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Regionali 2010

Con il voto del 28 e 29 marzo, il centro destra si conferma come la coalizione di maggioranza aumentando le regioni da loro gestite; il dato più importante è la vittoria nelle regioni più popolose d’Italia: Veneto, Lombardia, Piemonte, Lazio e Campania, questo comporta che, attualmente, i governi regionali gestiti dal centrodestra governano quasi la metà degli italiani, circa 30 milioni di italiani.

Regionali 2010

Da sempre, le regionali di metà legislatura, sono viste come un test al governo in carica perché rappresentano il voto di più della metà degli elettori, però è la prima volta che la campagna elettorale è stata improntata su tematiche nazionali - impegnando in prima persona i leader dei partiti - anziché locali proprie del tipo di consultazione; ciò è la causa principale dell’aumento dell’astensionismo verificatosi un pò ovunque con calo nelle preferenze dei maggiori partiti rispetto alle regionali del 2005.

Inoltre, durante la campagna, si sono privilegiati, in linea generale, i problemi di natura etico/morale invece di entrare in merito ai problemi reali della popolazione spingendo circa il 10% degli elettori ad astenersi.

Al proposito ci diranno, da destra, che la colpa, dell’astensione, è da addebitare all’intromissione in politica delle vicende private dei politici, in primis quelle del primo ministro, create ad arte dai giornali, d’accordo con l’opposizione, per delegittimare il premier stesso e dalla eslusione della lista Pdl nel Lazio; da sinistra che la colpa è da addebitare ai tanti, troppi, problemi reali non trattati nella campagna elettorale e ai tentativi di impedire il dibattito pubblicamente (divieto dei talk show politici nella tv pubblica).
 
Risultato
Tornando al risultato, bisogna chiedersi come mai, di fronte a problemi impellenti - e poco importa il tipo di propaganda fatta perché, comunque, la popolazione, di fronte alla perdita del lavoro o all’aumento dei prezzi o alle privatizzazioni di cose essenziali alla vita, come l’acqua, si aspetta dalle amministrazioni la soluzione di detti problemi - abbia optato per il centro destra - da sempre propenso a difendere interessi particolari attraverso una politica economica indirizzata sempre più verso il liberismo che verso il liberalismo sociale - e non il centrosinistra - da sempre impegnato alla salvaguardia degli interessi dei più deboli e comunque alla conquista e difesa dei diritti e indirizzato ad una politica economica che tenga conto anche delle esigenze della gente e non solo quelle del mercato; la scelta fatta presuppone che l’elettore si sia convinto che l’economia non sia più al servizio della collettività ma, viceversa, che sia la collettività al servizio dell’economia.

Le scelte fatte dai governi, inclusi quelli di sinistra, precedenti indicano che la tendenza è proprio quella di un’economia liberista - si veda la legge Biagi che introduce il precariato e le privatizzazioni che hanno reso possibile la gestione della cosa pubblica da parte dei privati - rivolta ai bisogni del capitale più che a quelli della popolazione. Politiche che hanno messo in difficoltà un po’ tutto il sistema assistenziale che era stato costruito nell’economia precedente (mista) e che oggi proprio i cittadini ne risentono maggiormente. Inoltre, la tendenza a costruire un sistema basato su equilibri politici di due coalizioni ha allontanato il partito stesso dalla base che era il presupposto dei vecchi partiti, e che, con essa (la base), costruivano le loro politiche. Questo a fatto si che l’elettorato, non avendo più il partito come riferimento reale del suo operare quotidiano ma solo come entità politica astratta, dovendo scegliere tra due entità che lo rappresentano solo nella misura in cui lui stesso decide di dare il voto, la sua scelta non si basa più su programmi derivati da una visione ideologica della società - la dove il programma è la fase iniziale di una lotta tesa a modificare la società - ma, più semplicemente sull’immediato, sull’oggi o per meglio dire, su chi riesce a rappresentare la realtà cosi come viene percepita, nell’immediato, dall’elettorato.

Elettore e informazione
In questo contesto viene spontaneo chiedersi se il cittadino ha ancora i mezzi per una decisione basata su un’analisi dei problemi visto che non ha più, come punto di riferimento, un’idea di quello che dovrebbe essere il futuro - che in passato era rappresentato all’interno dell’ideologia - anzi, è probabile che, in modo particolare i giovani, non sentano più il futuro come mezzo di paragone nell’analisi dei problemi. Inoltre, la maggior parte delle informazioni sui partiti gli vengono, non dai partiti stessi ma dall’informazione che, comunque, è costretta entro i limiti della concorrenza.

Non per questo il cittadino è più ignorante del passato anzi, qualora gli vengono a mancare i dati necessari all’analisi o ritiene che i dati siano manipolati, lo manifesta col non voto; non voto che non dipende da ciò che dicono i politici e cioè dalla "noia" verso la politica ma dalla piena consapevolezza di non essere l’obiettivo finale della politica ma solo il mezzo dei politici per il raggiungimento del potere.

Perciò abbiamo, da una parte cittadini che scelgono a priori il partito - o perché militanti degli stessi o per simpatia verso i candidati o perché ritengono conveniente per loro il voto al tal partito, dall’altra parte cittadini che sono indecisi perché non riescono a riconoscersi, per mancanza di informazioni, in nessuno dei candidati o partiti. Ovvio che c’è una percentuale di non votanti per scelta.
 
Conclusione
Il voto delle regionali è lo specchio della società odierna dove l’elettore, invece di essere il destinatario del voto, è l’inconsapevole legittimatore di quella politica che tende sempre più ad escluderlo dalle decisioni.
 

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