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Quella foresta e l’incanto italico possono fare prezzo

Nell’universo del mercato non si va tanto per il sottile.

 

Un bene costituisce valore, un bene scarso ancor più valore; fa prezzo, si impacchetta, si vende.

L’aria è inquinata, l’ossigeno un bene! In un mondo sempre più complesso, talvolta oscuro, la cultura rischiara ogni direzione: un bene!

Ossigeno e cultura: un business.

Nell’universo del mercato non si va tanto per il sottile.

 

Un bene costituisce valore, un bene scarso ancor più valore; fa prezzo, si impacchetta, si vende.

L’aria è inquinata, l’ossigeno un bene! In un mondo sempre più complesso, talvolta oscuro, la cultura rischiara ogni direzione: un bene!

Ossigeno e cultura: un business.

Per tutta risposta, le riserve di ossigeno per aria nuova e i giacimenti culturali, per non far giacere la conoscenza, stanno lì: offesi, sviliti svalutati, deturpati.

La foresta amazzonica, depredata da allevatori, agricoltori, da quelli del legname; l’Italia dall’incuria e dall’affanno.

Il belpaese abbrutito misconosce i suoi tesori; prima primo ora sesto tra i luoghi appetiti dai più. Non è un bel vedere!

Quella foresta e l’incanto italico, non fanno prezzo.

Qual mercato è mai questo che svaluta valore, sottraendo ossigeno al mondo, per un tozzo di pane?

Qual mercato è mai questo che brucia ricchezza mal usando un patrimonio culturale senza eguali?

Beni, ma non troppo, per chi li possiede; per chi li anela scarsi, scarsissimi.

Brasiliani ed Italiani sottostimano quei beni: di là si svende la foresta al prezzo di terreno agricolo poco fertile; di qua il costo di gestione di paesaggio, storia, arte risulta superiore ai guadagni.

Si assottiglia la foresta, deperisce quella cultura; quei beni scarseggiano.

Cultori del mercato, profittatori di profitto dove siete?

Chi vuol approfittare di tale insipienza?

Con un cent in più della resa produttiva, agricola, di quella foresta et voilà, al mercato si acquista la concessione.

Si acquista per non disboscare; quell’ossigeno mette in garanzia l’atmofera del pianeta.

Per la cultura pressappoco lo stesso giochino.

Il PIL estratto da quel bendiddio è solo il 2,5%: ben il 3,5 in GB.

Bastano a occhio e croce 50mld €, il 3,5 di pil; lo 0,005% di 10.000 mld, il costo stimato della crisi economica per acquistare quel bendiddio.

Se non è tutto oro quel che luccica, questi beni, non replicabili, si possono acquisire: sono un tesoro in concessione al mondo, un ricostituente per la mente.

Si aumenta così il capitale umano degli umani, migliora la resa produttiva delle loro azioni.

Ai nativi resta l’obbligo della salvaguardia, la manutenzione, la valorizzazione: oplà lavoro.

Dovranno dare pure supporto organizzativo, logistico, gestionale a vacanze da favola per il resto del mondo: ancora lavoro, vieppiù ricchezza.

Avranno cash per rattoppare i buchi di bilancio.

Chi vende tali risorse?

I governatori della politica carioca e quelli dello stivale.

Chi le acquista?

La proprietà pubblica: quelli che fanno politica nel resto del mondo

Chi organizza, gestisce, paga l’affare?

Beh, può l’ONU, il WTO, l’FMI persino la BRI, fate voi!

Si acquista per il mondo, si restituisce ai monnaroli un diritto, l’uso gratuito, la salute mentale e quella fisica; sotto sotto pure un nuovo credito alla politica.

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