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Qualche secolo fa. Ovvero perché non vediamo le trasformazioni della nostra società

Siamo in attesa che qualcosa accada. Elezioni o non elezioni. Forse sarebbe meglio un governo di transizione. Intanto aspettiamo e ci chiediamo perché con una solida maggioranza anche questa volta non si sia riusciti ad attuare le promesse elettorali (magari non condivisibili). Perché nel Paese che amiamo più della nostra stessa anima succede ancora ciò? Le ragioni sono tante e forse le si conoscono già. Difficilmente si riesce a pensare e dire qualcosa di nuovo.

Ma una ragione fondamentale risiede nel fatto che preferiamo mantenere ciò a cui siamo abituati. Come se, leggendo un libro, rimanessimo immobili su uno stesso capitolo o, addirittura, su una stessa pagina. Come se, leggendo una poesia, rimanessimo inchiodati allo stesso verso. Come se, scorrendo un album di foto, rimanessimo a fissare la stessa foto. Come se, ammirando un vasto e splendido paesaggio, rimanessimo a fissare l’albero che ci impedisce una piccola parte dell’intera visuale. Sì, siamo abituati così. A chiederci che tipo di albero è, quanti anni può avere, e se l’anno prossimo rifiorirà. Ma perché non riusciamo a focalizzarci (senza incendiare!) sul vasto paesaggio che si para davanti ai nostri occhi e a farci domande di cui non conosciamo le risposte. Come ha fatto quel ponte che vediamo laggiù in lontananza, realizzato nel Medio Evo, a reggere fino ad oggi. Come ha fatto quel fiume a rimanere nei suoi argini durante la tempesta. Come ha fatto quella casupola a resistere per secoli intatta alle intemperie. Come hanno fatto i nostri avi a coltivare i vasti territori che vediamo. Come hanno fatto a realizzare ampi percorsi quando spesso bisognava attraversare la roccia. Come hanno pensato di sfruttare le vie d’acqua come importanti vie di comunicazione.

Spesso riviviamo, o cerchiamo di rivivere, quelle atmosfere che hanno caratterizzato i millenni, o più probabilmente i secoli, precedenti alla nostra epoca andando a vedere delle rievocazioni storiche, a volte molto ben fatte. Ci concentriamo sulle battute degli attori, sullo sguardo e sugli atteggiamenti delle comparse cogliendo particolari che neanche il più bravo attore avrebbe pensato di mettere in risalto. Magari ogni anno torniamo a vedere le stesse rievocazioni perché ci sentiamo più esperti e riusciamo a prevedere le battute e le mosse. Sicuramente anche a quei tempi esistevano delle dinamiche giovani-vecchi, donne-uomini, pianure-montagne, mari-laghi e così via.

Forse però non ci poniamo la questione più importante, e cioè che quei figuranti che vediamo sfilare oggi, almeno una volta, tanti secoli fa, non sono stati degli attori, ma esseri umani che vivevano e parlavano. Oggi nell’assistere ad una rievocazione storica ci concentriamo sugli abiti dell’epoca, pure importanti, ma raramente, per pigrizia o perché “così fan tutti”, ci soffermiamo a capire che cosa passasse nelle menti di quelle persone. Quali fossero le aspirazioni e gli obiettivi di quelle società e quali i mezzi per raggiungerli.

Spesso, anche in quelle epoche, poteva accadere che il bisogno di passare alla pagina successiva, o al verso successivo, nascesse tra le genti e venisse individuato e incanalato dai sovrani più lungimiranti. Essi cercavano di attuare quelle azioni che permettessero di soddisfare quei bisogni o addirittura di prevederli. Spesso non avevano la possibilità di vedere neanche l’esito delle innovazioni che proponevano e attuavano, o accettavano di attuare, poiché profonde trasformazioni richiedevano decenni o addirittura secoli.

Oggi, con i mezzi a disposizione, noi avremmo la possibilità di vedere in “un attimo” l’esito di molte delle profonde trasformazioni che è possibile attuare per rendere la nostra nazione più moderna e avremmo anche la possibilità di correggere le inevitabili storture che qualche novità può portare con sé. Eppure non lo facciamo, o non lo possiamo fare ancora.

In effetti, quell’albero, o quella siepe, ci impedisce di vedere. E allora ci affidiamo alla dea bendata.

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