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Quale guerra di religione, Gaza viene massacrata per gli accordi sul Gas

Steven Donziger avvocato per i diritti umani sa molto bene di cosa sia capace Chevron, la multinazionale statunitense del petrolio che si trova oramai da anni adiacente alle coste della Striscia di Gaza. Per troppo tempo quest’uomo è stato obbligato a difendersi da una battaglia dura ed estenuante contro la sua persona ed il suo lavoro per la difesa di questi ultimi.

 Donziger vinse infatti in Ecuador una causa multi miliardaria contro le società di Texaco Corporation e Chevron accusate della contaminazione del Lago Agrio in Ecuador. Le due società infatti a causa delle trivellazioni nel giacimento petrolifero condannarono a morte numerose persone inquinando il territorio e devastando il lago, unica forma di sostentamento ed irrigazione dei campi.

Questa catastrofe ambientale portò alla morte di numerose popolazioni indigene per cancro. L’avvocato Donziger per i diritti umani è da sempre dalla parte degli Indios e lotta legalmente per i loro diritti da oltre 25 anni, oggi è impegnato per la liberazione di Julian Assange.

Steven Donziger ha subito una campagna diffamatori da parte di 60 avvocati delle multinazionali coinvolte, i quali riuscirono a ribaltare il verdetto dopo il trasferimento della causa negli Stati Uniti, arrivando addirittura alla radiazione di Dozinger dall’albo forense di New York nel 2018, impedendogli così di continuare la sua professione e nel 2021, costringendolo agli arresti domiciliari nel suo appartamento nell’Upper West Side, solo perchè si rifiutò di consegnare i suoi dispositivi mobili ed il suo computer alle multinazionali. 

Quindi possiamo stupirci del genocidio che sta avvenendo oramai da 16 giorni sulla striscia di Gaza? La risposta è ovviamente no.

Nel 2020 il quotidiano Time Of Israel denunciava il rischio di unirsi indissolubilmente a Chevron attraverso le quote del mediterraneo detenute da Noble Energy che evitò il pagamento per danni ambientali di 9,5 miliardi di euro.

L’opinione pubblica israeliana pare infatti poco accogliente nei confronti della multinazionale Chevron Corporation definendola “inaffidabile e immorale”.

Oggi i giganti di Chevron fatturano oltre 316 miliardi di dollari.

Nel Mar Mediterraneo la multinazionale statunitense muove il suo capitale grazie all’aiuto dell’Arabia Saudita già dal 1938 e nel Baherin dal 1932, una piccola superficie che si estende su un territorio di circa 760 km quadrati, confinando con il Qatar e la zona nord-ovest dell’Arabia Saudita. Nel 2020 acquisisce Noble Energy distribuendo così tre quarti dell’energia in territorio israeliano.

La Chevron possiede una partecipazione gestita al 39,66% nel giacimento di gas Leviathan situato a circa 80 miglia (130 km) largo di Haifa. Con una superficie di circa 49.000 acri netti (198 km quadrati), Leviathan è oggi il più grande progetto energetico di Israele.

 

Il giacimento ha fornito il primo gas nel 2019. Nel 2020 la produzione è aumentata, raggiungendo una media di 242 milioni di piedi cubi netti di gas naturale al giorno (64 milioni di piedi cubi al giorno attribuibili a Chevron). Dopo l’attacco del 7 ottobre da parte della resistenza armata di Hamas, Israele e Stati Uniti chiedono ufficialmente al colosso statunitense di fermare le trivellazioni, la piattaforma è infatti posizionata a 12 miglia dalle coste della Striscia di Gaza per l’acquisizione di gas naturale attraverso il giacimento di Tamar.

La società infatti dichiara ufficialmente dopo il comunicato del ministero per l’energia israeliano che:

La nostra massima priorità è la sicurezza del nostro personale, delle comunità in cui operiamo, dell’ambiente e delle nostre strutture”.

La piattaforma Leviathan sopperirà al fabbisogno di energia elettrica durante il periodo di chiusura di Tamar, ma cosa comporterà in realtà la guerra a Gaza, per molti erroneamente fondata su problemi religiosi e terroristici?

La fine della guerra e la conquista del territorio palestinese daranno semplicemente il via ad un ampliamento dell’accordo tra Israele ed Egitto aumentando considerevolmente le condutture di gas naturale.

L’incontro che ha visto pochi giorni fa la Premier Giorgia Meloni stringere la mano al primo ministro Benjamin Netanyahu sull’accordo dell’energia ha dato la possibilità di includere anche la multinazionale italiana ENI, mentre il primo ministro israeliano si è detto positivo nella conclusione del vertice dichiarando che:

“Ora c’è la partecipazione di ENI nel nostro progetto, ma riteniamo di poterla portare ad un livello ancora superiore”

Mentre la popolazione di Gaza subiva un vero e proprio genocidio con migliaia di morti la premier Giorgia Meloni si mostrava contenta, nella conferma israeliana di potersi così distaccare da una dipendenza ovviamente invadente come quella della Russia nell’importazione energetica. La CNN il 10 ottobre annuncia l’enorme perdita di capitale che comporta una lunga guerra sulla striscia di Gaza a causa del blocco causato al giacimento Tamar conteso anche dagli Hezbollah in continua lotta con Israele per i confini dei territori tra Libano e Siria nella consapevolezza dell’allargamento dello stato sionista e del suo potere lungo i mari e soprattutto la Striscia di Gaza, una pentola piena d’oro per Arabia Saudita, Egitto, Israele e Stati uniti.

La sottomissione di Gaza e l’annientamento di Hamas consentirebbero ad Israele di avere il controllo energetico di quasi il 40% contro il 50% detenuto oggi dall’Arabia Saudita e del Kwait sugli idrocarburi PZ. Sino a pochi anni prima Israele era infatti definito tra gli stati del Medio Oriente il più povero per materie prime, ma con la scoperta di Chevron negli scorsi anni e la possibilità dello sfruttamento del gas naturale dalla Striscia di Gaza il suo capitale ed il suo potere lieviteranno considerevolmente.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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