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Qualche considerazione sulle proposte di riforma elettorale

Considerazioni in ordine sparso sulle proposte riforme elettorali-istituzionali. Così, giusto per aggiungersi al frastuono generale e far passare il tempo.

In questo periodo non particolarmente esaltante della loro vita, gli italiani hanno imparato a convivere con ondate ricorrenti di luminari, che dalle colonne dei giornali o dai talk show televisivi spiegano loro dove abitano e cosa succederà ieri. Dopo i lunghi anni degli economisti (accademici, s’intende, ché tutti gli altri semplicemente non sono tali e sono solo volgari impostori e spacciatori di realtà contraffatta, come ci è stato autorevolmente spiegato), è ora il turno dei politologi, di ogni ordine e grado.

Il decano resta Giovanni Sartori, che purtroppo nella sua involuzione anagrafica è ormai divenuto un tuttologo stralunato, e che nel suo ambito professionale al momento si limita a lanciare strali contro gli indegni colleghi. Altri, costituzionalisti ed ingegneri elettorali, hanno ormai occupato la prima decina di pagine dei nostri maggiori quotidiani, che probabilmente in conseguenza di ciò subiranno il colpo fatale alle loro grame esistenze di fatturato.

La legge elettorale, si diceva. Per quello che sta prendendo forma, si possono fare alcune considerazioni spicciole. In primo luogo, Matteo Renzi non poteva non tentare l’accordo con Silvio Berlusconi. Sappiamo che la cosa irrita o più propriamente stomaca molti, ma il Decaduto resta padrone di uno dei primi tre partiti italiani, piaccia o meno. Soprattutto, alla luce del fatto che il M5S è inutilizzabile, sotto ogni profilo, perché avvolto da questo messianesimo antisistema che è il più comodo rifugio per vivere di rendita. Anche qui, sinché ci sarà chi vota gli uni e gli altri, si può solo prendere atto della situazione.

L’Italicum (pessima denominazione, a metà tra un amaro dozzinale ed un treno che esplode in galleria, vittima dell’autodistruttività di un intero paese), dovrebbe prevedere listini bloccati. Come da “suggerimento” della Consulta, peraltro. Listini piccoli, collegi piccoli, conoscibilità dei candidati, loro sanzionabilità da parte dell’elettorato. Banale, no? Poi, i partiti possono anche pensare di attaccarci delle primarie, l’ultima parola spetterà sempre e solo al corpo elettorale. Magari cercando di ricordare che le preferenze non sono né sono mai state il proiettile d’argento di cui qualcuno vagheggia. Soprattutto in questo paese.

Il doppio turno per legittimare un successo “insufficiente” (oltre che per tagliare il terzo polo del tripolarismo italiano) ha certamente senso, ma forse era meglio usare direttamente la formula del “sindaco d’Italia”. Alla fine scopriamo che stiamo parlando del nulla e nel nulla, perché le coalizioni restano, e con esse il potere di ricatto dei partiti minori.

Ma se anche si disegnasse un sistema elettorale ferocemente bipartitico (che alla fine cadrebbe per mano della Consulta), nulla potrebbe impedire scissioni dai partiti “vincitori” e creazione di nuovi gruppi parlamentari, magari agevolata dai regolamenti. In fondo, l’articolo 67 della Costituzione continua ad avere un qualche valore.

Berlusconi ora potrà andare dal suo “popolo” a vendere la fiaba del 51% solo per Forza Italia, e poi finirà con allearsi a tutti i frammenti di destra e centrodestra che raccatterà dentro e fuori dal parlamento. Ad alcuni sarà proprio lui a dar vita, come del resto accade da un ventennio, mentre lo ascoltiamo invocare la maggioranza assoluta per sé e al tempo stesso effettua generose trasfusioni di sangue a piccoli ricattatori finiti sul binario morto.

A sinistra e centrosinistra, specularmente, avremo le invocazioni alla sacralità delle preferenze, anche da parte del notabilato che le medesime avversavano a pieni polmoni un paio di vite addietro. Altro giro, altro regalo. Ed un pensiero commosso a tutti i fedeli della Consulta, guardiana oltremondana della “costituzione più bella del mondo”, che ha sdoganato i listini bloccati, nel raccapriccio delle dissonanze cognitive. La foto di Batman Fiorito, campione di preferenze, può quindi essere riposta nel baule dei ricordi.

Per il resto, bene (sempre in astratto) la creazione di un Bundesrat italiano e la conseguente rivisitazione del Titolo V. Anche qui, il diavolo sta nei dettagli, e comunque le comunità locali sono già pronte con le bandiere del partito più forte d’Italia, il Nimby. Lo vuole la Democrazia, con tutte le sue maiuscole. Ed anche la spesa pubblica irresponsabile, drogata da un localismo malato e paranoide.

E comunque, diciamola tutta: i nostri politologi farebbero un bel servizio al dibattito pubblico se solo spiegassero che la legge elettorale, di per sé, non determina esiti virtuosi. Non è l’ennesimo proiettile d’argento, al più è diventata l’ennesimo proiettile di finto argento di un paese che continua indefesso a scambiare correlazione con causa e causa con effetto. Alla fine, anche con una legge elettorale fatta dal Padreterno in persona, nessuno ci metterà al riparo da farneticazioni e follie come quelle a cui stiamo assistendo in questi mesi in materia fiscale, e non solo in quella.

A proposito, nessuno che riesca a trarre inferenze pedagogiche dagli esiti delle ultime elezioni tedesche, col “trionfo” della Merkel e l’enorme leverage guadagnato dalla Spd? E che dire del presidente degli Stati Uniti, l’uomo apparentemente più potente del mondo, costretto a negoziare col Congresso ed anche col proprio partito? Che siano le bizzarrie di una cosa chiamata democrazia, che nessun sistema elettorale riuscirà mai ad eliminare?

Noi italiani ci confermiamo anche in questo caso come i maggiori produttori al mondo di miraggi, circoli viziosi, giochi a somma minore di zero ed armi di distrazione di massa. Se solo fosse possibile esportare questi prodotti…

 
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