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Racconti d’Africa, racconti del mondo

Vecchi, sporchi e cadenti muri d'Africa, su cui stanno appoggiati uomini senza speranza. Malattie che s'innalzano con il fumo di mille fuochi o si depositano in latte arrugginite per raccogliere acqua da provvisorie pompe, e quelle non hanno il fascino delle mille fontane di Roma. Ma quando c'è l'acqua, facce sudate sorridono, è la felicità, miglia e miglia da fare, dopo un tempo infinito per riempire le taniche, sono così lontane le case, le baracche di lamiera e vecchio eternit, mille respiri uno sull'altro, odori, sudore, aliti affamati, cumuli d'immondizia sulle viuzze piene di cumuli d'immondizia che fermenta sotto il vecchio sole, rigagnoli fogna delimitano la proprietà, con i propri escrementi si segnano i territori nel mondo animale, l'animale uomo fa lo stesso, quando non ha altri modi per farlo.

Un vecchio baobab segna il centro del villaggio, il vento solleva la terra rossa, anziani seduti sotto tettoie cercando ombra, fumano erba e sorridono con denti ingialliti, parlano, raccontano storie, inventano favole, dicono bugie che ripetono da anni, sono storie di fantasmi, di vecchie magie, di donne dai grossi fianchi, non parlano mai di vita migliore, di mangiare di più, di ciò che le grandi compagnie portano via dalle viscere della loro storia, di quello che lasciano, miseria, rais armati che si combattono scovando vecchi odi tribali, pretesti o vere rivalse, ciò che conta è vincere le piccole guerre e avere una fetta di bottino, briciole che cadono da ricche tavole di mondi più ricchi.

Il muezzin chiama, Allah Akbar!, Dio è il più grande! I vecchi rimettono le vecchie ciabatte ai piedi sporchi di polvere e lentamente si avviano alla moschea per la preghiera della sera, lasciano la piazza, la loro Agorà, vanno a sentire l'Imam, che li guiderà nelle preghiere, nei sogni del paradiso promesso dal Profeta. Ma è nella Madrasa che Imam più feroci, dal pensiero guerriero che innalza giovani menti verso vette di fuoco, di guerra all'infedele, promettendo la felicità solo dopo il martirio, la morte da giusti, colpendo i nemici della vera fede. Cade pioggia, cade e trasforma la vita in fango, occhi scuri di bambini ancora innocenti guardano da baracche arroventate la vita che non sanno, la vita che non sapranno mai, nelle giovani menti entreranno presto i suoni della guerra, machete che tagliano teste come manghi maturi, kalashnikov, dal suono secco che seminano morte, rombo di jeep che irrompono nella piazza scaricando aguzzini dallo sguardo allucinato dalle droghe che donano coraggio, violenza e morte portano in dono. 

Africa, mondo, giovani anime che scappano dai loro Griot, ma portano le loro storie nel cuore, giovani anime che vanno per strade che non hanno più polvere, forse, ma sono strade dure, di duro acciaio, strade roventi d'estate e gelide d'inverno. Silenzio nella preghiera, ridendo poi con chi ride di loro, che altro potrebbero fare, genti che irridono i loro digiuni del Ramadan, o i loro tappetini per le preghiere, il loro non bere alcool, ma trattano sul prezzo della bigiotteria cinese che portano come antichi mercanti sulle piste infuocate di deserti.

Futuro? Sulle tenere note delle Kinderszenen di Schumann proviamo a sognare di bambini nutriti, curati, coccolati dalle madri, vezzeggiati ma anche istruiti da padri fieri, sani, non sconfitti o arresi ai cumuli di mosche o che aspettano la morte come una carezza salvifica. Forse è giunto il tempo di ripensare la vita non più come un mercato dove scambiare beni e prestazioni con denaro, smettere di essere disposti a qualunque cosa, anche la più abbietta in nome del denaro.

È ormai tempo di cambiare il tono della vita, di provare a essere più responsabili, più attenti all'altro, su un tram, in un centro commerciale, su un treno sovraffollato, all'uscita di una chiesa o su un marciapiede che diviene moschea, orecchie che ascoltano canti che salgono da antiche sinagoghe. Già dalle città della nostra vecchia Europa si può cambiare la vita di chi soffre con la tolleranza e l'accoglienza verso coloro che scappano dalla guerra, dalla fame, dalla morte, lasciando indietro, madri, padri, mogli, figli, amici. Fermiamoci un momento a pensare che ognuno di noi potrebbe trovarsi nella stessa condizione. Tramutiamoci in padri autorevoli e giusti, in madri carezzevoli, in figli rispettosi nei confronti dell'altro che, solo con la sua disperazione, non aspetta altro, altrimenti, vulnerabile come è, cede alle flautate, infernali note, di chi promette paradisi dopo la morte o, più facilmente, paradisi in terra fatti di soldi, auto, telefoni cellulari, vestiti, tutto ciò che la moderna civiltà può offrire.

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