“Rischio di tortura”. No ai rimpatri in Russia di chi è fuggito dal Caucaso del Nord
In una ricerca pubblicata il 18 gennaio, dal titolo “Europa: il punto di non ritorno”, Amnesty International ha denunciato che alcuni stati europei – tra i quali Croazia, Francia, Germania, Polonia e Romania – hanno estradato o stanno cercando di estradare in Russia richiedenti asilo fuggiti dalla persecuzione nel Caucaso del Nord e in cerca di salvezza in Europa.
Si tratta di un palese diniego del diritto alla protezione internazionale.
A causa della loro identità religiosa ed etnica – la maggior parte di queste persone sono musulmane, originarie prevalentemente della Cecenia, del Daghestan e dell’Inguscezia – interi gruppi sono stati etichettati come “pericolosi estremisti” che mettono a rischio la sicurezza nazionale, giustificando in questo modo il loro ritorno in una regione dove i loro diritti sono in pericolo.
Ma l’Europa non aveva dichiarato di aver sospeso ogni forma di cooperazione giudiziaria con la Russia a seguito della sua invasione dell’Ucraina? Perché, allora – chiede Amnesty International – diversi stati europei stiano minacciando di rimandare persone nel Caucaso del Nord, esattamente nei luoghi dai quali erano fuggite a causa della persecuzione?
Nel Caucaso del Nord, soprattutto in Cecenia, la situazione dei diritti umani è pessima. Chiunque esprima critiche, prenda parte ad attività in favore dei diritti umani e appartenga o venga percepito come appartenente alla comunità Lgbtqia+, rischia di essere colpito e lo stesso accade ad amici e parenti.
Dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina, la situazione dei diritti umani in Russia è ulteriormente peggiorata. I rischi di subire maltrattamenti e torture, già ampiamente diffusi nei centri di detenzione prima dell’invasione, sono aumentati e vi sono denunce attendibili che le minoranze etniche vengano arruolate in modo sproporzionato nelle forze armate. Chi rifiuta l’arruolamento o cerca di fuggire può andare incontro a gravi violazioni dei diritti umani.
Ma non basta. Il ritiro della Russia dalla Convenzione europea dei diritti umani e la repressione in atto contro gli osservatori indipendenti sulla situazione dei diritti umani hanno enormemente aumentato il rischio di violazioni e hanno privato le vittime di importanti possibilità di chiedere giustizia.
Il divieto di rimpatrio a fronte di rischi di subire maltrattamenti e torture è assoluto e non prevede eccezioni, neanche in presenza di circostanze relative alla sicurezza nazionale. Le basi giuridiche su cui si fondano i trasferimenti in Russia sono spesso opache e generiche e includono prove segrete fornite dai servizi di sicurezza e accuse infondate provenienti dalla Russia e contenute negli “avvisi rossi” spiccati dall’Interpol.
La Russia strumentalizza tali avvisi per prendere di mira oppositori politici, dissidenti, difensori dei diritti umani, giornalisti e loro parenti e colleghi. Alcuni stati europei accettano “assicurazioni diplomatiche” del tutto non credibili, in cui le autorità russe dichiarano che le persone del Caucaso del Nord, una volta rimpatriate, non saranno torturate.
Provenendo dalla Russia, dove la tortura è endemica e il sistema di giustizia penale è privo di indipendenza, tali “assicurazioni” rappresentano semplicemente il tentativo di aggirare gli obblighi degli stati di non inviare persone in luoghi dove potrebbero subire gravi violazioni dei diritti umani.
I rischi di espulsione dalla Francia sono aumentati dopo l’uccisione di un insegnante nella città di Arras, il 13 ottobre 2023, da parte di un uomo originario del Caucaso del Nord. Nei giorni successivi, il presidente francese Macron ha invocato un approccio “spietato” contro “l’estremismo”, soprattutto nei confronti di “uomini tra i 16 e i 25 anni del Caucaso”.
Il presidente Macron ha inoltre autorizzato il suo ministro dell’Interno, Gérald Darmanin, a negoziare con le autorità russe i possibili trasferimenti. Ne sono in programma almeno 11.
La Francia ha una lunga tradizione di cooperazione con la Russia riguardo al rimpatrio di ceceni sospettati di essere “estremisti”. Nel febbraio 2022 un giovane ceceno di nome Daoud Muradov, espulso dalla Francia in Russia nonostante evidenti prove che avrebbe rischiato di subire maltrattamenti e torture, è morto in carcere in circostanze sospette. Le autorità francesi avevano anche fornito a quelle russe informazioni personali contenute nella domanda d’asilo di Muradov, così come sui suoi familiari.
Ma la Francia non è la sola tra gli stati europei a mostrare l’intenzione di violare il principio di non respingimento.
In Romania, nel marzo 2022, la richiedente asilo cecena Amina Gerikhanova è stata arrestata per asserite ragioni di sicurezza nazionale, sulla base di un mandato di cattura dell’Interpol emesso dalle autorità di Mosca. Era fuggita dall’Ucraina un mese prima, dopo l’invasione russa. La guardia di frontiera della Romania l’aveva separata dal suo piccolo figlio e l’aveva posta in detenzione in attesa dell’estradizione. Il procedimento era stato interrotto a causa delle proteste dell’opinione pubblica e dopo che la Corte europea dei diritti umani aveva ordinato misure provvisorie. Alla fine, Amina Gerikhanova ha ottenuto asilo in Romania.
Magomed Zubagirov era fuggito dal Daghestan nel 2017 e si era stabilito in Ucraina con la moglie. Nel marzo 2022, a seguito dell’invasione russa, era giunto al confine con la Polonia. Le autorità polacche gli avevano rifiutato l’ingresso a causa di un “avviso rosso” dell’Interpol emanato dalla Russia, dove è poi stato rimpatriato.
È ora, sottolinea Amnesty International, che l’Europa valuti in modo corretto i bisogni di protezione delle persone fuggite dal Caucaso del Nord, alla luce della pessima situazione dei diritti umani in Russia e della guerra in corso contro l’Ucraina.
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