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Province? Decreti anticostituzionali

Adesso lo scioglimento delle province è decreto legge e, salvo ripensamenti, miracoli, ma anche, perché no, azioni mirate a contrastare una decisione anticostituzionale, ancorché antidemocratica, entro il 31 dicembre in Calabria non esisteranno più le province di Crotone e Vibo, ma neppure quella di Reggio Calabria, che diventerà città metropolitana.

Il decreto in specie, altrimenti noto come “Spending review”, dovrà essere convertito in legge presumibilmente entro fine luglio. Non ci dovrebbero essere problemi per il Governo di Mario Monti sul fonte della conversione, egli sa bene che può fare affidamento su una maggioranza parlamentare; PD – PDL – UDC, altrimenti nota come ABC, che, al massimo, si incazza e piange soltanto dopo che ha votato di tutto e di più: dal ratto delle Sabine all’annessione dell’Abissinia, in servile e supina osservanza di quanto ordinato da Francoforte. Senza entrare troppo nel dettaglio, adesso la lotta per la sopravvivenza della Provincia di Crotone, intesa come realtà territoriale, ancorché come pubblica amministrazione, è giunta all’ultimo round. Le possibilità di vittoria, ossia di sottrarre il collo alla mannaia dei tagli imposti dal Governo dei tecnici, sono ridotte davvero al lumicino. Così è pure per gli spazi e per le ipotesi surrealistiche di sfuggire al taglio, mediante operazioni di annessione e rimodulazione di aree e confini che garantirebbero i parametri minimi di sopravvivenza per non essere soppressi e accorpati, e che sono: 350 mila abitanti e 3mila chilometri quadrati di estensione.

Difatti c’è chi pensa di formare una creatura chiamata “Vibone” cioè Vibo e Crotone, e chi di costituire la provincia della Magna Graecia, includendovi Sibari e territori limitrofi, verso Taranto. Ci vorrebbero anni per realizzare simili chimere, mentre sono rimaste poche ore al suono del gong, in uno Stato membro della Unione Europea che già di suo, da novembre 2011, ha subito un ko… tecnico. Vi è dunque una sola strada se si vuole tentare di scongiurare lo scioglimento della Provincia di Crotone e il suo mesto ritorno sotto il mantello della matrigna Catanzaro. Posto però che ogni via di fuga, ovvero ogni possibile sotterfugio è conosciuto, tenuto in debito conto e presidiato dal Governo tecnico che è comunque composto da cervelloni e marpioni. D’altra parte, anche il gigante Golia sapeva d’essere invincibile e mai avrebbe potuto immaginare di finire abbattuto con una fionda da un ragazzino. La debolezza, ancorché l’anticostituzionalità di quella parte della spending review che riguarda la soppressione delle province, sta nel fatto che non si può cancellare per decreto ciò che è garantito dalla Costituzione italiana.

Emendare in merito a uno qualunque degli articoli che compongono la Carta costituzionale della Repubblica Italiana, implica l’applicazione dell’art. 138 che così stabilisce: “Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione”. Un passaggio piuttosto complicato, che solo un Parlamento composto da un unico partito di maggioranza (come nei fatti lo è quello attuale presieduto da Alfano; Bersani; Casini, ossia da ABC) può affrontare e lo ha già fatto; poi vedremo come e per cosa. Ma non è finita lì, poiché la legge di modifica, per essere valida, cioè promulgata, deve superare indenne delle eventuali richieste, qualora persistessero, di verifica confermativa e quindi, le leggi di modifica costituzionale; “Sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi”. 

I padri costituenti della Repubblica Italiana avevano visto davvero molto lontano e ci hanno lasciato un documento che era un potentissimo presidio a difesa della democrazia, Di recente, il 20 aprile 2012 è stata introdotta una legge di modifica dell’articolo 81 della Costituzione Italiana, quella che sancisce l’obbligo di pareggio del bilancio dello Stato, ma né un quinto dei componenti di una Camera, né cinque Consigli regionali e tantomeno cinquecentomila elettori hanno chiesto l’indizione di un referendum confermativo delle modifiche costituzionali intervenute. E quindi, la legge sull’obbligo di pareggio del bilancio, secondo quanto sancito dall’art. 138 della Costituzione ”… è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti”. Per l’esattezza, il 18 aprile del 2012 al Senato, in seconda lettura, è stato approvato il decreto di legge che introduce l’obbligo di pareggio di bilancio (fiscal compact) previa modifica dell’art.81 della Costituzione italiana, con 214 voti su 321, cioè in modo tale da evitare il referendum confermativo.

Ora c’è da capire che le province possono essere soppresse solo modificando l’articolo costituzionale che le riguarda; non è mettendole nel mucchio di cose da tagliare che possono essere cancellate dall’ordinamento repubblicano e tantomeno tramite un decreto che ABC ed i loro parlamentari voterebbero in qualsiasi momento, pure se avessero il morto dentro casa da vegliare. Magari stiamo scoprendo l’acqua calda; ben sapendo che Monti ed i suoi ne sanno una più del diavolo e sanno quindi come fare in caso di contrattempi; ben sapendo altresì che essi possono fare inesauribile affidamento sul sostegno del Capo dello Stato che poi è il garante della Costituzione Italiana. Ma arrivati a questo punto... Zurlo e gli altri presidenti delle province che sono condannate alla chiusura, qualora interessati alla sopravvivenza degli organi presieduti, non hanno altra strada da percorrere se non quella di chiedere che la posizione degli entri territoriali venga stralciata dal decreto spending review, nelle more di un approfondimento sulla legittimità costituzionale del provvedimento che riguarda le province. Ciò comporta l’affidamento della pratica ad avvocati costituzionalisti e l’interlocuzione, seria e perentoria, con le rappresentanze parlamentari del territorio, con i Consigli regionali di appartenenza e con i cittadini, da allertare circa il ricorso all’istituto referendario.

Monti ed i suoi professori, serviti e ubbiditi come preti all’altare da una pletora di nominati e non di eletti, sanno che l’eventuale modifica costituzionale per sciogliere metà delle province, mediante accorpamento, qualora si rendesse necessaria, sarebbe una pratica che si risolve in un paio d’ore. Per farla, la Provincia di Crotone, ci sono voluti quarant'anni. Tentare di salvarla non sarà tempo perso.

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