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Recensione di "I sogni in TV", racconto di Angelo Australi

Il neorealismo di Angelo Australi stupisce in questi tempi di edulcorato spiritualismo. Le cene senza la televisione dei primi anni ’60 non indulgono al "come erano belli i vecchi tempi". Anticonformista in tutto, Australi presenta un gustoso spaccato di vita familiare con le sue soddisfazioni ed i piccoli drammi del quotidiano.

Spartaco, il ragazzo che osserva, attento e commosso, ironico e preoccupato, è già un archetipo della letteratura italiana contemporanea. Il suo privilegio, in un mondo a forza preso da altro, condurrà quasi ad una sorta di nemesi finale il racconto.

Nel suo realismo magico della memoria, intimistico ma saldamente ambientato nella Casa del popolo, il posto della festa di allora, Angelo Australi come un Nanni Loy della penna, più umano, tratteggia alcune figure indimenticabili nei loro gesti sicuramente fotografati per esempio davanti al prorompente apparire della televisione e del varietà al Circolo. Una radiografia dei moti e dei moventi interni più che una registrazione della lingua parlata di allora che comunque non manca. Una lucida analisi della fatica di vivere del proletariato inteso come condizione umana e vita agra e sue conseguenze sui moti dell’anima ma anche le speranze e le illusioni, segno corporeo del vivere anch’esse.

L’ingiustizia è nei rapporti di classe? Non è dato dire. Il romanzo breve , o racconto lungo che dir si voglia, "I sogni in Tv", non permette analisi sociali accurate.

Resta il duro quotidiano familiare, già una condanna di un sistema sociale diseducante ed opprimente, presente come mancanza di lavoro e di companatico.

L’oppio dei popoli , consapevolmente assunto, diventa allora la televisione: un altro mondo è possibile al di là del vetro del tubo catodico. E siamo noi: i figli del boom anni ’60 e del sogno americano.

 

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