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Riforme, quelli che non riescono più a pagare la banca

A parlare di riforme si corre il rischio di parlare del sesso degli angeli. Sappiamo benissimo di dover fare le riforme, l’U.E. ce lo dice un giorno sì ed un giorno sempre; ma al momento di dire cosa e come si deve riformare, ebbene restiamo bloccati dai mille interessi delle categorie che, dal pessimo funzionamento delle nostre Istituzioni di sfondo, ci traggono di che vivere, e di che vivere bene, da generazioni.

Proviamo oggi a parlare di riforme in memoria di quel signore di Vittoria, in Sicilia, che ha posto fine ai suoi giorni perché la banca gli aveva venduto all’asta la casa per una cifra non molto lontana dai compensi che un noto politico elargiva alle signorine che rallegravano le sue serate ad Arcore. Forse lo dobbiamo a questo signore di Vittoria, di professione muratore, ed alla sua famiglia.

Le Istituzioni di sfondo coinvolte sono:

  1. La Banca d’Italia, che esercita il pubblico controllo sui soggetti che svolgono l’esercizio del credito, attività che costituisce un pubblico servizio;
  2. La magistratura e le procedure di legalità che essa applica, esercitando la sua governace sulla società civile;
  3. L’Istituzione scolastica, ancor oggi di stampo gentiliano, che tutto fa tranne che formare cittadini in grado di partecipare consapevolmente alla società civile ed ai suoi processi.

Il fenomeno in esame consiste nella mancata restituzione agli Istituti di credito di somme ricevute in prestito da parte di soggetti che posseggono beni immobili.

E qui bisogna fare una premessa. Le banche elargiscono crediti solamente a chi ha solide garanzie, usualmente la proprietà di beni immobili; e la prima cosa che fanno i funzionari di banca è chiedere al cliente di sottoscrivere una situazione patrimoniale, riportante i beni posseduti ed una stima del loro valore. Solo con questa premessa la banca eroga i suoi crediti a fronte di interessi ed oneri accessori di vario tipo.

Nell’evenienza che il cliente non restituisca più quanto ricevuto, vengono avviate quelle procedure che, in gergo bancario, sono denominate “di sofferenza”, con ciò indicando non le sofferenze di chi non riesce più a restituire i denari ricevuti in prestito, quanto piuttosto quelle della banca, che vede in serio pericolo il capitale dato in prestito. Innanzitutto si attuano quelle che son dette “cartolarizzazioni”: la banca cede il suo credito a società create ad hoc, che operano solitamente negli stessi uffici della banca e con personale che non si distingue da quello della banca. In pratica si tratta di società che non si distinguono dalla banca stessa.

Perché questo accada ce lo dovrebbe dire la Banca d’Italia, l’Istituzione di sfondo preposta al controllo dell’attività creditizia. Sono tante le domande che il cittadino vorrebbe fare alla Banca d’Italia:

  • Perché non è disposto alla banche l'obbligo di indicare per ogni cliente posto in sofferenza un funzionario Responsabile della Procedura di recupero del credito?
  • Le attività di queste società di recupero crediti, sono ancora sotto li controllo pubblico oppure no? È questo forse un artificio ed un raggiro per porre queste società fuori dal controllo della Banca d’Italia ? E, ove così fosse, cosa ne pensa la magistratura penale, alla luce dell’articolo del nostro codice penale che definisce la truffa contrattuale?
  • Come vengono trattati in bilancio dalla banca questi crediti in sofferenza cartolarizzati? Può accadere che essi vengano iscritti ad un valore ben lontano da quello di realizzo?
  • Quanto durano mediamente i contenziosi giudiziari prima della loro definizione?

Sull’’ultimo punto dovrebbe anche esprimersi la magistratura. Anche a questa Istituzione di sfondo il cittadino vorrebbe fare tante domande; e senza l’interposizione di quella particolare “zona grigia” che è costituita dagli avvocati. Ad esempio:

  • Quanto durano mediamente i contenziosi giudiziari delle banche prima della loro definizione?
  • Nel disporre pignoramenti ed ipoteche sui beni del creditore, il giudice prende visione delle situazioni patrimoniali di cui è in possesso la banca, e ciò al fine di valutare se i beni oggetto del provvedimento sono di valore adeguato? Perché sovente vengono accese ipoteche su beni infinite volte più consistenti del credito vantato?
  • Cosa sono i cosiddetti interessi convenzionali? Perché essi vengono sistematicamente richiesti in giudizio e concessi ai “signori del denaro”, anche se questi, nell’erogare i loro crediti, accettano definizioni degli interessi loro dovuti solamente nei rari casi di mutui a tasso fisso ? Non è questo un modo di applicare due pesi e due misure?
  • Perché le sentenze non contengono mai al loro interno la liquidazione delle somme dovute alla banca, dando così a quest’ultima la possibilità di attuare delle vere e proprie forme di estorsione sui debitori, facendo leva sulle ipoteche iscritte? E di questo, cosa ne pensa la magistratura penale?

L’ultima delle Istituzioni di sfondo interessate è quella scolastica. La domanda è una sola: perché a scuola si studiano tante corbellerie e non si studia cosa può succederti se entri in una banca e chiedi un prestito?

Chissà cosa pensa di tutto ciò e di quel signore di Vittoria, il governo Letta, chiamato a farle, le riforme.

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