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Quando il calcio era solo passione

"Un giocatore lo vedi dal coraggio, dall'altruismo e dalla fantasia" canta Francesco De Gregori ne "La leva calcistica della classe '68". Una ballata che racconta con innocenza il calcio di provincia, quello dei polverosi e sgangerati campi di terra, dei calciatori con "le spalle strette". Vero e proprio inno per molti appassionati di calcio che descrive l'atmosfera sognante del calcio visto con gli occhi di un ragazzino come tanti. Uno sport lontano dai riflettori, fatto anche una una piccola etica quotidiana. Certo, la canzone può essere soggetta anche ad altre interpretazioni, ma in questi giorni in cui l'ennesima bufera del Calcio Scommesse si è scagliata sulla Serie A, mi torna alla mente. E' da tifosa delusa che parlo, tra tristezza e rabbia. Sì, soprattutto rabbia, perchè questo nuovo scandalo nell'ambiente calcistico, avviene in un periodo in cui la crisi economica attanaglia l'intera Penisola, e così, invece di parlare dei numerosi imprenditori che si sono suicidati dall'inizio dell'anno proprio a causa dei debiti con il Fisco, si parla di giocatori superpagati che vendono partite. Per non parlare dei telegiornali che in questi giorni trasmettono le immagini di calciatori, il loro mondo fatto di lusso estremo, alternate a quelle dei terremotati, alla loro disperazione e paura.

Non è questo il calcio che amo, non è il calcio che amano i veri tifosi. 


E' sulla scia di questi pensieri che mi è tornata alla mente una storia letta qualche settimana fa sulla Stampa: era lo scorso 2 maggio, quando Giuseppe Gambaiani, portiere della squadra di calcio del Tuttavista (di Galtellì, in provincia di Nuoro), ha ammesso all'arbitro che, su un tiro della squadra avversaria, la palla aveva superato la linea di porta di circa mezzo metro. Insomma, il classico caso di "gol fantasma". L'arbitro ha dato il gol dopo l'ammissione del portiere e a causa di quella rete il Tuttavista è retrocesso in terza categoria (anche se al momento del gol mancava ancora mezz'ora alla fine della partita, c'erano ancora speranze di cambiare il risultato).

Il calcio deve tornare ad essere uno sport fatto di passione, sacrificio e onestà.

Sono certa che il calcio italiano non sia il solo ad essere malato, le cifre da capogiro che riguardano l'ambiente creano "mostri" e deformazioni ovunque. Riconquistare le emozioni che si provano nei campi sgangherati di periferia, tra fango e sudore, e riportarle sotto i riflettori dei grandi stadi. La diffusione del calcio in Italia risale alla fine del XIX secolo, da quel momento in poi è diventato un elemento importante dell'identità nazionale. E, dunque, in un periodo di profonda crisi come questo, salvaguardare il calcio - e lo sport in generale - è un dovere. Perché, come disse Pier Paolo Pasolini: "Il calcio è l'ultima rappresentazione sacra del nostro tempo".

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