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Quel neo-moralismo virtuale che si abbatte su Saviano e co. (o De l’invidia)

Quel neo-moralismo virtuale che si abbatte su Saviano e co. (o De l'invidia)

Il vociare popolano e commentereccio che emerge da Facebook, luogo in cui ognuno vuol dire la propria e vuole quindi in qualche modo emergere, spesso si erge a dito critico contro personalità su cui giornalmente, nella rete virtuale, si compiono durissime battaglie a suon dei tic-tac delle tastiere dei pc. Una di esse è sicuramente Roberto Saviano. Solo pronunciarne il nome, ormai, vuol dire già dare inizio alle danze, sguainare le spade, preparasi a una guerra, l’ennesima, in cui non ci sarà né un vincitore né un perdente (come tutte le guerre virtuali d’altronde). La sparizione della realtà comporta anche questo.

Vorrei ben vedere, un 18enne che dalla mattina alla sera schiuma rabbia sul suo pc contro questo o quell’altro, trovarsi al tempo in cui a 18 anni (ma anche a 30 o 40), si moriva davvero combattendo infilzati da una falange, o fracassati da un’ascia. Sarei curioso davvero di assistere ad un incontro (non di pugilato) tra Saviano e tutti i suoi detrattori, magari sempre su Facebook, che permetterebbe allo scrittore di capire veramente in quale realtà (o pseudo-tale) viviamo. Le critiche principali assomigliano a quelle delle zitelle ormai sessant’enni che passata l’età della gloria e della fertilità, per strada si danno un pizzicotto sull’avambraccio, sottolineando come la bella giovane vent’enne appena passata in realtà sia sicuramente una prostituta, avvezza a facili costumi, e per questo, viene invitata di qua e di là dai baldi giovani.

Il popolo commentereccio di Facebook, così come la necessità quasi spasmodica di commentare qui e là qualsiasi blog, su qualsiasi argomento senza nemmeno sapere l’argomento di cui si parla, a mio avviso, è lo specchio di una realtà che non si specchia più, cioè che sta per scomparire.

L’azione reale sui territori, il muoversi della gente, incarnano percorsi legati dalla routine. Pecore al pascolo lungo il medesimo sentiero. E le eccezioni sono sempre di meno. Che sia il computer unico strumento di viaggio, e di emersione dal sommerso? Che sia un commento su Facebook con annessa bava alla bocca, il correlato post-moderno di una coltellata alla gola medievale? Tutto quel popolo commentereccio che odia Saviano e affini, (dove per affini si intendono personaggi, sognatori, persone che hanno voglia di cambiare le cose), tra cui Emilio Fede, perché non può resistere alla tentazione dell’indifferenza? Si sentono forse defraudati di qualcosa se Roberto appare in tv, se manifesta il suo libero pensiero?

L’impressione è che questo Paese, (altri non so), con la scusa del “si sapeva già”, del “anche altri combattono la camorra, perché solo Saviano appare?”, abbia una voglia pazzesca di morte. Di una palude asettica e poco melmosa dove galleggiare e dove nessun altro può e deve emergere. Pena una rabbia pazzesca da sfogare su Facebook. In fondo è questa anche la base che ha ispirato il moralismo. Limitare l’io, porre una diga attorno all’individuo, fornire continuamente una morale intesa come un modello di comportamento da rispettare, trova le sue degenerazioni proprio nel paradosso che col voler limitare l’azione disonesta, si finisce col condannare anche l’azione troppo onesta.

L’immobilismo insomma sembra la conseguenza di un ritrovato moralismo del XXI secolo, in cui tutti siamo trasgressivi, trash, porno, pazzi, ma sempre nel posto giusto, nella serata giusta, nel week end, o dopo i pasti. Forse per questo chi pone al centro del grigio universo mediatico, un tema forte o chi vuol combattere una battaglia fuori dall’ordine costituito o per meglio dire fuori da un finto disordine, viene additato subito come il peccatore, l’appestato, l’oggetto di ingiurie meschine proprio perché virtuali, prive di fondo, prive della polpa. Voglia di nichilismo senza precedenti.

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