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Quirinale: compattati sul ‘nulla’ per rubarci il futuro

Giorgio Napolitano è il “nuovo” Presidente della Repubblica. Solo il 14 aprile dichiarava: «Non mi convinceranno a restare. Mia elezione non è soluzione e sarebbe al limite del ridicolo». A febbraio eravamo andati al voto per avere, dopo un anno di Governo tecnico dai risultati piuttosto modesti, un vero Governo politico, capace di guidare il Paese. Ma, visto il complicato risultato delle urne, questo atteso momento era stato rinviato a dopo l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica. Si financo temporeggiato per 15 giorni con l’idea da ultima spiaggia dei dieci saggi. E adesso, dopo sei estenuanti scrutini, ci ritroviamo al punto di partenza con uno stanco Napolitano riconfermato Capo dello Stato. Le uniche due novità sono che ora può realmente minacciare lo scioglimento delle Camere - ma non lo farà mai prima di settembre, visto lo stato comatoso in cui si trova il Pd dopo le ultime, clamorose débâcle - e la finta novità dell’unica maggioranza che ha sempre voluto sponsorizzare: ossia Pd-Pdl. Con Sel che torna a fare l’opposizione insieme al M5S.

E così ci ritroviamo con un’Italia indignata che aveva sperato nel cambiamento e chiesto ad una classe dirigente, incapace e miope, il tanto atteso cambio di rotta.

“E adesso?”. L’Italia è definitivamente spaccata in due, tre, e decine di altri piccoli personalismi.

Le stucchevoli dichiarazioni che parlano di “assunzione di responsabilità”, “ampia scelta condivisa”, “grande gesto di generosità” e “le migliori forze del Paese che si sono unite” sono il patetico finale di una farsa tutta italiana. “Bisogna che tutto cambi perché tutto rimanga com’è” di gattopardiana memoria è l’amara considerazione di una delle giornate più nere nella storia della Repubblica italiana.

Certo era difficile fare peggio di così. Era difficile sbagliare un rigore a porta vuota. Ma l’amarezza è che abbiamo la sensazione, nettissima, che si sia sbagliato perché ci si è venduta la partita.

I milioni di italiani che chiedevano l’elezione di una figura istituzionale come Stefano Rodotà, che solo fino a poche settimane avrebbe potuto essere un candidato del Pd, sono stati travolti ancora una volta dagli ‘inciuci’ di Palazzo. La bocciatura del Pd su Rodotà è disarmante: “Rodotà è bravo, è nostro, sarebbe bello. Però lo ha proposto Grillo. Quindi niente”.

Il suicidio definitivo del Pd è anch’esso un’opera d’arte. Difficile fare a pezzi un partito in così poco tempo. Potevano cambiare tutto e invece hanno rovinato tutto. Di sicuro la ‘responsabilità’, parola che piace tanto a Bersani, l’uomo che ha sbagliato tutto, è tutta del Pd e dei vari dalemiani, giovani turchi, renziani e margheritini contrari a Rodotà che hanno distrutto la storia di uomini come Marini e Prodi, salvando, ancora una volta, il Caimano. E ancor peggio hanno giocato a scacchi con l’Italia anticipando il loro Congresso sulla pelle degli italiani.

Bersani aveva rincorso o fatto finta di rincorrere Grillo per settimane e quando la convergenza era possibile su un nome, peraltro spendibile per il Pd, che fa? Si rivolge a Berlusconi per concordare un nome condiviso. Solo la debacle e gli insulti della base del Pd lo hanno fatto recedere.

Ciliegina sulla torta, la Casta (centrodestra e centrosinistra, salvo qualche rara eccezione) che si ricompatta e, arroccata, addita la “marcia su Roma” di Grillo come un attentato alla democrazia. È chiaro che non si tratta di un colpo di Stato anche perché, in una democrazia parlamentare, il Parlamento può decidere autonomamente, ma quanto spaventa il tam-tam grillino sul web? Con l’hashtag #tuttiaroma l’invito a partecipare alla mobilitazione davanti il Parlamento indetta da Beppe Grillo è uno schiaffo in faccia alla politica degli inciuci. E se Berlusconi e Maroni si dicono preoccupati della piega che può prendere un movimento antidemocratico come quello di Grillo, allora siamo a posto.

Con la Casta contenta, da domani avremo probabilmente Amato Premier o un Enrico Letta “giovane” con governo Pd, Pdl e Scelta Civica su programma dei “saggi” e per il futuro? D’Alema, il “trojan horse” della sinistra italiana, il miglior alleato da sempre di Berlusconi, pronto sulla sponda del fiume ad aspettare la prossima occasione per salire al Colle. E lui è ancora giovane mentre Napolitano, invece – ci dicono anche i cori dei commenti che parlano di “incredibile gesto d’amore, coraggio e generosità”- vecchio e non più in salute. Ai posteri…

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