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Rabbia e libertà in movimento

Il famoso sociologo Manuel Castells ha analizzato i nuovi movimenti sociali nel saggio “Reti di indignazione e speranza” (Università Bocconi Editore, www.egeaonline.it, 2012, anche ebook).

 

“Non cambierà la condizione di un popolo finché esso non cambi nel suo intimo”, è scritto sul Corano.

Castells (www.manuelcastells.info) è un sociologo spagnolo naturalizzato americano, che insegna Sociologia e Tecnologia della Comunicazione a Barcellona, Los Angeles e Berkeley. Il grande studioso dei media ha seguito da vicino i grandi movimenti delle nuove società internettiane e ha deciso di pubblicare un resoconto sintetico, empatico e concreto delle vicende tunisine, islandesi, egiziane, spagnole e americane. Naturalmente tutte queste popolazioni hanno contestato il potere perché è scomparsa la fiducia e “senza fiducia, il contratto sociale cessa di esistere e il popolo sparisce, trasformandosi in singoli individui sulla difensiva in lotta per la sopravvivenza”.

Ma i movimenti che vogliono rinnovare la società non possono limitarsi agli scambi via web e devono presentarsi in luoghi pubblici per creare comunità abbastanza grandi da riuscire a superare le ansie e le paure: “la paura è la soglia fondamentale che gli individui devono oltrepassare per potersi coinvolgere in un movimento sociale, essendo ben consapevoli del fatto che, come ultima risorsa, dovranno confrontarsi con la violenza, nel caso in cui varcassero i confini stabiliti dalle élite dominanti a tutela del loro dominio”. Gli attivisti più acculturati sono consapevoli delle difficoltà da superare per realizzare cambiamenti sociali molto significativi. Ad esempio uno slogan tra i più utilizzati dal movimento spagnolo recitava: “siamo lenti perché andiamo lontano”.

Per quanto riguarda la Tunisia si può affermare che le generazioni di giovani laureati disoccupati sono state le prime a creare e rafforzare online le relazioni e la fiducia popolare, e le prime nel perseverare nelle proteste. Successivamente hanno influito Al Jazeera e gli scioperi degli operai sindacalizzati, che però si erano resi indipendenti dai gruppi dirigenti che erano chiaramente collusi con il vecchio potere governativo. La motivazione principale della protesta era molto chiara e diretta, come esemplificata da un post apparso su Facebook: “La maggior parte dei politici ha i capelli bianchi e il cuore nero. Vogliamo gente cha abbia i capelli neri e il cuore bianco” (p. 6).

Nel caso dell’Islanda le cose si sono presentate diversamente, ma la sostanza del confronto sociale è simile: i due principali partiti che hanno portato al collasso economico erano al potere dal 1927 (da soli o in coalizione). La “rivoluzione delle pentole” dei cittadini, che è durata alcune settimane, ha costretto alle dimissioni i politici collusi e corrotti, e ha fatto fuggire i banchieri disonesti.

Così è nato un nuovo governo con facce nuove e con oltre il 50 per cento di partecipazione femminile. Sono state accertate le responsabilità delle truffe finanziarie; è stato regolamentato il sistema finanziario, anche attraverso il rafforzamento della vigilanza; è stato incentivato il vero sviluppo economico e la partecipazione dei cittadini alla vita politica, attraverso un processo di rifondazione costituzionale (la precedente Costituzione risaliva al 1944 come quella italiana). L’economia si è ripresa, la reputazione finanziaria pure, e “in effetti, secondo Bloomberg (2011), costa meno assicurare il debito islandese che il debito sovrano dell’eurozona” (p. 17).

Quindi i partiti alternativi islandesi non hanno imposto misure di austerità e “nel risarcire i clienti delle banche per le loro perdite, la priorità veniva data ai detentori di depositi piuttosto che ai detentori di obbligazioni. Ciò ha contribuito a mantenere la liquidità nell’economia, facilitando la ripresa”. Una piccola popolazione ha dato una grande lezione di civiltà a tutta l’Europa.

Invece l’Egitto è stato trascinato nella rivoluzione dall’esempio della Tunisia, dall’emittente televisiva Al Jazeera e dalla determinazioni di molti giovani, tra cui un dirigente di Google (Wael Ghonim), molte blogger attiviste (Asmaa Mahfouz, Nawara Nagu, Leil Zahura Mortada), innumerevoli citizen journalist ecc. Tuttavia “alcune ricostruzioni indicano che il timore che il movimento si estendesse alla forza lavoro industriale sia stato un fattore che ha spinto i generali, preoccupati per i propri interessi economici, a sacrificare il dittatore sull’altare del profitto” (p. 44).

Per quanto riguarda gli altri paesi del medio oriente, si può affermare che l’evoluzione positiva in Paesi come la Giordania e il Marocco è stata favorita dalla saggezza dei regnanti che hanno destituito i primi ministri e compiuto alcune riforme importanti. Invece le rivalità etniche, religiose e geopolitiche hanno incanalato la Siria, la Libia e lo Yemen verso la guerra civile.

In Spagna le proteste sono risultate poco incisive a livello governativo, anche perché il movimento degli “Indignados” non è stato “sostenuto da nessun partito politico, sindacato o associazione della società civile, ed è stato ignorato dai media”. I messaggi sono stati diffusi tramite vari social network (principalmente Facebook, Twitter, tuenti). E siccome non c’erano capi locali o nazionali, e leader o portavoce, i responsabili e i giornalisti dei principali media sono rimasti disorientati per tutta la durata delle proteste. In ogni caso lo spirito della sollevazione popolare può essere ben rappresentato da questo slogan apparso in uno striscione: “Questa non è una crisi, è che non ti amo più” (Plaza del Sol, Madrid, maggio 2011). La vecchia politica ha perso tutto il suo fascino.

Se il movimento spagnolo è stato “più espressivo che strumentale” (tranne a Barcellona, p. 107), negli Stati Uniti il movimento Occupy Wall Street è stato più incisivo a livello simbolico e mediatico (è pienamente riuscita la seduzione volontaria e involontaria nei confronti dei grandi media). Bisogna però aggiungere che in realtà il movimento americano ha preso origine dalla scelta anticonformista di Adbusters (www.adbusters.org), la rivista canadese che nel suo blog propose di replicare l’esperienza egiziana di Piazza Tahrir contro “la Gomorra finanziaria d’America”.

Infatti il sistema finanziario era quasi collassato, a causa delle truffe e delle speculazioni selvagge, e i manager vennero “salvati in extremis, e con i soldi dei contribuenti. Senza però dimenticare di intascare laute indennità, a ricompensa delle loro maldestre operazioni”. Del resto in America le ingiustizie sociali sono diventate economicamente insostenibili: dal 1976 al 2007 l’uno per cento della popolazione si intascata ben il 58 per cento dell’intera crescita economica. Gli aumenti di uno stipendio medio si sono aggirati intorno al 2 per cento, mentre le figure manageriali che nel 1980 guadagnavano circa 50 volte l’ammontare di un stipendio medio sono arrivati a guadagnare facilmente fino a 400 volte tale cifra (gli amministratori possono stabilire i propri stipendi).

Comunque al di là delle apparenze non è vero che la protesta si fosse concentrata su New York. Si era diffusa e allargata fino a coinvolgere più di 600 città e fino al punto da arrivare fino a Oakland, la città del Pacifico dove il movimento riuscì a bloccare uno dei porti più importanti degli Stati Uniti. Però il successo mediatico si è riversato sul movimento Occupy Wall Street che è diventato un grande movimento morale che influenza ancora oggi i discorsi pubblici (George Lakoff, http://georgelakoff.com).

In definitiva, ogni nazione moderna dovrebbe trovare il suo modo di “reinventare la democrazia”, per superare “un sistema economico impietoso che alimenta l’automazione computerizzata della finanza speculativa con la sofferenza quotidiana di uomini, donne” e bambini (p. 206).

Servono quindi nuovi filosofi politici per aiutare tutti noi a riflettere a fondo sui limiti delle persone, delle classi dirigenti, delle società e delle istituzioni laiche e religiose. E da giovane sognatore non più giovane, condivido pienamente l’ammonimento ai burocrati dei manifestanti spagnoli: “Se ci rubate i nostri sogni, non vi lasceremo dormire”.

Nota a pagina 200 - “Lo sciopero del sesso viene usato come forma di attivismo contro le banche. Tutto è cominciato quando una delle escort ha costretto uno dei suoi clienti a garantire una linea di credito e un prestito semplicemente rifiutandosi di fornirgli servizi sessuali finché non avesse adempiuto alle sue responsabilità con la società. La portavoce dell’associazione ha ribadito il successo dell’iniziativa. La donna ha aggiunto che i bancari hanno disperatamente bisogno di servizi sessuali, sono in uno stato talmente penoso che cercano invano di far finta di avere altre professioni, e hanno perfino richiesto l’aiuto del governo "per fare pressione sulle prostitute".

Nota personale - Di solito una persona disoccupata ha pochissimi soldi, è affamata, poco libera e molto incazzata. Questo fenomeno è innaturale, poiché per migliaia di anni gli esseri umani sono stati liberi di muoversi in ogni angolo della terra per procurarsi il cibo. Gli oligopoli, la forte specializzazione produttiva, la sovrappopolazione, il grande aumento dell’età media e della vita lavorativa hanno portato a una traumatica crisi di sistema. Perciò servirebbe il reddito di sussistenza in tutte le nazioni civili post industriali.

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