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Report e la due diligence sul finanziamento ai partiti e i respiratori di Philips

C’è (ANCORA) POLVERE NEL VENTILATORE di Giulio Valesini

I ventilatori di Philips, usati anche nel corso della pandemia per Covid, sono stati oggetti del più grande richiamo di dispositivi medici della storia.

Erano macchine che creavano problemi alle persone che lo hanno usato, problemi segnalati da anni, ben prima del richiamo del 2021: dentro i respiratori era presente una schiuma di poliuretano che si staccava entrando dentro l’apparato respiratorio.

L’ispezione dell’FDA ha fatto emergere che dietro c’è stata una negligenza da parte dell’azienda, che sapeva dei problemi del particolato.
Alcuni esami fatti da Philips hanno accertato il rischio di tossicità usando questi respiratori, Report ha allora contattato il centro Polimeri di Reggio Emilia per testare sei campioni di schiuma di poliuretano prelevati dai dispositivi Philips: dopo 3 settimane di analisi i risultati non sono stati confortanti, le celle che compongono le schiume di poliuretano perdono pezzi.
“Questa è una cella completamente aperta” spiega Alex Bonardi direttore del centro “questa è una parzialmente aperta”, la prova al laboratorio che la schiuma perde del materiale.
Quali gli effetti se questi materiali sono inalati? “Inalandole entrano nel sistema respiratorio i singoli frammenti che a loro volta possono essere fonti di rilascio di sostanze chimiche.”
Quante sostanze, che possono essere inalate usando queste macchine, sono state trovate? “25 – 30 sostanze, parliamo di idrocarburi a catena lunga di tipo insaturo, quindi degli alcheni, parliamo di alcoli, di ammine, di aldeidi, che sono cancerogeni.”
In che quantità sono presenti? “Un numero significativo che sostanzialmente non tende a cambiare di molto nel tempo, anche per lunghi periodo di uso di questi dispositivi, questo poliuretano progressivamente si fa a degradare è una fonte importante di rilascio continuativo nel lungo periodo.” In più, la schiuma contenuta nei dispositivi Philips non è biocompatibile.

Philips ha perso la causa fatta in Italia dai pazienti che hanno usato i loro dispositivi, deve versare 4 ml di euro alle persone che hanno aderito alla class action, ma non si sa ancora quanti dispositivi siano ancora in circolazione.

Ma c’è di peggio: Philips sapeva dei problemi dei loro dispositivi da prima della pandemia e dal richiamo del 2021: nel 2018 un ingegnere della Philips invia una mail a Bonnie Peterson, della Polymer Technologies, l’azienda che rifornisce Philips delle schiume di puliuretano usate dentro i respiratori, l’ingegnere è preoccupato “abbiamo ricevuto delle lamentele da parte dei nostri clienti secondo cui la schiuma si sta disintegrando. Il materiale si stacca e viene trascinato nel percorso dell’aria del ventilatore, come si può immaginare questa non è una buona situazione per i nostri utenti [..] Ho segnalato questo messaggio con importanza poiché stiamo affrontando un potenziale problema di sicurezza”.
La risposta da Polymer Technologies arriva tre giorni dopo perché il problema era già noto da anni: “siamo stati contattati nel 2016 per questo problema, abbiamo inviato campioni di polietere ma non abbiamo avuto notizie dei risultati e abbiamo continuato a fornire il poliestere.”
Il fornitore dunque aveva avvisato Philips, il polietere è più resistente ma la multinazionale ha continuato ad ordinare il poliestere per la schiuma dei suoi dispositivi ignorando la segnalazione e così i rischi per la salute dei pazienti.

Come mai questa sottovalutazione di un problema noto sin dal 2015- 2016?
Jan Kimpen, direttore medico della Philips ha spiegato che fino al 2020 avevano solo reclami minori, pochi che arrivavano dai pazienti e un po’ di più che arrivavano dai distributori. Ma in ogni caso non possono più dire che conoscevano il problema solo dal 2021.
Segnalazioni di incidenti sono arrivate all’azienda sin dal 2011, ben prima dello scambio di mail con Polymer Technologies: il servizio di Giulio Valesini ha raccontato che dietro questo atteggiamento della multinazionale olandese c’è stata l’acquisizione da parte di Philips di Respironics (società leader nel settore dei respiratori), il focus da parte dell’azienda era sulle vendite, non sulla cura dei pazienti.
I pazienti hanno respirato per anni sostanze tossiche, potenzialmente cancerogene. Tutto perché il poliuretano è più economico.

Per l’ISS, che aveva fatto una sua indagine nel 2021 ha stabilito che per un uso a breve termine non ci sono rischi con questi dispositivi, ma nel giugno scorso l’istituto ha cambiato parere bacchettando Philips: il problema grave è che a distanza di due anni dal richiamo ancora mancano dei test indipendenti per capire meglio la rischiosità di queste macchine.
Il tribunale di Milano ha condannato Philips a completare il richiamo entro il 2023: siamo stati considerato pazienti di serie B, Philips non ha completato la sostituzione di tutti i dispositivi perché l’azienda non riesce a rintracciarli tutti, manca un registro dei dispositivi medici.

Ad agosto Exor ha acquistato il 15% di Philips: ha sfruttato il calo del valore delle azioni della multinazionale, per questo scandalo, per poter poi entrare nel settore mediale.

Exor potrà aiutare Philips a recuperare la sua immagine dopo lo scandalo – racconta Report a chiusura del servizio.

Finanziamento ai partiti di Luca Chianca

Si avvicina il mercato delle elezioni, per le prossime europee: la campagna elettorale è già iniziata a settembre, con la guerra all’interno della destra tra Salvini e Meloni.

Per la Lega l’asso della manica potrebbe essere il generale Vannacci: notizia di questi giorni la chiusura dell’esposto del generale sulle morti per uranio impoverito, presentata al tribunale di Roma.

Report ha intervistato il sottufficiale Leggiero, che aveva presentato l’esposto assieme a Vannacci: aveva presentato la candidatura del generale al ministro Crosetto, perché la sua casa naturale sarebbe proprio FDI. Ma dopo l’uscita del libro, Crosetto ha preso le distanze, il contenuto del libro mette in imbarazzo persino fratelli d’Italia.
Con chi si candiderà allora Vannacci? Con Alemanno? Forse.

Ma chi strizza l’occhio al generale è Salvini: secondo Leggiero, ci sarebbero delle promesse da parte del partito di Salvini sulla candidatura.

Una fonte interna al partito si parla di 200-300 mila euro, come risarcimento per la mancata elezione del generale come eurodeputato per la Lega di Salvini.
Il generale non conferma, anzi smentisce il contratto.
Come militare non potrebbe stringere un accordo con alcun partito politico: una volta si pagava per essere eletti, oggi col generale è il partito che paga un candidato che avrebbe anche l’appoggio dello Stato Maggiore.

Il bilancio della Lega non è positivo, se fosse un’azienda sarebbe in crisi: il 2 x mille è in calo, l’avanzo di gestione è peggiorato, c’è una perdita per 4 ml di euro causati dalla campagna elettorale. I costi del partito sono saliti a 12 ml (di fronte a 1ml di euro dal 2xmille): grazie ai contributi dei privati, 7 ml di euro quasi tutti dai parlamentari eletti, il debito si è fermato a 4 ml.
Su questi soldi ancora manca una vera trasparenza: Report ha raccontato la soria di un finanziamento da parte del gruppo del Senato della Lega alla cognata del tesoriere Di Rubba.
Bisognerebbe indicare, nelle rendicontazioni, sia la causale, che il destinatario, ma così non è.

Report si era occupato della vicenda della Lombardia Film Commision: un capannone acquistato da un ente regionale, pagato 800 mila euro ma il valore iniziale era 400 mila euro, valore aumentato grazie ad una serie di prestanomi, come Luca Sostegni.
Di questa storia Report ha cercato di parlarne con Salvini, senza successo: come mai la “promozione” di Di Rubba, nonostante le due condanne (non ancora definitive, va detto)?

Dopo la fine del finanziamento pubblico, l’unica fonte di soldi pubblici sono i 55 ml di euro dei contributi di Camera e del Senato, che possono essere spesi per attività politiche, senza indicare però il destinatario del contributo (come nel caso della cognata di Di Rubba).
Ma chi controlla su questi versamenti? Alla fine, i partiti si controllano da soli.

Luca Chianca è andato fino a Predappio a seguire la commemorazione dei fascisti per la marcia su Roma (cose vietate in una Repubblica democratica che dovrebbe riconoscersi nell’antifascismo).

Nel 2017 la cripta di Mussolini fu restaurata dalla fondazione Alleanza Nazionale, con risorse probabilmente pubbliche: l’operazione fu seguita da Roberto Petri, ex capo segreteria di Ignazio La Russa, presidente dell’immobiliare di An.

Né Petri, né la fondazione vogliono oggi parlare della restaurazione: la fondazione di AN è ricca oggi, dentro ci sono 32 ml di euro di liquidità, buona parte sono rimborsi elettorali.

In questi anni il numero di deputati di FDI è cresciuto, assieme alle donazioni sia degli eletti che degli elettori: soldi sono arrivati anche dalla fondazione AN, dentro cui si trova ancora Gasparri, assieme ad Alemanno.
La fondazione AN è la cassa del partito di Meloni: oggi ha messo sotto sfratto la sede del partito a Rimini, per metterla a reddito, senza che i rappresentanti locali del partito ne sapessero qualcosa.
Gli immobili della fondazione sono stati affittati, ma non si sa a chi: sono gestiti dalla immobiliare Italimmobili che ha come capo Roberto Petri. Report ha raccontato del contrasto tra Petri e l’avvocato Minutillo, sostenendo che il primo sarebbe iscritto alla Massoneria.
Petri ha s
mentito: ufficialmente il partito di Meloni non ammetterebbe i massoni al suo interno, ma nella storia del Movimento Sociale non mancano esponenti iscritti alla massoneria.

Come Paolo Romeo, un esponente del partito di cui si era già occupata Report in un servizio di Giorgio Mottola.

Report ha incontrato Gaetano Saya: a Report racconta di aver fatto parte della Stay Behind italiana, la struttura Gladio. Nel 2005 fonda il Nuovo Movimento Sociale Destra Nazionale e registra il simbolo con tanto di fiamma, come opera protetta dal diritto d’autore e nel 2011 lo fa anche presso l’ufficio marchi e brevetti. Infine registra anche la fiamma, con e senza la scritta MSI: la stessa fiamma che troviamo nel simbolo di Fratelli d’Italia, cosa che non è stata gradita da Saya.

“La fiamma è nostra e lo dicono i documenti”: Saya ha registrato come opera protetta un simbolo riconosciuto da tutti e usato da almeno 70 anni, ma che nessuno prima di lui ha mai pensato di brevettare. Il simbolo brevettato da FDI è quello col cordino, senza fiamma, racconta a Luca Chianca.
Nel 2014 la fondazione Alleanza Nazionale, che usava ancora la fiamma nel simbolo, la concede a FDI, prima con e poi senza la scritta MSI e quel simbolo è stato depositato presso la commissione che vigila sui partiti politici e che certifica che possano accedere ai finanziamenti privati e al 2xmille.
Report ha sentito su questo punto Amedeo Federici, membro di questa commissione: “se non mi arriva un provvedimento coercitivo non posso, ma perché me devo impiccià? Sono soggetti privati [..] Finché non c’è un provvedimento di un giudice competente, non gli posso dire nulla.”

Chi è il proprietario della fiamma? Il ministero del Made in Italy di Urso ha risposto a Report di non essere competente, stessa risposta da parte del ministero della cultura.

Le fondazioni hanno salvato l’ex DS dalla crisi: il partito ha un debito da 150 ml di euro, per salvare il partito dai debiti sono state create delle fondazioni a cui sono state confluiti i beni del partito. È la storia raccontata dal tesoriere Sposetti, che a Report racconta che si colpiscono gli scandali ma non i partiti.

I fondi pubblici sono stati abiliti dal governo Letta nel 2013: al posto del finanziamento pubblico arrivano le erogazioni dei privati, con tetto a 100mila euro e col 2 x mille.
Dopo gli scandali Belsito e del tesoriere della Margherita Lusi, montava l’antipolitica: la legge di Letta non tocca però le fondazioni, che rientrano nei controlli solo con la legge Spazzacorrotti del M5S.

Ogni partito nel frattempo si è fatto la sua fondazione, compreso Renzi con la sua Open: nel 2019 l’indagine della procura di Firenze si occupa proprio di questa, in particolare per dei favori con Toto in cambio di consulenze ottenute dal presidente Bianchi.

Tra i finanziatori della Open c’è l’imprenditore Librandi con le sue società: avrebbe pagato lui il volo di Renzi verso gli USA per il memoriale di Kennedy.

Secondo Bianchi i finanziamento furono spontanei da parte di Librandi: i finanziamenti alle fondazioni possono sforare i limiti a 100mila euro, come quelli di Librandi e di Toto.
Secondo la procura i finanziamenti erano invece finanziamenti al partito di Renzi: la corte costituzionale ha deciso illegittimi i sequestri dei documenti da parte della procura, deciderà il senato.

A decidere la nomina del nuovo procuratore capo a Firenze sono stati, nel CSM, proprio Bianchi, imputato nel processo.
L’inchiesta della procura di Firenze su Open ha fatto emergere una serie di professionisti che il PD aveva ingaggiato per analisi di marketing, campagne di comunicazione, ricerche sui social e che non erano stati pagati per prestazioni da centinaia di migliaia di euro (quelle erano le priorità nel PD renziano).
Uno di questi racconta, senza mostrare il volto, di aver poi fatto una mediazione con cui è riuscito a rientrare in parte con quella che gli era dovuto, da 108 mila euro chiesti alla fine ha incassato solo 65mila euro: “date le dimensioni nostre rispetto alle persone con cui avevamo a che fare era anche obiettivamente difficile chiedere ed ottenere di più”.
Pochi mesi prima delle elezioni del 2018 la fondazione commissiona ad un’altra società nuove indagini sulla social intelligence per 47mila euro: “avevamo intercettato la crescita esponenziale di Salvini e dei suoi amici, una cosa paurosa, mentre lui stava scendendo quegli altri stavano salendo a picco”. La società, per questi lavori fatti a fine 2017, scrive alla fondazione pochi mesi prima delle elezioni del 2018, il presidente Bianchi propone uno sconto di 10mila euro.
“In quel momento quando ti trovi di fronte ad un soggetto in crisi e che si avvia verso il fallimento purtroppo bisogna scendere a questi patti”.
Nessuna causa, meglio accettare lo sconto, “almeno ci paghiamo il lavoro fatto” racconta a Report una responsabile di questa società.

Il PD negli anni del referendum ha accumulato debiti per queste attività di marketing e sui sondaggi: strategia che oggi Renzi ha cambiato, basta sondaggi.

Luca Chianca ha intervistato Renzi alla festa del partito: il senatore ha scelto di non rispondere, tocca al tesoriere rispondere: fino al 15 settembre non aveva donato nulla al suo partito, il primo versamento è stato di 5000 euro, in totale ha contribuito per 30000 euro.

Sono stati più generosi i privati: in donazioni ha preso 2ml di euro, mentre 1,2 ml di euro sono arrivati dal 2 x mille.

Il bilancio però è in rosso per 54mila euro: il servizio fa notare come siano alte le spese di rappresentanza, ma va tutto chiesto al tesoriere, Bonifazi (ex tesoriere PD), che ha scelto di non rispondere alle domande.

Il PD è ancora alle preso coi debiti della passata gestione renziana: come fare a riempire le casse?

A Padova il deputato Zan, ha organizzato il festival Village Pride, che si chiama Virgo: ogni anno al festival si superano 200mila presenze.

L’onorevole Zan è proprietario della Be Proud, la società che organizza il festival, incassando anche 1,3 ml di euro: Report ha chiesto al deputato se ci sia un conflitto di interessi tra questa azienda e la sua attività politica, essendo Padova il suo collegio elettorale.

Non è un evento commerciale – spiega l’onorevole a Report – è un evento in cui tutto quello che viene guadagnato viene riversato nell’iniziativa, non c’è nessun tipo di guadagno.
Non c’è il rischio di un conflitto di interessi con una società che ha un giro d’affari sugli stessi temi su cui l’onorevole è impegnato? “Ho prestato il mio nome per dare una mano, lo faccio con spirito di servizio, a titolo gratuito”.

Be Proud, che nel 2021 ha ricevuto i ristori covid come tutte le aziende nel settore dell’intrattenimento, ha versato 50mila euro nelle casse del PD.

Ci sono fondi pubblici per le aziende se vogliono ricevere la certificazione di parità e in Italia ci sono società che fanno consulenza per avere questa certificazione, come Obiettivo Cinque.
Dentro questa società si trova la moglie dell’ex ministro Franceschini, Michela Di Biase: secondo una fonte interna dell’agenzia, l’agenzia è nata su idea della stessa Di Biase, che conosceva da tempo della legge, sfruttando le sue conoscenze nel palazzo.

Quella della parità di genere è una battaglia politica o anche un interesse economico?

Tra i clienti di Obiettivo Cinque ci sono tante società, come Ania e oggi punta anche ai fondi del PNRR.

Diversamente dal senatore Gasparri, sia Di Biase che Zan hanno dichiarato alla Camere le loro partecipazioni dentro attività private.

Gianni Cuperlo contribuisce al partito con 50000 euro: racconta a Report di come si siano trasformati i partiti “oggi sono partiti costruiti come comitati elettorali permanenti che transitato da un elezione all’altra e macchine del consenso che servono anche a garantire un certo ceto politico, di finanziarsi ma anche di avere un ruolo, un peso politico nella vita di questi partiti perché nel momento in cui non ci sono più fonti di finanziamento pubblico sono sono i contributi degli eletti nei singoli partiti che garantiscono la tenuta in vita di queste forze anche sotto gli aspetti operativi.”
E’ una corsa al seggio permanente dove tutto è legato al numero degli eletti ma anche, soprattutto, al loro patrimonio che gli consente di finanziarsi la campagna elettorale.

Tra qualche mese voteremo per il Parlamento Europeo, quando costa farsi eleggere – si chiede Cuperlo nell’intervista: “se non ha le risorse necessarie, devi comunque prenderti l’impegno per garantirle e quindi di rateizzare quel contributo nel corso della legislatura..”
Nessuna cambiale, il deputato ha scelto di rateizzare il contributo di 15 mila euro al Partito Democratico Nazionale e 35 mila euro al PD regionale dove io sono stato indicato ed eletto. Soldi che Cuperlo verserà in modo rateizzato.
Chi ha alle spalle un buon reddito, chi garantisce maggiore visibilità al partito e dunque ha maggiori possibilità di prendere più voti, viene scelto. Le competenze e anche l’etica, in generale, passano in secondo piano.

Il M5S è stato tra i principali sostenitori dell’abolizione del finanziamento pubblico, sulla scia dei tanti scandali: come si finanzia il partito di Conte?

Risponde il presidente del movimento Giuseppe Conte: “Tutto il grosso, 4,5 milioni di euro, arrivano dagli eletti, parlamentari e consiglieri regionali che per vincolo statutario e per codice etico devono versare un contributo.”

Soldi che, diversamente da altri partiti, vanno ad alimentare sia l’ordinaria amministrazione che un fondo per progetti di beneficenza.
Ogni deputato restituisce 2500 euro ogni mese: come gli altri partiti è il contributo degli eletti a garantire la sopravvivenza di un partito e il numero di parlamentari sposta milioni di euro.

Con meno eletti oggi, si muovono meno soldi: il tema dei mancati fondi è tornato in agenda politica la scorsa estate, a porlo è stato uno dei colonnelli dei 5 stelle, Stefano Patuanelli, in una intervista al Corriere della Sera.
Con l’abolizione del finanziamento ai partiti si sono confusi i costi della politica coi costi della democrazia – questo era il senso della sua uscita, che suscitò una reazione negativa anche all’interno del movimento, quello di Patuanelli è solo un parere personale disse Conte.
“Ho spiegato che, in un mondo ideale, il finanziamento pubblico dovrebbe sostenere almeno parzialmente, quei costi, senza finanziamento pubblico c’è il privato e non è detto che sia meglio.”
C’è stato un chiarimento tra Conte e Patuanelli, quest’ultimo non intendeva tornare al vecchio sistema.

Oggi il M5S chiederà comunque soldi pubblici accedendo al 2 x mille, cosa una volta impensabile: i tempi cambiano, purtroppo. Va detto che i bilanci del passato erano in attivo, ma col taglio dei parlamentari - altra riforma voluta dai 5 stelle – mancheranno i versamenti, ma ora hanno il cuscinetto, spiega il consulente di Report Gian Gaetano Bellavia, “nel cuscinetto della liquidità vecchia avranno il 2xmille e forse ce la fanno. È chiaro che devono ridurre i costi..”

Tra i costi che si dovrà tagliare ci sono i 300mila euro che ogni anno il movimento da a Beppe Grillo, sotto forma di consulenza per la comunicazione.
Perché non dovrei avvalermi di Beppe, prendendo un esperto esterno, prova a spiegare Conte, ma è come se Forza Italia avesse pagato per anni Berlusconi, che poi era quello che metteva i soldi nel partito: “io mi avvalgo di un comunicatore, che non ha un ruolo politico [sebbene sia il garante], l’essere garante è un vantaggio per me..”
Forse non si dovrebbe pagare un garante, proprio per garantirne il suo ruolo: “ma le regole le vuole fare lei?” la risposta di Conte al giornalista di Report che lo poneva di fronte a queste incongruenze.

Tutti i partiti chiedono soldi agli eletti, anche Forza Italia (sebbene in quel partito non tutti pagano, come emerso da un passato servizio di Report): cosa accadrà al M5S se non dovesse trovare soldi dagli eletti? Dovrà rinunciare al supporto come comunicatore di Grillo?

Ma il partito paga come consulente ex deputati che hanno finito il loro secondo mandato, come Crimi e Taverna, assieme all’ex deputato Puglia, che oggi si occupa delle buste paga.
Report ha scoperto che non ci sono obblighi di trasparenza per i contributi alla Camera, diversamente dal Senato: qui però non va indicato a chi arrivano i soldi, per una questione di privacy racconta Patuanelli.

Ma spulciando tra le spese al Senato del 5S, ci sono delle consulenze a diversi soggetti, senza destinatario: si tratta del lavoro per le buste paga, affidato a Sergio Puglia, ex senatore.
Altre sono consulenze fatte dal 5S ad ex esponenti del movimento, come Crimi e Taverna, oggi diventati collaboratori dei parlamentari in Camera e Senato.

A vigilare sui finanziamenti, sulle candidature, c’è la commissione di garanzia degli Statuti e di Trasparenza, che però lavora senza personale a sufficienza e senza budget: sono una commissione di garanzia ma non sono una autorità indipendente, non riesce a vigilare a sufficienza, chi dovrebbe dare fondi sono gli stessi vigilati.

Il controllo della trasparenza rimane una Chimera: il Belsito di turno potrebbe comprare dei diamanti, facendoli passare per una consulenza.

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di Gregorio Scribano (---.---.---.44) 11 dicembre 2023 11:24
    Gregorio Scribano

    Il finanziamento dei partiti politici in Italia ha suscitato diverse criticità nel corso degli anni nel sistema politico italiano.

    1. Il sistema di finanziamento dei partiti in Italia è stato spesso criticato per la mancanza di trasparenza. Le modalità di raccolta e gestione dei fondi possono non essere sufficientemente chiare, rendendo difficile per il pubblico comprendere da dove provengono i finanziamenti e come vengono utilizzati.

    2. La mancanza di trasparenza può aprire la porta a pratiche corruzione e influenze indebite. Se i finanziamenti non sono adeguatamente regolamentati e monitorati, c’è il rischio che i partiti politici siano influenzati da interessi particolari, compromettendo l’indipendenza e l’imparzialità del processo politico.

    3. In passato, i partiti politici in Italia hanno spesso dipeso fortemente dal finanziamento pubblico, il che ha sollevato critiche riguardo all’efficace utilizzo delle risorse pubbliche. La dipendenza eccessiva dal finanziamento pubblico può anche portare a una distribuzione iniqua delle risorse tra i partiti.

    4. Il sistema normativo che regola il finanziamento dei partiti in Italia è spesso complesso e soggetto a modifiche frequenti. Questo può rendere difficile per i cittadini e gli attori politici comprendere appieno le regole e può essere un terreno fertile per interpretazioni ambigue.

    5. La mancanza di sanzioni efficaci per violazioni delle norme di finanziamento può indebolire il sistema. Se le conseguenze per violazioni sono deboli o inconsistenti, i partiti potrebbero essere meno inclini a rispettare le regole stabilite.

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