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Questo non è un articolo (sulla mostra di Magritte)

Questo non è un articolo. O meglio, in principio voleva esserlo. Voleva essere un resoconto della visita alla mostra di René Magritte, pittore belga, a Palazzo Reale, in piazza Duomo a Milano. La mostra è intitolata: Magritte – Il mistero della natura, e resterà aperta dal 22 novembre 2008 al 29 marzo 2009.
 
Questo non è un articolo perché le parole dell’alfabeto occidentale non hanno quasi nulla di iconografico e, dunque, come potrebbero rendere le tonalità fredde, ambigue, antisentimentali dei dipinti esposti a Palazzo Reale? Oltretutto stiamo parlando di Magritte, che divenne famoso, tra l’altro, per la scritta che campeggiava sotto la sua rappresentazione di una pipa: «Ceci n’est pas une pipe» (Questa non è una pipa).
 
Cosa si cela, quindi, dietro la sua pittura?
 
Ogni riproduzione presuppone una ri-creazione. Nella dimensione umana niente esiste due volte uguale a se stesso. Non solo: il mondo, attraverso i sensi, non viene mai percepito dall’uomo due volte nello stesso modo. Ogni percezione fa parte dell’organo che la percepisce. Ogni immagine (ogni cosa in sé) esiste come ente indipendente e, allo stesso tempo, come parte dell’ente che lo contiene. Ad esempio, sul finire della seconda guerra mondiale, il Giappone proprio non voleva arrendersi, e oltretutto c’era da provare la bomba atomica. Così il presidente Truman diede l’ok per un lancio dimostrativo a Hiroshima. Nel cielo di un giorno d’agosto apparve un B52, la fortezza volante; in grembo cullava la roccia primordiale, innestata per liberare un nuovo Big Bang che azzerasse la storia moderna. Una roccia nel cielo, possibile? Era una novità per gli abitanti della cittadina giapponese: in previsione del Lancio, l’aeronautica americana aveva fino ad allora escluso Hiroshima dai bombardamenti a tappeto sul paese. Una roccia nel cielo? Non è rimasto molto tempo per pensarci. Poco dopo l’esplosione il pilota del B52 era già lontano verso occidente, probabilmente aveva una gran voglia di tornare a casa. Il cielo si apriva davanti a lui tra nuvole bianche di passaggio, non recava alcun segno di ferita. Il castello di Magritte poggia le fondamenta nel cielo.
 
Il movimento/trasformazione (tratto inscindibile della Vita) rende unica e irripetibile qualsiasi porzione costitutiva dell’esistente. Ad esempio, Voltaire, se avesse trovato una donna fatale, non avrebbe forse rinnegato ogni libertà di pensiero, per dare ascolto alla sua Musa? E se questa – sfinge senza segreti – avesse taciuto? Cos’avrebbe saputo intravedere Voltaire, nell’oscurità emanata dal lume presso il volto di lei?
 
Magritte l’avrebbe chiamata Fata ignorante (!955) avrebbe definito il suo ascendente Magia nera (1936).
 
Ad esempio, la Gioconda non è tanto il ritratto di una nobildonna annoiata del Rinascimento, è soprattutto la riproduzione (ri-creazione) sulla tela, della visione che ne ha tratto Leonardo da Vinci, ad un livello sia conscio che inconscio.
Ma questa è solo un’analisi concettuale. Nel mentre, le persone vanno avanti nella loro giornata tanto che la terra sia piatta, quanto che la terra sia tonda. 
 
La riproduzione naturalistica del reale ha continuato a dominare nell’arte fino al XIX secolo. L’inizio della morte della pittura figurativa ha per data il 1839, quando nasce il dagherrotipo. La macchina fotografica, protesi percettiva manovrata dall’occhio umano, applica inoltre per la prima volta all’ambito artistico il principio cardine della rivoluzione industriale: la riproducibilità in serie. Poi nel 1917 Duchamp rende oggetto d’arte un Orinatoio. Tra gli anni ’30 e il secondo dopoguerra Magritte, le saboteur tranquille, seguita a ripetere nelle sue opere raffigurazioni di omini con la bombetta, alberi a forma di foglia, sfere metafisiche e oggetti di uso quotidiano decontestualizzati. Senza tentare mai di lenire l’insanabile distanza tra realtà e rappresentazione. Da lì a pochi anni, sull’altra sponda dell’Atlantico, sarebbe esplosa la Pop Art di Lichtenstein e Warhol.
 
Di solito Magritte è catalogato tra i maggiori esponenti del Surrealismo.
Qualsiasi “etichetta” della critica non può che limitare l’originalità di un autore.
Magritte, nel ‘900, è un pittore realista. Se infatti «la banalità è il mistero che accomuna tutte le cose», Magritte, mentre ascolta il silenzio del mondo, proprio quel Mistero cerca di raffigurare. Attraverso il linguaggio visivo – negando, per paradosso, la possibilità del linguaggio stesso – riesce ad avvicinarsi oltremodo all’essenza del Reale, al suo inesplicabile enigma.
 
Un altro motivo per visitare la mostra di Magritte a Milano? I suoi quadri – divenuti ormai patrimonio comune, tra agende, calendari e stampe di vasta tiratura – riescono ad essere apprezzati da tutti, compresi i bambini che accompagnano i genitori nella visita al museo. Un po’ come succede per la musica di Mozart. In alternativa si possono chiudere gli occhi, e provare a sentire il silenzio del mondo.
 

Commenti all'articolo

  • Di Osvaldo Sanna (---.---.---.51) 17 dicembre 2008 12:28

    La bomba atomica è una bella immagine individuale che con i suoi milioni di gradi riesce a scaldare ancora le nostre paure collettive, mi piace e continuo guardarmi bene da certe immagini. Magritte distrugge la parola e questo mi sembra un ottimo passo verso la libertà dalle immagini.
    Osvaldo Sanna

  • Di virginia (---.---.---.96) 17 dicembre 2008 15:56

    Non è un articolo: meno male che l’autore ne è consapevole. Direi che è piuttosto uno sfoggio saccente e per lo più incomprensibile, di una cultura libresca.
    Grazie Maestro, per averci illuminato, anche se poco abbiamo capito!

    • Di Luca Mirarchi (---.---.---.147) 17 dicembre 2008 20:29

      Lieto di averti illuminato Virginia! Se però non ti bastasse il servizio di illuminazione puoi sempre farmi delle domande più specifiche e ti risponderò volentieri!
      Del resto ho sempre pensato che la comprensione sia sopravvalutata. Per dire: nei film americami è sempre tutto chiaro ma non sempre suscitano particolari emozioni. A volte penso si possa lasciare un margine all’interpretazione, se uno ne ha voglia.
      Comunque il mio (non) articolo non ha misteri particolari, è motivabile riga per riga usando parole più povere; però sarebbe servito forse più spazio e non volevo rubare troppo tempo alla lettura.
      Grazie per il commento.

  • Di dario carbini (---.---.---.228) 18 dicembre 2008 16:21

    Complimenti per l’idea (per coerenza con l’autore non lo posso chiamare articolo, e forse sarebbe riduttivo) e per la capacità lessicale.

    Un parere personale e quindi opinabile mi balena : finalmente cultura...
    sempre meno val la pena di legger qualcosa
    anzi sempre in meno le persone che scrivon i biglietti di natale, immaginatevi il resto!!!! :)

    Ancora complimenti

    Dario

  • Di Paolo Mocci (---.---.---.145) 26 dicembre 2008 20:00

    C’è ben poco di saccente nell’autore di questo pezzo. C’è piuttosto un’impellenza, un’urgenza di comunicare l’incomunicabile coacervo di emozioni, suggestioni, caotiche immagini che l’incontro con un grande artista sempre genera negli spiriti migliori. Raro di questi tempi imbattersi in un articolo che non pretenda di leggersi da sé, che ti chieda di fermarti, a tratti, per comprendere, visualizzare, interiorizzare un’immagine e ricavare infine l’emozione che l’autore vuole trasmettere. Scrivere di cultura e arte può e dev’essere anche questo, specie nel refrattario terreno dei mass media, templi del consumo rapido e acritico delle informazioni. Ecco perché questo non articolo è per me un Articolo, dietro il quale (finalmente) c’è una persona, prima ancora che un bravo recensionista e di una penna sapiente. Good job Luca!! 

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