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Renzo Riva

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  • Di Renzo Riva (---.---.---.223) 5 gennaio 2010 13:44
    Renzo Riva

    Facile soluzione:

    DEINDUSTRIALIZZARE

    e per fare ciò dò la seguente ricetta:

    Non fornire più l’energia elettrica se non quella localmente prodotta alle regioni che non accettano la possibile installazione degli indispensabili siti nucleari.

    Le regioni a questo punto non potranno rivolgersi per le loro forniture elettriche a Paesi comunitari e extracomunitari che hanno l’elettronucleare perseguendo eventuali forme di triangolazioni delle forniture.

    Qualora poi le prodigiose fonti cosiddette rinnovabili, che a questo punto dovranno autofinanziarsi e non più essere incentivate a discapito delle finanze pubbliche, non ce la facessero a sostenere le necessità delle imprese basterà che queste delocalizzino dove l’energia sarà disponibile.

    Provvedano poi le regioni alle necessità della eventuale manodopera che sarà eventualmente espulsa da tali ristrutturazioni.

    Giustizia vuole che ognuno paghi il fio dei suoi errori fossero anche intere comunità.

    Non risponde al vero che i popoli non sono responsabili di cosa fa la sua classe dirigente.

    Questa è una storiella che va bene per le bacate menti sinistre.

    Mandi,

    Renzo Riva

    [email protected]

    349.3464656



    http://www.ilmovimento.eu/index.php?option=com_content&task=view&id=713&Itemid=82


    Tenetevi le pale, ma non rompete le “assonanti”      

    di Giorgio Prinzi

    L’improvvida modifica del Titolo V della Costituzione ha delegato alle Regioni competenze in materia di energia. La Sardegna, infatuatasi del costoso ed inefficiente eolico, chiede ora aiuti allo Stato per contenere il prezzo dell’energia. Intanto Alcoa di Portovesme e Fiat di Termini Imerese rischiano di chiudere.

    Secondo quanto riferito da un lancio dell’Ansa di Cagliari dello scorso 30 dicembre 2009, l’Alcoa, la multinazionale dell’alluminio con sede a Pittsburgh, in Pennsylvania (Usa), ha ribadito l’intenzione di chiudere dal prossimo giovedì 7 gennaio 2010 gli stabilimenti italiani se non gli verrà effettivamente  una tariffa energetica competitiva.

    L’amministratore delegato di Alcoa Italia, Giuseppe Toia, lo avrebbe comunicato ai sindacati in un incontro a Iglesias. Sarebbero a rischio oltre 2000 operai, indotto escluso, che lavorano negli impianti di Portovesme in Sardegna e Fusina in Veneto.

    L’Alcoa riscia di chiudere perché nella Sardegna "supereolificata" da Soru l’energia elettrica costa il 40% in più della media nazionale. Nonostante alcuni provvedimenti assistenzialisti di alcune settimane orsono, evidentemente solo virtuali e comunque insufficienti, il problema sembra permanere. L’Azienda chiederebbe una tariffa elettrica garantita di intorno ai 30 euro al megawattora.

    Non si è fatta attendere la replica del Presidente della Regione Sardegna che secondo un lancio da Cagliari dell’Adnkronos dello stesso giorno 30 dicembre si sarebbe detto meravigliato della presa di posizione dell’Alcoa in quanto sarebbe già in agenda un incontro al Ministero per lo Sviluppo Economico proprio per fare il punto della situazione. In questa prospettiva, la presa di posizione della multinazionale statunitense sembra un ultimatum: tariffa sicura garantita o si chiude!

    «Il Governo nazionale - avrebbe, secondo Adnkronos, affermato il Presidente Cappellacci - in ossequio agli impegni presi, ha posto in essere atti concreti, dimostrando una disponibilità che non lascia adito a dubbi e sulla quale ripongo gran parte delle mie speranze. Per arrivare al risultato cui aspiriamo, però, occorrono comportamenti responsabili e reciproci da parte di tutti».

    Ma sono proprio gli Amministratori locali a non avere comportamenti responsabili. Lo stesso Cappellacci, che pure è un esponente del Popolo della Libertà e quindi dovrebbe sostenere il rilancio del nucleare, si è pronunziato contro questa opzione, se non altro come indisponibilità ad ospitare centrali elettronucleari nella sua “ecologica” ed “supereoloficata” Sardegna.

     

     

    Sopra: un grafico dell’Enel che mostra la distribuzione in ore/anno dei venti in un sito tipico in Sardegna

     

    Sotto: l’andamento delle potenze erogate da una girante eolica in funzione della corrente aerea

     

     

     

    Dobbiamo finirla con l’idiozia delle cosiddette rinnovabili, costosissime, inefficienti e persino invalidanti il sistema elettrico. Il Governo ha sbagliato, anche se alla vigilia di una delicata tornata elettorale, a cedere alle pressioni di chi ne trae profitto e non tagliare le regalie di cui godono, ritirando uno specifico emendamento in Finanziaria.

    Solo la veloce ripartenza del nucleare e la cancellazione degli oneri spuri in bolletta derivanti dalle cosiddette rinnovabili può consentire il rilancio dell’economia.

    La gente deve capirlo e lo devono capire anche e soprattutto i politici (compresi i nostri), spesso solo ignoranti e demagoghi, che assecondano tutte le più assurde credenze popolari, come quelle ecoambientaliste sull’energia, perché altrimenti temono di perdere voti.

    Si dica chiaramente, quando si gettano soldi in questo genere di impianti ritenuti ecologici, che le conseguenze saranno di pagare l’energia molto, ma molto più cara della già cara da fonti fossili, e di chiudere le industrie a cominciare da quelle a maggiore intensità energetica.

    La Sardegna ha fatto le sue scelte e vi persiste rifiutando, nonostante il cambio di maggioranza, il nucleare. Anche la Sicilia, che ha deturpato con tante installazioni eoliche uno stupendo paesaggio con rischio dell’equilibrio idrogeologico (i basamenti per sorreggere gli eolomostri oltre a rendere indisponibile il terreno per futuri usi agrari o forestali, innescano pericolosi fenomeni di erosione a causa dei cosiddetti “moti filtranti”), lamenta una crisi industriale di settore. Come mai produrre le auto a Termini Imerese costa di più che in altre parti d’Italia? Forse che, come in Sardegna, il costo dell’energia elettrica è lievitato a seguito delle politiche a favore delle cosiddette rinnovabili? Pongo una domanda, non avendo analizzato la situazione siciliana, come ho fatto invece per quella sarda, quindi parlo solo in via ipotetica e per supposta analogia.

     

    Ore statistiche annue di utilizzo degli impianti eolici nelle varie regioni d’Italia.

     

    Si corre ora il rischio di chiudere industrie trainanti, ma energivore. Cosa vogliono costoro? Si assumano le responsabilità della loro demagogica ignoranza e si tengano le pale eoliche di cui sono tanto orgogliosi, ma non vengano ora battere cassa per i loro errori con il Governo nazionale, altrimenti andremo a fondo tutti. Si tengano le loro pale, ma non rompano agli altri le “assonanti”.

    Possibile che nessuno abbia il coraggio di cantarlo chiaramente in faccia a tutti costoro? Possibile che gli uffici ministeriali “competenti” oltre che da “fannulloni”, su cui tanto pontifica il ministro Brunetta, siano anche infestati da ignoranti e incompetenti in materia?

    Che Silvio Berlusconi intervenga e, se necessario, cambi anche i ministri responsabili e gli acquiescenti portavoce dell’apparato!

    Giorgio Prinzi

    Roma: martedì 5 gennaio 2010

  • Di Renzo Riva (---.---.---.42) 1 gennaio 2010 17:04
    Renzo Riva

    aggiorno alcuni dati mal rappresentati:


    FOT(t)OVOLTAICO

    I numeri del suo fallimento

    Vi risparmio i numeri dei costi


    __________2004__ 2005_ 2006__ 2007__ 2008

    MW__________7,1_____7,1____7,1_____88,0___431,0
    GWh_________4,0_____4,0____ 2,3_____39,0___193,0
    kWh/kWp___563,4___563,4___323,9____443,2___447,8



  • Di Renzo Riva (---.---.---.107) 22 dicembre 2009 00:32
    Renzo Riva
    Signor Mario Guidi,
    Vuole fare dell’eco-terrorismo?
    Arriva in ritardo le hanno già soffiato il posto.
    Mandi,
    Renzo Riva
    349.3464656

    «I negazionisti del clima? Venduti» Al Gore vince il nobel dell’ipocrisia


    Al Gore ha dichiarato che chi nega la responsabilità umana del riscaldamento globale è pagato dagli inquinatori. Lo stile delle dichiarazioni ricorda quelle del mafioso pluriomicida Spatuzza, che parla tanto per emettere aria - alquanto fetida, in verità - ma con tanti allocchi intorno disposti a respirarla a pieni polmoni. Mentre Al Gore non può offrire dimostrazione alcuna della malafede che, a suo dire, animerebbe quelli che egli chiama negazionisti, noi possiamo offrire ampi indizi della sua malafede. La stessa parola - negazionisti - è deliberatamente usata per evocare un automatico accostamento ai negazionisti dell’Olocausto nazista; il che, se spinto fino alle logiche conseguenze, vorrebbe suggerire la messa sotto processo dei dissidenti in tema di clima per crimini contro l’umanità. Privo di argomenti, insomma, Al Gore ci liquida accusandoci di essere criminali e pagati.
    Dico «ci» perché io sarei un negazionista: sono membro dell’N-Ipcc, una istituzione internazionale che ha fornito ampie e documentate prove della totale assenza di responsabilità umana sul clima del pianeta. Ma sto ancora cercando nel mio conto in banca, non avendoli ancora trovati, i proventi di quei pagamenti.
    Al contrario, invece, in questi giorni è emersa la colossale frode che proprio ad Al Gore ha fruttato il Nobel per la pace. Dovremmo però dire ri-emersa, visto che è da almeno 10 anni che è noto l’imbroglio. Il suo premio Al Gore lo ha diviso con l’Ipcc, il noto comitato dell’Onu investito del problema climatico. Orbene, l’Ipcc era gravato dal pregiudizio già sul nascere, visto che il suo statuto recitava che compito del comitato era «stabilire, in modo completo, oggettivo, aperto e trasparente, le informazioni scientifiche, tecniche e socio-economiche rilevanti per comprendere le basi scientifiche dei rischi dei cambiamenti climatici indotti dalle attività umane». Insomma, l’Ipcc aveva già deciso che le attività umane influenzano il clima prima ancora di cominciare a operare. Nel suo Primo Rapporto (1990), lacunoso nell’ignorare gli effetti del vapore acqueo, delle nuvole e del sole sul clima della Terra, e ignorando gli scienziati che sottolineavano la lacuna, l’Ipcc «prediceva» ciò che i politici dell’Onu volevano predicesse: il disastro planetario come conseguenza dell’immissione in atmosfera della CO2. Il Secondo Rapporto (1996) si macchiò addirittura dell’infamia di gravi alterazioni nella stesura del Riassunto che fu poi dato in pasto all’opinione pubblica, tant’è che diversi scienziati dello stesso Ipcc protestarono (memorabile è la lettera di denuncia, pubblicata sul Wall Street Journal, di Frederick Seitz, presidente della Società di fisica e dell’Accademia nazionale delle scienze americane). Il Terzo Rapporto dell’Ipcc è invece memorabile per aver fatto proprio e diffuso il famoso grafico «a mazza da hockey» delle temperature medie globali, prodotto della «ricerca» di un inesperto studente, tale Michael Mann (poi subito gratificato con incarichi spropositati al proprio curriculum), il quale aveva cancellato con un tratto di penna sia il periodo caldo medioevale che la successiva piccola era glaciale, facendo apparire le temperature attuali le più elevate del millennio (sappiamo invece che per un paio di secoli attorno all’anno Mille il pianeta fu più caldo di adesso). Quel grafico indusse l’approvazione operativa del Protocollo di Kyoto, ma fu subito dopo dimostrato essere un falso scientifico, tant’è che il Quarto Rapporto dell’Ipcc (2007) neanche lo cita più.

    Il terrore diffuso dai Rapporti dell’Ipcc ha attirato l’attenzione dei media, che ha incrementato il flusso di risorse, che a sua volta ha vieppiù foraggiato la propaganda politica, in un vortice senza fine. Si sono creati nuovi «posti di lavoro», occupati da una pletora di persone prive di alcuna competenza scientifica, ma che traggono così di che vivere. Il vortice è oggi ingigantito dagli interessi per la diffusione delle tecnologie eolica e fotovoltaica che sono costosissime e prive di alcun valore nella produzione d’energia elettrica, e possono essere mantenute in vita, quegli interessi, solo grazie a questo clima di terrore.


  • Di Renzo Riva (---.---.---.107) 22 dicembre 2009 00:12
    Renzo Riva

    Articolo magistrale del prof. Franco Battaglia

     

     http://www.ilgiornale.it/interni/il...

    Il nucleare aiuterà l’ambiente più dei falsi eco-profeti
    di Franco Battaglia
     
    LETTERA Caro premier, aveva visto giusto nel 2008: contro lo smog servono 1.000 nuovi reattori
     
    Caro Presidente Berlusconi,
    «chi contro all’opinione d’altri ha predetto una cosa nel modo che poi segue, non pensi che i suoi contraddittori, veduto il fatto, gli diano ragione e lo chiamino più saggio o più intendente di loro; perché o negheranno il fatto o la predizione, oppure diranno che questa e quello differiscono nelle circostanze, e in qualunque modo troveranno cause per le quali si sforzeranno di persuadere sé stessi e gli altri che l’opinione loro fu giusta e la contraria errata».
    Così il Leopardi nel IX dei suoi Pensieri.
    Al G8 del 2008, in Giappone, lei, signor Presidente, parlò della necessità di installare nel mondo, possibilmente in tempi rapidi, 1.000 nuovi reattori nucleari. La sua dichiarazione fu accolta con aria di sufficienza dai potenti del mondo.
    Gli stessi che in questi giorni avrebbero dovuto registrare il loro totale fallimento a Copenaghen, e che invece si arrampicano sugli specchi con le più stravaganti reazioni.
    C’è chi dice che quello di Copenaghen è stato solo un «primo passo», eppure mi sembra ieri quando, già nel 2000, tromboneggiavano che il protocollo di Kyoto sarebbe stato il «primo passo».
    A chi (noi) chiedeva loro quali avrebbero dovuto essere i passi successivi, nessuno sapeva rispondere. E a chi (sempre noi) osservava che anche quel primo passo, per ragioni meramente tecniche, non sarebbe stato attuato, addebitavano incompetenza, in ciò facendosi sostenere dal parere di «esperti» e premi Nobel.
    Poi (2003) il protocollo di Kyoto fu approvato e reso operativo ma, come previsto, non è stato possibile attuarlo. Per ragioni tecniche, appunto; e nonostante i fantastici sforzi economici che le economie ricche hanno profuso in quella colossale frode che chiamano green economy.
    C’è chi dice che alla carnevalata di Copenaghen ne seguiranno altre - pare in Germania fra 6 mesi e in Messico fra 12 - ove assumere impegni vincolanti: con 6 e 12 mesi di anticipo avanziamo oggi la nostra previsione di fallimento, consapevoli naturalmente delle parole di Leopardi.
    Copenaghen è passata, e su essa un pietoso velo è stato steso da tutti gli organi di informazione. Domenica, ad esempio, ho eccezionalmente acquistato il Corriere della Sera.
    Mi son detto: è domenica, e sicuramente il professor Sartori, che per anni ha tromboneggiato sul primo quotidiano nazionale allarmando sul (presunto) problema climatico, dirà qualcosa su Copenaghen. Ho indovinato a metà: Sartori era là, in prima pagina, prima colonna, ma, rimossa la parola clima, scriveva della questione musulmana.
    Un grande, Giacomo Leopardi, nevvero? Aveva capito tutto del mondo.
    Ma torniamo al mondo e alla sua proposta dei 1.000 reattori nucleari, signor Presidente. A suo tempo lei fu sbeffeggiato da tutti, ma pazienza: soprattutto dopo quel che le è capitato, credo che degli sbeffeggiamenti se ne faccia un baffo. Lei aveva pienamente ragione: 1.000 nuovi reattori nucleari ridurranno le emissioni mondiali di CO2 del 20 per cento, signor Presidente. Lei, insomma, appare l’unico che ci vede in un mondo di orbi. Insista, allora, coi grandi del mondo: 1.000 reattori nucleari sono quelli il vero «primo passo» per affrontare il problema del mondo, quello vero. Che è non il clima ma la fame di 2 miliardi di abitanti il mondo o; il che è lo stesso, la necessità di approvvigionarsi d’energia.
    Perché, sia chiaro a tutti, l’80% dei costi di ciò che mangiamo sono costi energetici.

     

    Mandi,

    Renzo Riva

    [email protected]

    349.3464656

  • Di Renzo Riva (---.---.---.124) 19 dicembre 2009 23:35
    Renzo Riva
    Damiano Mazzotti condivide quanto il prof. Battaglia ha scritto oggi su "il Giornale"?

    IL VERTICE DI COPENAGHEN


    Meravigliarsi del fallimento della carnevalata di Copenaghen è come meravigliarsi che stamattina, quando ci siamo alzati dal letto, il sole fosse già sorto. Personalmente, a dire il vero, mi sento un po’ mortificato. Avevo a suo tempo già previsto su queste pagine i fallimenti delle Conferenze dell’Aia (2000) e di Bali (2007), e infatti entrambe fallirono. Come se non bastasse, ogni tanto sono invitato alla radio o alla televisione, ove non faccio altro che dire a voce ciò che qui metto nero su bianco. Il senso di mortificazione nasce dal fatto che mi sento un disco rotto, condannato a ripetere che non c’è da meravigliarsi che il sole sia sorto questa mattina e che continuerà a sorgere tutte le mattine sino alla prossima era glaciale, e oltre. 
    In questi anni ho cercato di guardare al necessario fallimento di queste conferenze da angolazioni sempre diverse, non foss’altro per non annoiare il lettore e me stesso. Con la pazienza certosina ormai incallita, tentiamo anche oggi un altro cammino, con l’avvertenza che il punto d’arrivo sarà sempre lo stesso: l’ineluttabilità del fallimento della questione climatica finché ci si ostina ad affrontarla seguendo l’agenda di quel concentrato di crassa ignoranza che sono le associazioni ambientaliste di ogni ordine e grado.
    Facciamo i conti della serva, che sono sempre i migliori. Bisogna innanzitutto sapere che la produzione elettronucleare mondiale (300 gigawatt) incide per circa il 6% sulla produzione d’energia primaria. Detto diversamente, i reattori nucleari del mondo evitano l’immissione in atmosfera del 6% della CO2 immessa dall’uomo. Ergo, se si volesse ridurre le emissioni di CO2 del 6% entro il 2020, dobbiamo entro quella data raddoppiare il parco elettronucleare mondiale: 300 nuovi reattori nucleari nel mondo entro il 2020, per i quali servirebbero 1.000 miliardi di dollari. Capite, o potenti del mondo, perché continuerete a fallire anche se vi azzardaste a fantasticare di voler ridurre le emissioni solo di un miserrimo 6%?
    Non contenti, però, non solo il miserrimo 6% non vi basta e mirate alle alte (si fa per dire) sfere del misero 20%, ma la parola nucleare non la nominate neanche, mentre vi riempite la bocca di turbine eoliche e tetti fotovoltaici (FV). Ora, per fare quel che fa una centrale nucleare (3 miliardi di euri) sarebbe necessario un parco eolico di 6000 turbine (6 miliardi di euri) o un parco FV da 60 miliardi di euri. Ergo, per ridurre le emissioni di un miserrimo 6% dovreste impegnare o 2.000 miliardi di euri in 2 milioni (fatemelo ripetere: 2 milioni) di turbine eoliche o 20.000 miliardi di euri (fatemelo ripetere: 20.000 miliardi) nei tetti FV equipollenti. Insomma, dopo 10 anni, i 100 miliardi l’anno proposti da Obama avranno l’effetto di ridurre le emissioni solo del 6% purché impegnati tutti nel nucleare, del 3% se impegnati nell’eolico e dello 0,3% se impegnati nel fotovoltaico. Capite, allora, o potenti del mondo, che i vostri consiglieri, anche se premi Nobel, vi (ci) stanno prendendo per i fondelli?
    Purtroppo deve ancora venire - si fa per dire - il bello. E il bello è che le dette migliaia di miliardi di euri spesi in turbine eoliche e in tetti FV ridurranno, sì, le emissioni globali del 6%, ma non consentiranno la chiusura di alcun impianto convenzionale, sia esso a gas, a carbone o nucleare: devono esserci tutti per garantire l’assenza di black out quando il sole non brilla o il vento non soffia. Capite allora, o potenti del mondo, che le tecnologie eolica e FV sono una colossale frode, la prima, e una colossale frode al cubo, la seconda?

    Qualche anima candida insiste che dovremmo invece ridurre l’uso dell’energia. Una riduzione di quel misero 20%, spalmata su tutti i settori che usano l’energia, significa, ad esempio, che 20 giorni ogni 3 mesi gli automezzi del mondo dovrebbero completamente bloccarsi. Non significa altro. E via di questo passo. Qualche altra anima candida vorrebbe risolvere il (presunto, sia chiaro) problema aumentando l’efficienza; ma abbiamo ripetuto fino alla noia che l’efficienza - ottima cosa in sé - ha il controproducente effetto di far aumentare i consumi d’energia, cioè le emissioni e, quindi, di aggravare il (presunto, sia chiaro) problema.
    Bisognerebbe allora gioire perché anche a Copenaghen - come già all’Aia e a Bali - è la forza della ragione che vince. Ma nessuno sembra rendersene conto e tutti sono immotivatamente tristi. Come mai? Forse perché, come diceva quel saggio, due sono le cose infinite: l’universo e la stupidità umana, ma della prima non siamo sicuri.



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