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Riforma fiscale: attendendo il risveglio

Uno sguardo alle proposte dei partiti per la riforma fiscale. Antiche rimasticature, attendendo che l'adulto nella stanza di Chigi faccia sintesi

 

Oggi sul Foglio, Sandro Brusco passa in rapida ma approfondita rassegna le proposte dei partiti per la ormai mitologica riforma fiscale. Quella che dovrebbe accompagnare il rilancio italiano dal lato dell’offerta, creando incentivi virtuosi. Tema logoro da più legislature, ma a questo giro è necessario produrre qualcosa di durevole e funzionale, visto anche il gigantesco cappio di debito che ci stiamo mettendo attorno al collo, esibito invece da molti come fosse un diadema.

La doverosa premessa è che molti di questi documenti sono generici, alcuni sono pure di sgangherata propaganda, quindi nulla di nuovo sotto il sole. Assai probabile che molti partiti volessero usare il PNRR per ridurre la pressione fiscale e vedere di nascosto l’effetto che fa, ma fortunatamente a questo giro ci sono troppo vigilantes in giro, tra Palazzo Chigi e Bruxelles, quindi la cornucopia andrà usata meglio. Forse.

Tagliare le tasse, prima o dopo?

Sandro richiama l’abituale tesi della riduzione di spesa per finanziare quella delle imposte. Io invece confermo che resto dell’idea che, con questa composizione sociodemografica, sia piuttosto improbabile battere questa strada, per usare un eufemismo. Provate a guardare il grado di comprimibilità delle voci di spesa sanitaria e pensionistica, e poi ne riparliamo.

Premesso questo, puntiamo almeno a una ristrutturazione virtuosa del fisco; tale, come detto, da produrre incentivi favorevoli e in grado di accompagnare l’eventuale crescita, irrobustendola. Solo a quel punto si potrà dibattere di un calo della pressione fiscale, che verrà ovviamente frustrato a tempo zero dagli appelli a lottare contro il turbo-neo-ultra-liberismo che vuole schiavizzare i popoli abbassando le tasse. E tuttavia sarebbe già un progresso, rispetto alle idee tonto-lafferiane che girano soprattutto a destra.

Brusco osserva che alcune proposte prevedono la costituzionalizzazione di parti dello statuto del contribuente, le legge ordinaria che da sempre non vale la carta su cui è scritta. Naturalmente, serve intendersi sui concetti: serve massima protezione del contribuente dalla prevaricazione del legislatore, ad esempio nei casi di retroattività. Non serve, invece, pensare ad autentiche sciocchezze come il tetto di pressione fiscale in costituzione.

E sapete perché è una inutile sciocchezza? Perché, come scrivo da sempre, ogni vincolo autoimposto, inclusi quelli solenni e costituzionalizzati, è e resta un costrutto umano e come tale aggirabile. Inutile imporsi museruole, quando realtà e cultura del paese vanno in altra direzione. Vedasi articolo 81 della costituzione, sia nella scrittura primigenia che in quella rivista nel 2012 col fiscal compact europeo.

Altro concetto acquisito dai partiti, almeno così pare, è quello relativo alla necessità di attenuare la ripidità (o ripidezza, vedasi Treccani) della curva delle aliquote marginali effettive, che determina quanto resta in tasca alle persone per ogni euro aggiuntivo guadagnato. I partiti avranno anche compreso questo concetto e la conseguente emergenza ma ricordiamo che si tratta di quegli stessi partiti che, ogni anno, tentano di ritagliarsi fettine di elettorato proponendo nuove spese fiscali (tax expenditures), che poi sono quelle che tengono alte le aliquote nominali e, causa ristrettezza di coperture, costringono a far esplodere il prelievo quando si esce dalla aliquota prescelta. Vedasi Bonus Renzi, giusto per non fare nomi ma solo cognomi.

Audizione Presidente UPB su riforma fiscale, febbraio 2021

Le proposte

Quella del M5S non è particolarmente analitica (che sorpresa!), ed è centrata su tre aliquote Irpef: 23% fino a 25mila, 33% da 25 a 55mila e 43% oltre 55mila. Nessuna valutazione d’impatto. Forse perché i pentastellati in questo periodo di impatti ne stanno subendo troppi. Commento di Sandro:

I contribuenti con reddito superiore a 55mila euro sono stati nel 2019 il 4,6% del totale, ma hanno pagato il 36,1% dell’imposta netta.

Ecco, magari un giorno qualcuno riuscirà a capire che in questi numeri c’è un problema e un rischio: quello di massacrare i kulaki della classe media.

La proposta di Fratelli d’Italia è piuttosto svogliata, prevedendo la riduzione dell’aliquota del 38% al 27%. Nessuna stima del costo e, immagino, neppure delle coperture. L’importante è fare proposte serie, tra un grande disegno e l’altro di mettersi a capo della destra sovranista d’Europa.

Il Partito democratico, oltre alla ormai celebre dote ai diciottennipropone un’aliquota Irpef continua, “alla tedesca”, per non farsi mai mancare il nostro sano provincialismo. Anche qui, stesso rischio di massacrare i kulaki. C’è anche un’altra proposta, che raccoglie il plauso di Brusco e anche il mio, si parva licet, ma che è sul tavolo o sul tappeto (o meglio, sotto) da circa un quindicennio:

La parte più interessante riguarda la Tassazione agevolata del secodo percettore (Tasp) che dovrebbe limitare i danni prodotti dalla detrazione per coniuge sulla offerta di lavoro femminile. Il meccanismo proposto appare macchinoso, ma almeno introduce la riflessione su questo importante tema.

L’austerità è morta, e così spero di voi

La Lega non fa particolari proposte, o meglio fa le proprie, improntate al solito bengodismo senza limitismo (il sequel del famoso blockbuster “la morte del tradeoff”):

Al punto 2 si dice la Lega “ritiene che la stagione dell’austerità vada archiviata coi fatti, non con le parole”. E al punto 5 si “mette in guardia dalla logica dell’urgenza, in base alla quale sono state giustificate scelte suicide per il paese come quella dell’austerità”

Auspicabile che il partito di Salvini si sforzi un filo di più, visto anche il pedigree del suo prestigioso dipartimento economico. Difficile che basti l’antica formula rivolta all’Europa: stampate moneta e mandatela a noi orgoglioni sovranisti o ci facciamo esplodere in una stanza di cemento armato.

Forza Italia sconfina nel dadaismo, ma anche nelle tradizioni dei Repubblicani americani, quando elabora programmaticamente che “Ormai non è più possibile misurare i redditi: possiamo a mala pena misurare i consumi”. Segue proposta classica a tre aliquote Irpef, 15%, 23% e 33%, ma senza indicare gli scaglioni e le cifre. Svogliatezza assoluta, inclusa scopiazzatura (da Fratelli d’Italia) della flat tax sui redditi incrementali. Che causerebbe un inferno di elusioni e magheggi ma transeat.

Liberi e Uguali vuole la patrimoniale a invarianza di gettito complessivo. Il che ci può anche stare ma tiene sul tappeto le solite questioni sulla base imponibile patrimoniale, inclusa determinazione del valore immobiliare in contesti di illiquidità. Quisquilie.

Tra le proposte di Italia Viva ce n’è una che personalmente sostengo da anni, e sono lieto di vedere che in questo paese esiste qualcuno che punta all’attivazione sul mercato del lavoro e non solo a fare impennare il numero di inattivi:

Propone un sistema automatico di incentivi alla partecipazione, con sussidi ai redditi più bassi, modellato sulla Earned income tax credit statunitense (Eitc), esplicitamente citata.

Ottima idea, anche secondo Brusco. Integrabile con un sistema di agevolazioni fiscali “temporanee” (?) per il secondo percettore di reddito del nucleo familiare, come nella proposta del Pd. Anche Italia Viva si è accorta del problema della curva delle aliquote marginali effettive. Ma, come dicevo sopra, continua a fingere di ignorare cause e concause del fenomeno:

Non posso però resistere dal notare questo pezzo: “Tecnicamente occorre intervenire per modificare la curva delle aliquote marginali effettive: la curva italiana attuale è esattamente l’opposto di quella che la teoria descrive come la curva ottimale per incentivare l’offerta di lavoro’”. Assolutamente vero. Peccato si dimentichino di osservare che questo è l’effetto del “bonus 80 euro” di Renzi.

Modesta e phastidiosa proposta

Ecco, appunto. Quindi, che dire e che suggerire, a sintesi di questa rassegna? Personalmente, credo servirebbe togliere i redditi di capitale dal loro paradiso fiscale domestico chiamato imposta sostitutiva, e rimetterli in Irpef. Al netto di una franchigia che identifichi la quota realisticamente percepibile dal piccolo risparmio e dal ceto medio. Anche questo lo scrivo da lunga data.

Così come da lunga data scrivo che il punto dirimente di tutto resta sempre quello: che fare del recupero di gettito? Usarlo per ridurre le aliquote o farci più spesa pubblica? In questo paese, questa è una domanda ridicolmente retorica.

Come andrà a finire, questa Grande Riforma? Se dovessi basarmi sul passato, in una bolla di sapone. Se invece devo guardare al Fattore D, quello che sta a Chigi, potrebbe anche uscirne qualcosa di strutturato e sostanziale, ovviamente calato dall’alto, in modalità cancellazione del cashback.

Perché i partiti bisogna farli giocare ma, al momento dirimente, serve l’adulto. Come dite? Che esprimo posizioni schifosamente antidemocratiche? Avete ragione: come quelle del sistema (s)partitico italiano, che periodicamente finisce contro il muro e commissariato assieme alla democrazia che ha in ostaggio da tempo immemore.

P.S. La proposta conclusiva al termine dell’indagine conoscitiva sul sistema fiscale suggerisce anche la riduzione della cedolare secca sui redditi di capitale dal 26% al 23%, che è l’aliquota del primo scaglione Irpef. Non posso non sottolineare l’ipocrisia di continuare a tenere la tassazione sui titoli di Stato al 12,5%, per esigenze di collocamento del debito pubblico. E poi magari farsi una bella arrampicata sugli specchi e dire che i titoli di Stato non sono ricchezza, giusto?

Questo articolo è stato pubblicato qui

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