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Riaprire l’inchiesta sulla morte di Giuseppe Pinelli

Il fatto nuovo: la presenza di Silvano Russomanno (Affari riservati) quella notte in Questura. 

 

C’è una novità che può consentire la riapertura dell’inchiesta sulla morte di Giuseppe Pinelli. Viene fuori dalle carte del secondo Processo di Piazza Fontana, quello a carico di Zorzi, Maggi, Rognoni, Digilio. Ed è la deposizione raccolta dal magistrato Maria Grazia Pradella nei confronti del dirigente degli Affari Riservati Silvano Russomanno.

Russomanno, seppur con vari distinguo, ha detto di essere stato presente quella notte nei locali dell’Ufficio Politico della Questura di Milano, lui con la sua squadra.

È un fatto importante, mai indagato dalla magistratura ed è stato rilevato di recente nel libro che l’avvocato Gabriele Fuga ha scritto insieme all’ex militante anarchico Enrico Maltini, “‘e ‘a finestra c’è la morti. Pinelli: chi c’era quella notte’, titolo tratto da un verso della canzone Lamento per la morte di Giuseppe Pinelli, scritta nel 1970 dal cantastorie Franco Trincale.

Riaprire l’inchiesta perché l’Italia vuole sapere come sia morto Giuseppe Pinelli.

È quanto con ostinazione chiedono da sempre Licia e le sue due figlie. E non solo loro.

L’Italia non può restare mortificata da quella conclusione assurda del 1975 quando il giudice istruttore Gerardo D’Ambrosio scelse come conclusione della sua indagine un ossimoro mortificante di qualsiasi intelligenza che è il “malore attivo”. Non esiste neanche un termine contrario di malore, insomma non si può dire all’opposto qualcosa come “benessere passivo”, tanto è stretta la strettoia in cui si volle infilare il giudice istruttore, con uno scopo evidentemente preciso: eliminare ogni scenario di coinvolgimento attivo della Questura in quella morte.

“Malore attivo” resta, e non solo come lessico, un mostro giuridico. Un’invenzione assurda, tanto unica quanto inservibile, tant’è che nessuno ha osato più usarla... Buona, però, allora per eliminare uno scenario diverso, cattiva ancor oggi per lasciare uno spiraglio aperto per manipolazioni come quella appena vista in tv con quei poliziotti alla finestra della Questura di Milano che di Pinelli gridano “si è buttato, si è buttato…”, un’invenzione da fiction che non ha riscontro alcuno nelle carte giudiziarie.

Perché l’allora presidente della Camera Sandro Pertini si rifiutò di stringere la mano al questore di Milano Marcello Guida? Lo spiegò Pertini stesso a Oriana Fallaci tre anni dopo, in un’intervista sull’Europeo del 27 dicembre 1973: non è per Ventotene, ma per la morte di Pinelli…

Ecco, che risposta ha avuto Sandro Pertini? E con lui tutta l’Italia che non si è piegata a non avere una risposta adeguata?

Perché Pasquale Valitutti, unico testimone di quella notte oltre ai presenti nella famosa stanza della Questura, dice che fu sentito il 6 dicembre del 1970 e che poi ha ripetuto in aula durante il processo Calabresi-Lotta Continua la sua testimonianza, ma che D’Ambrosio – il vero titolato a raccogliere la sua versione – alla fine non l’ha mai sentito?

È una delle tante domande che da allora si trascinano nel presente.

Ma ora si aggiunge anche quella sul ruolo svolto da Silvano Russomanno quella notte, con la sua squadretta.

Vogliamo ancora sapere come è morto Giuseppe Pinelli. Quasi 45 anni di distanza ci separano da quei dolorosi avvenimenti: c’è un giudice disposto a riaprire un nuovo fascicolo?

 

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.2) 27 gennaio 2014 11:21

    Un nuovo libro sulla morte di Giuseppe Pinelli, il ferroviere anarchico, volato da una finestra del quarto piano della Questura di Milano nella notte del 15 dicembre 1969. Il nome di Pinelli evoca un periodo terribile della storia italiana culminato con la strage di piazza Fontana a Milano: sedici morti (se ne aggiungerà un altro deceduto anni dopo per le ferite riportate) e quasi un centinaio di feriti (ottantasei ufficialmente registrati e un’altra decina che preferì allontanarsi dalla Banca Nazionale dell’Agricoltura e farsi curare privatamente). Una strage che, con la sentenza della Cassazione del 3 maggio 2005, non ha nessun colpevole dal punto di vista giuridico.

    A «riaprire» questa storia infinita sono Gabriele Fuga ed Enrico Maltini con il libro ‘e ‘a finestra c’è la morti. Pinelli: chi c’era quella notte’, un verso della canzone ‘Lamento per la morte di Giuseppe Pinelli’, scritta nel 1970 dal cantastorie Franco Trincale. Fuga è avvocato penalista che a partire dagli anni Settanta ha difeso molti militanti dell’area libertaria ed extraparlamentare, mentre Maltini era un militante del Circolo Ponte della Ghisolfa ed è stato uno dei componenti della Crocenera anarchica, organismo di controinformazione e di difesa delle vittime politiche. Va ricordato che fra i fondatori della Crocenera ci fu Giuseppe Pinelli.

    Quali sono gli elementi di maggior peso che emergono dai documenti che avete esaminato e che presentate nel libro?
    Sono molti. Innanzitutto la presenza, fino ad oggi sempre celata, in quelle stanze della Questura milanese, di funzionari di altissimo livello dell’Ufficio affari riservati del Viminale, venuti da Roma il giorno dopo la strage, che di fatto, senza mezzi termini e stando alle loro stesse parole, comandavano, impartivano direttive e scrivevano i rapporti che facevano poi firmare al questore e al capo della polizia.

    Poi, elemento importante, il vicedirettore degli Affari riservati Guglielmo Carlucci, anch’esso presente, ammette che i nomi di Pietro Valpreda e di Pinelli vengono fatti da Roma poche ore dopo la strage, prima ancora della testimonianza del tassista Cornelio Rolandi e prima che si confutasse l’alibi di Pinelli. L’allora commissario Antonio Pagnozzi parla esplicitamente di «pista prefabbricata originata non a Milano..».

    Poi va sottolineato l’utilizzo del confidente Enrico Rovelli (alias Anna Bolena) da parte degli Affari riservati che corrompono e pagano il confidente di Luigi Calabresi e Antonino Allegra e non solo gli impongono di tacere i suoi rapporti con loro ma gli impongono anche di tacere su tutto ciò che può configurare un reato. Vale a dire i progetti di rapimenti, trasporti di armi o esplosivi… Cioè oltre a boicottare la questura milanese impediscono, e forse hanno davvero impedito, la possibile prevenzione di reati. È un atteggiamento gravissimo, una vera cospirazione, di cui nessuno ha mai chiesto ragione.

    Altro elemento molto importante. Si viene a sapere che il capo degli Affari riservati, Federico Umberto D’Amato, dopo la morte di Pinelli, accompagna Allegra dall’allora capo della polizia Angelo Vicari, che vuole sapere cosa è accaduto. A Vicari Allegra dice che «Pinelli era appoggiato di spalle alla ringhiera e improvvisamente si era buttato giù». È una evidente mezza verità, che spazza via i tuffi e i balzi felini, anche perché di spalle non ci si butta… né tantomeno si cade per un malore attivo! Al contrario un pugno, una spinta, basta e la caduta di spalle spiega anche la mancanza di segni sulle braccia e le mani di Pinelli.

    Come cambia la posizione di Calabresi dopo le vostre ricerche?
    Di nuovo si può aggiungere che Calabresi potrebbe essere stato costretto a coprire, oltre alle sue, altre e più gravi responsabilità. Per esempio, quelle dei funzionari degli Affari riservati. Soprattutto quelle di Silvano Russomanno in primis, che con ogni probabilità partecipavano all’interrogatorio ma che dovevano restare nell’ombra. I documenti dimostrano che Silvano Russomanno stava tentando a tutti i costi di incolpare Pinelli, e lo farà anche dopo la sua morte, delle bombe sui treni di agosto.

    Adesso quali risvolti giudiziari ci potrebbero essere?
    È un fatto che mentre per piazza Fontana si sono avute cinque istruttorie, l’ultima chiusa pochi mesi fa (la richiesta di archiviazione da parte della procura per l’indagine iniziata a seguito del libro ‘Il segreto di piazza Fontana‘ di Paolo Cucchiarelli relativamente alle «due bombe»), per la morte di Pinelli siamo rimasti all’inconcepibile «malore attivo» del 1975 (sentenza istruttoria del giudice istruttore Gerardo D’Ambrosio).

    Senza volerci attribuire particolari meriti, il libro dà la possibilità alla magistratura di vedere «riuniti» atti che prima erano sparsi tra gli incartamenti delle varie indagini. Indagini che pur riguardando episodi collegati alla morte di Pinelli, non ne avevano mai affrontato direttamente il problema: nei vari interrogatori le domande sulla morte di Pinelli erano unicamente finalizzate a individuare il ruolo degli interrogati nella vicenda complessiva della strage.

    Adesso è quindi possibile dare inizio a una nuova indagine: «Atti relativi alla morte di Giuseppe Pinelli», dato che emergerebbero sia nuovi testimoni, sia eventuali responsabilità di persone diverse da quelle prosciolte dalla sentenza istruttoria di D’Ambrosio (alcune delle quali ancora viventi), sia infine una diversa ricostruzione dei «fatti» (basti pensare a quanto riferito da Giuseppe Mango dell’Ufficio affari riservati sulle modalità della caduta di Pinelli nella versione fornita da Allegra al capo della polizia).

     

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