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Questione curda, un rebus non solo per Erdoğan

Il recente attacco di Hakkari è stato uno dei colpi più duri subìto dalle Forze Armate di Ankara dall’inizio dell’ormai trentennale conflitto coi ribelli curdi. In Turchia ha avuto un effetto di stordimento provocando dolore e rabbia. L’opinione pubblica s’è chiusa a riccio a difesa dei simboli nazionali. Alcuni media privati seguitissimi dai cittadini (Mavi Karadeniz Tv, Kanal D, Best FM) hanno attuato una sorta di lutto spontaneo modificando i palinesti e abolendo gli show radiotelevisivi. La saldezza istituzionale è apparsa offuscata dalle livide promesse di vendetta espresse nientemeno che dal Presidente Gül. La successiva reazione militare turca ha ricevuto la copertura della Comunità Internazionale. Obama, Ashton, Ban Ki-moon hanno espresso solidarietà contro una guerriglia considerata terrorista e questo per Erdoğan è stato molto più che un atto consolatorio. Anche il gruppo autonomista curdo-iracheno di Massud Barzani, un tempo armato contro Saddam Hussein, ha condannato gli attacchi del Pkk. Placata la reazione emotiva il premier ha ripreso a gestire politicamente la vicenda lanciando una proposta unitaria a tutti partiti. Ha preso ad esempio la Spagna che nella lotta al separatismo basco ha da tempo richiamato le componenti di governo e d’opposizione a una collaborazione per estirpare quello che viene considerato un male. Il primo ministro turco vuol seguire la strada intrapresa dai colleghi Zapatero e Aznar e in interventi recenti ha cercato di coinvolgere anche strutture sociali del Paese come le grandi Ong.

Ma i repubblicani del Chp si son messi di traverso chiedendo le sue dimissioni, misura alla quale il premier ha risposto decisamente: “Non ho una coalizione di governo che può togliermi la fiducia. L’Akp ha ricevuto il 12 giugno un mandato popolare vastissimo. Nell’ipotesi di dimissioni dell’Esecutivo il partito di Kılıçdaroğlu sarebbe in grado di risolvere il problema? Non è il momento delle polemiche, occorre formare un fronte amplissimo e isolare le pratiche terroristiche. Bisogna attuare un piano che farà bene alla democrazia perché fa bene alla sicurezza, alla vita civile ed economica della nazione”. Insomma per non farsi travolgere dagli eventi astutamente Erdoğan vuol coinvolgere tutto il ceto politico nazionale, sebbene le sue considerazioni su Kılıçdaroğlu non siano affatto campate in aria perché il kemalismo, repubblicano o nazionalista, è detestato dai curdi ancor più dell’islamismo moderato del partito della Giustizia e dello Sviluppo. Nel richiamo all’isolamento del combattentismo dei seguaci di Abdullah Öcalan, Erdoğan non può contare sul partito filo curdo (Bdp) con cui è entrato in conflitto nella fase post elettorale proprio per le presunte connivenze col Pkk. E forse un pezzo di verità c’è nelle considerazioni partigiane del premier. L’offensiva che il partito di Öcalan ha rilanciato quest’estate, rompendo un anno di tregua, è scattata dopo che il braccio di ferro fra Bdp e la Commissione elettorale turca ha iniziato a pendere a favore di quest’ultima.

La contesa era scattata dopo le elezioni di giugno e riguardava il divieto di ammettere in Parlamento sei deputati eletti nelle liste del Barış Demokrasi Partisi perché precedentemente condannati per sospetti di terrorismo. In segno di protesta l’intera rappresentanza del gruppo s’è rifiutata di entrare in Parlamento. Ai primi di ottobre il Bdp ha deciso d’interrompere il boicottaggio ma la tensione non s’è allentata per la sanguinosa ripresa delle ostilità dei guerriglieri nel sud-est del Paese. A cui esercito e forze di repressione turche rispondono con bombardamenti su roccaforti curde, vere o presunte, anche oltre la frontiera irachena stravolgendo le vite di decine di villaggi e uccidendo civili. Così lo staff erdoganiano, dopo aver realisticamente constatato che in trent’anni la soluzione militare ha prodotto un’insostenibile quantità di vittime (si dice 50.000) senza sradicare la rivendicazione di quell’etnìa e ha solo rinfocolato l’odio verso kemalisti e neo-ottomani, sta compromettendo la linea di dialogo che aveva faticosamente tessuto negli ultimi anni. Ora una possibile ricucitura col Bdp può passare attraverso la fase del dibattito costituzionale. La nuova Carta potrebbe diventare la soluzione di parecchi bisogni per una nazione che ha ambizioni egemoniche nell’area mediorientale. Trovare una via d’uscita anche parziale per il rebus curdo sarebbe per Erdoğan una mossa lusinghiera.

Province orientali come Hakkari, Siirt, Diyarbakir, Bingöl che contano fino al 90% di popolazione curda non possono essere governate con l’esercito davanti ai municipi. E l’idea d’un decentramento e di un’autonomia amministrativa continuano a essere punti improrogabili dell’agenda politica del governo e dell’opposizione. Naturalmente rappresentano un boccone amaro da ingoiare per l’anima turca e il suo tradizionale senso di superiorità sulle minoranze. Ma l’alternativa è l’incubo di un’altra devastante ‘guerra di trent’anni’.

Commenti all'articolo

  • Di Silvia Agostini (---.---.---.10) 24 ottobre 2011 13:51
    Silvia Agostini

    Non sono d’accordo sull’analisi, in particolare sull’ultima frase, che a mio parere suona come una vera e pericolosa illazione: il Pkk sarebbe il braccio armato del Bdp? Non credo.

    E’ ovvio che la popolazioe kurda, che in maggioranza (non assoluta) vota per il Bdp, sia in qualche modo legata in termini simbolici e politici alla figura di Ocalan e alla "guerriglia" del Pkk, vista dai più come un movimento di rivendicazione armata dei diritti del popolo kurdo, troppo spesso negati.

    Le timide aperture di Erdogan verso i kurdi stentano ad avviarsi. Per ora, molti dei canali tv e radio in kurdo sono tutti della TRT, la Tv di Stato; così come molti istituti di lingua e cultura kurda sono sotto stretta approvazione del Ministero dell’educazione. Diversi i canali tv e radio stroncati, solo perché appartenenti al Bdp o ad altri schieramenti pro-kurdi non in linea con la maggioranza di governo.

    Le riforme in senso democratico e il dialogo di pace, avviato da Ocalan nel 2006, sono state per Erdogan uno specchio per le allodole sia per guadagnare consensi interni-i turchi iniziano ad essere stanchi di questa guerra e "dilagano" i movimenti pacifisti dei giovani turchi - sia per l’entrata in Europa. I bombardamenti contro i ribelli kurdi sulle montagne di Qandil non sono cosa di questi giorni, risalgono ad agosto, hanno comportato la morte di molti civili. Diversi i villaggi sfollati, anche per i paralleli bombardamenti iraniani. Questo è successo sotto gli occhi della comunità internazionale, europea e americana, non senza condanne (seppur lievi) da parte di alcuni stati occidentali. E Erdogan non se n’è molto curato: al centro del dibattito politico in Turchia, infatti, e nella strategia geopolitica turca l’interesse primario non è più l’entrata in Europa-questo anche a detta di molti analisti turchi-ma quella in Medio oriente.

    Vi sono poi altre considerazioni da fare in merito al Bdp, Dtp, Hadep, Dehap e tutti gli altri nomi che ha dovuto cambiare il partito filo-kurdo negli anni, per rinascere e per far sentire la propria voce democratica. Troppi gli atti di repressione, dagli arresti dei rappresentanti, parlamentari e sindaci del Bdp a quelli di attivisti e giornalisti. La Turchia, secondo l’OSCE, è il paese al mondo con più giornalisti detenuti, superando il record di Iran e Cina.

  • Di (---.---.---.251) 27 ottobre 2011 18:57

    Lascio il commento sopra ma mi scuso con l’autore per non aver visto il resto dell’articolo, su due pagine. Leggendo tutto il pezzo, devo farle i complimenti per l’analisi generale e il modo in cui viene esposta.
    Continuo a pensare che sia sbagliato parlare di "connivenza" fra Bdp e Pkk - credo cioè che il Pkk non intervienga militarmente per difendere il Bdp ma più in generale per rivendicare le istanze sociali e politiche dei curdi. Che ci sia uno stretto legame fra i due movimenti è più che vero, basti pensare alle visite "ufficiali" del Dtp (Dep, Hadep, ecc.) alla guerriglia per scambi di prigionieri o per mediare, in qualche modo, fra guerrigila e governo turco.
    Un rapporto, quello tra partiti kurdi riconosciuti e guerriglia, fatto di alleanze sottili e spesso divergenti, difficili da interpretare se non per chi vive in quelle zone.

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