GLI “OCCUPABILI”
Se fate mente locale, noterete una similitudine con l’azione dell’ultimo anno del governo Meloni. Ad esempio con lo smantellamento del reddito di cittadinanza e la creazione della figura immaginaria degli “occupabili”, che non necessariamente sono tali. Ma conta la policy di fondo, che pare accomunare il governo pro tempore italiano e quello britannico.
Ridurre il perimetro del welfare per finanziare incentivi all’offerta di lavoro, come l’aumento del netto in busta. Quanto è fattibile, una simile strategia? Dipende: dalle condizioni dei destinatari della policy e dallo stato delle finanze pubbliche. Nel Regno Unito, si sta ponendo con forza un problema di aumentata morbilità da condizioni cronicizzate, che aumenta gli inattivi. La demografia britannica è meno devastata di quella italiana (guardate il saldo tra i tassi di natalità e di mortalità) ma non in gran forma, diremmo.
In Italia, la situazione è difficile sotto entrambi gli aspetti. Il governo Meloni deve finanziare ogni anno una decina di miliardi di decontribuzione per chi guadagna meno di 35 mila euro. Ora, la cancellazione del reddito di cittadinanza e la sua sostituzione con programmi meno costosi e in teoria di minore ostacolo all’aumento dell’offerta di lavoro è di un ordine di grandezza monetaria del tutto insufficiente per finanziare la decontribuzione, o per ridurre la pressione fiscale sulle persone fisiche.
Se poi parliamo di tagli al welfare in senso lato, il governo Meloni ha già agito: dapprima riducendo la “scala mobile” sulla rivalutazione annua delle pensioni più elevate; poi, con la scoperta di un antico super-beneficio per alcune categorie di pubblici dipendenti. Ma queste misure sono minate da un grave affanno di fondo: ogni anno bisogna continuare a tagliare (le spese e il welfare) solo per mantenere invariato il beneficio per alcuni percettori. La spesa pensionistica, poi, tende a esondare per motivi demografici, e nei prossimi anni serviranno continui tagli entro il perimetro della medesima, solo per mantenere la situazione nel precario equilibrio attuale.
LA DEMOGRAFIA DICE NIET
Quindi, diremmo che la strategia di due governi conservatori europei, i cui leader hanno sin qui mostrato grande feeling reciproco, è in apparenza simile. Tagli al welfare per aumentare gli incentivi all’offerta di lavoro e il taglio della pressione tributaria e contributiva sul lavoro. Una strategia offertista che nel nostro caso si scontra con le condizioni di dissesto della finanza pubblica e con una demografia ferocemente avversa, che si abbatte su spesa sanitaria e previdenziale.
Senza contare che i tagli di spesa sin qui realizzati dal governo Meloni sono una risibile frazione del nuovo fabbisogno. E infatti “qualcuno” scorda di aver finanziato quest’ultimo a deficit, per il solo 2024. Piccole amnesie. Se ci pensate, quello dell’Italia è lo stesso vincolo di realtà che impedisce di ridurre le aliquote tagliando le tax expenditures. Molto più probabile che quest’ultime vengano immolate sull’altare del contenimento del deficit.
Quindi, lo slogan potrà anche essere “giù dal divano”, che in teoria è cosa buona e giusta (quando agisce su situazioni reali), ma che finirà a schiantarsi contro una realtà ben differente, soprattutto nel nostro caso. Del resto, la tendenza di lungo termine (“secolare”) dei paesi sviluppati è stata sin qui quella di espandere i trasferimenti di welfare. Tornare indietro non sarà facile per nessuno, ma soprattutto per chi si trova in depressione demografica ed è di fatto un paese morente.
Photo by governo.it – Immagini messe a disposizione con licenza CC-BY-NC-SA 3.0 IT
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