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Retweets are not endorsement. I giornalisti e le regole su Twitter

Retweets are not endorsement. Questa è una delle espressioni che molti giornalisti usano nella propria biografia su twitter per mantenere un certo equilibrio tra quello che impone loro la tanto ricercata obiettività imposta dal loro ruolo professionale e il rischio di perderla (a "svantaggio" della testata per cui lavorano). Quale sia l’uso migliore da parte dei giornalisti di twitter è uno degli argomenti che ricorre continuamente.

È di martedì la notizia che Sky News ha rivisto alcune regole per i retweet dei suoi giornalisti. Le riporta il Guardian che sottolinea come Sky News sia stata una delle testate che ha usato in maniera più innovativa il social:
“So, to reiterate, don't tweet when it is not a story to which you have been assigned or a beat which you work.”
 
“Where a story has been Tweeted by a Sky News journalist who is assigned to the story it is fine, desirable in fact, that it is retweeted by other Sky News staff.”
 
“Do not retweet information posted by other journalists or people on Twitter. Such information could be wrong and has not been through the Sky News editorial process.”
Appena la notizia si è sparsa uno dei giornalisti di Sky News è salito alla ribalta di twitter diventando parte di un hashtag. Neal Mann è il Digital News Editor di Sky News ed è un giornalista molto attivo su twitter, con la firma @fieldproducer.
 
Come molti altri giornalisti, Mann twittava le news della propria testata e non solo. #savefieldproducer è stato l’ironico (ma non troppo) hashtag scelto per criticare la scelta dell’emittente americano. E improvvisamente #savefieldproducer è diventato trend topic, ovvero uno degli argomenti più discussi sul social, e lo stesso Mann è stato a volte preso in giro.
 
 
Quello delle separazione delle opinioni sui social è comunque un argomento continuo di discussione. Nel novembre del 2011 anche l’AP aggiunse alle proprie regole sull’utilizzo dei social - il cui primo rigo dice che “tutti i giornalisti AP sono incoraggiati ad avere account sui social” - un comma: "I retweet, come i tweet, non dovrebbero essere scritti in modo che sembri che tu stia esprimendo un'opinione personale sull'argomento del giorno" e chiariva che anche la scritta retweets do not constitute endorsements non avrebbe protetto il giornalista.
 
Il Washington Post oltre a ricordare ai propri giornalisti che sono sempre, appunto, giornalisti del Washington Post, scrive: “I giornalisti del Post devono astenersi dallo scrivere, twittare, postare qualunque cosa – incluso foto e video – che possa essere percepito come un pensiero politico, razziale, sessista, religioso o altri pregiudizi o favoritismi”.
 
In un articolo di ieri sulla BBC proprio sul caso Sky News, Rory Cellan-Jones si pone alcune domande soprattutto riguardo le breaking news:
È giusto, ad esempio, dare notizie su twitter prima che raggiungano una qualsiasi redazione? In un caso giudiziario a lungo termine, una serie di tweet dal giornalista che sta seguendo il procedimento può essere un modo straordinario per tenere informati sia il desk che il mondo. Ma quando si arriverà a verdetto, sicuramente il giornalista dovrà correre al microfono o alla videocamera anche se ciò vorrà dire essere battuto da un rivale su twitter?
Riguardo le breaking news chiosa Cellan-Jones, nel caso della BBC queste dovranno passare prima per il desk. Qui la guida ufficiale della BBC.
 
Matthew Ingram di GigaOm sostiene però che ci sia un errore di fondo riguardo tutte queste politiche sui social media, ovvero che continuano a
"cercare di perpetrare la finzione che i giornalisti non abbiano un'opinione - che siano automi senza emozioni o intelligenza, che semplicemente ripetono come pappagalli le notizie senza pensarci". Insomma i giornalisti sono così stupidi da non rendersi conto di quello che rilanciano?
 
Twitter dovrebbe rimanere solo uno strumento di osservazione o di rilancio di alcune (le proprie) notizie? Non perderebbe parte della forza che ha? È indubbio che chi segue giornalisti come Andy Carvin, senior product manager per le comunità online di National Public Radio o, per rimanere in Italia, Marina Petrillo di Radio Popolare che hanno raccontato la primavera araba nelle sue differenti sfaccettature oltre che con esperienze personali, anche con un enorme lavoro di crowdsourcing e retweet da diverse fonti, avrà difficoltà ad appoggiare la decisione delle succitate testate. Ovviamente sarebbe complesso riassumere in un articolo tutte le news che le tantissime, selezionate, fonti twitter rilasciano ogni secondo. 
 
Lo stesso Andy Carvin definisce twitter una redazione open source, facendo ben intendere quanto l'interazione col social sia ormai importante per il suo lavoro giornalistico. La stessa importanza che Paul Lewis, reporter del Guardian, potrebbe reclamare per gli articoli sulle morti di Ian Tomlinson e Jimmy Mubenga, due importanti scoop del Guardian ottenuti grazie all'aiuto, e alla continua interazione con i citizen.
 
Certo per gli editori, ovviamente, si pongono diversi problemi, come ad esempio quello della concorrenza e dell'ammissione, quando un proprio giornalista retwitta la news di un altro, di una sorta di sconfitta, di "buco". Ma se twitter si è reso protagonista di un cambiamento nel modo di fruire e creare informazione è anche per l'utilizzo che tanti giornalisti ne hanno fatto.

Insomma la battaglia sul come maneggiare questa novità, tra testate che vogliono preservare la propria storia e credibilità, che potrebbe essere “minata” - secondo loro - da un tweet, e giornalisti che vedono l’uso di twitter come un modo più ampio di sviluppo della propria professione, sembra debba continuare ancora a lungo
 
Quando una questione del genere si pose per il giornale di Portland "The Oregonian" Jeff Jarvis, uno dei massimi esperti di web, riassunse bene la posizione dei favorevi al RT in un tweet, ovviamente: “L’Oregonian dice che i tweet sono endorsement. No, sono citazioni”.
 
Un problema che, per ora, in Italia non si è ancora posto. Benché su alcuni profili si legga la frase famosa in molte delle sue declinazioni, non ci sono, per quel che ne sappiamo, per la stampa italiana norme generali (pubbliche almeno) che regolino l'utilizzo di twitter.
 
Qui da noi è stata quasi una sorpresa apprendere che La Stampa aveva creato tre nuovi ruoli riguardo il digitale facendo della brava Anna Masera la Social Media Editor del giornale, ovvero “il punto di riferimento per la nostra presenza su Facebook, Twitter e tutti gli altri media «sociali». Il suo compito sarà sia di divulgare maggiormente i nostri contenuti, sia di aprire sempre più il dialogo e lo scambio con la comunità dei lettori”. Il problema dell’utilizzo del tweeting, insomma, è lontano da venire.

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.77) 10 febbraio 2012 00:21

    Secondo me Twitter in particolare, rispetto al social networking, è quello che è stato il fast food in campo alimentare: a parte l’hype (che c’è quasi solo quello) è una cattiva abitudine. Il pensiero ha bisogno di esser spiegato, le motivazioni di essere addotte, la stessa lingua (non solo italiana) viene trinciata per poter rimanere in quei pochi caratteri da SMS che rendono le frasi così composte una vergogna (peraltro l’ialiano risulta fortemente sfavorito, rispetto all’inglese, proprio in questo campo).

    Come per il fast food, succederà che si scoprirà, nel tempo, che tweetare "è male", nel senso che fa male: fa male a chi lo fa, ed a chi lo legge, non portando veri contenuti ma solo "battutine". Mi aspetto che in un cabaret ci siano battutine, non nell’informazione. E come per il fast food, spero si tornerà allo slow food: un’informazione più "lenta", più completa, pur sempre con gli strumenti dell’informatica e della rete.

    Già questo post, se questo non fosse un forum ma Twitter, non l’avrei potuto fare: l’informazione ha bisogno di spazio e di respiro.

    Sky

  • Di Francesco Raiola (---.---.---.216) 10 febbraio 2012 10:34
    Francesco Raiola

    Caro Sky, grazie del commento. Secondo me però il punto è sbagliato. Nessuno, credo, sostiene che twitter possa sostituire qualcosa, men che mai l’informazione. Twitter è un mezzo, un mezzo che può tornare utile (come per gli esempi descritti nell’articolo: Carvin, Petrillo, Lewis, e tanti altri), non una sostituzione di qualcosa.

    • Di (---.---.---.77) 10 febbraio 2012 13:53

      Sono d’accordo con te, Francesco, purtroppo invece "il resto della gente" (quanto meno quella che conosco io) lo vede come tale. Tu, ovviamente no... ma tu scrivi qui ed hai dell’informazione un punto di vista che potrei definire privilegiato.

      Il mio commento invece voleva proprio portare in evidenza la "sostituzione": un SMS al posto di un dialogo, come un panino da fast food al posto di un buon pranzo.

      A mia volta "studio" gli strumenti della rete almeno dal 1992, periodo in cui ero sistemista di rete presso un grosso CED, ed ovviamente non sono mai stato contrario a strumenti nuovi che anzi cercavamo e studiavamo (ed a volte creavamo). Quando però di uno strumento si fa un uso "sbagliato", per limitare piuttosto che per "aumentare", allora mi permetto di intervenire come minimo con un commento.

      La rete è un grosso strumento (o contenitore di strumenti) d’amplificazione della libertà, credo che uno degli esempi più evidenti sia proprio Agoravox, non facciamo impoverire questa libertà limitandoci a "battutine" da 140 caratteri che, con la scusa di dire tutto, alla fine non dicono niente.

      Tento di spiegarmi un filino meglio: un messaggio come questo o come il tuo ha, al di là della lunghezza, un contenuto, perchè io qui ci metto la faccia, cerco di rendere chiaro un punto, leggo le tue risposte o quelle di altri, rispondo a mia volta... si crea un dialogo, costruttivo spero per tutti, anche se alcuni solo leggono.
      Se avessi "twittato" avrei usato una forma tipo fire-and-forget, lancia-e-dimentica. Il mio commento sarebbe finito nel calderone generale, la cui rilevanza totale può anche avere un significato ma la cui rilevanza singola tende asintoticamente a zero. Questo a me non piace.

      Qualcuno può dire "ma se non vuoi dimenticare segui il thread con gli ashtag"... ma allora rispondo "che differenza c’è, a parte il numero di caratteri, fra un ashtag ed il thread di un forum?". E se la cosa va seguita, come (forse) merita, non è meglio un forum? c’era bisogno di un forum-a-SMS? o è forse per rispondere al "malcostume" della gente, che dopo 4 righe di testo ha il buffer pieno, che si crea questa specie di semi-forum? e se alla gente non interessa davvero fare altro che il proprio commentino... non pare anche a te che siamo di fronte ad un’occasione sprecata? diamo uno strumento di libertà a chi lo usa per fare la propria "scoreggina virtuale", della quale subito dopo si dimentica: dov’è il valore aggiunto, in questo?

      btw: non parlo di Twitter per sentito dire, proprio perchè cerco di avere la visione più ampia possibile, ho creato un mio account e frequentato l’ambiente per un pò. La mia impressione è stata proprio quella che dicevo: Twitter mi deruba, non mi rende più libero.
      Poi non dubito ci siano occasioni in cui questo strumento si rivela molto utile, ma in generale ne vedo fare un uso "limitante".

      Sky

  • Di Francesco Raiola (---.---.---.216) 10 febbraio 2012 20:32
    Francesco Raiola

    certamente come dici tu dipende dall’uso che se ne fa. Io seguo chi non usa twitter come facebook ad esempio (può capitare ogni tanto, capita anche a me), seguo uno stream informativo (al quale è impossibile certo, stare appresso), seleziono e poi approfondisco. Ovviamente non per tutti è così, ma come non credo che lo sms abbia ucciso la comunicazione così non credo succederà twitter. Insomma, credo che spazi come questo (spazi in cui superare i 140 caratteri, non AgoraVox, in particolare) rimarranno con o senza twitter, ma capisco - anche se non approvo del tutto :) - il tuo discorso. Grazie per la discussione, comunque

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