• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Economia > Prove di requiem per la zona euro

Prove di requiem per la zona euro

Mentre gli spread sui tassi vengono tenuti a bada dalla Bce, altri spread segnalano uno scollamento strutturale all’interno della zona euro, che alimenta il pessimismo sulla tenuta della moneta unica. Intanto, il Presidente Monti dichiara che “non siamo nel mezzo, ma verso la soluzione della crisi”. Se ci fosse il vecchio Premier, non avremmo dubbi a classificarla sotto la voce “barzellette”.

Fino a qualche tempo fa, eravamo relativamente pochi a ritenere probabile una deflagrazione dell’attuale zona euro. Nell’aprile 2010 scrivevamo che la Grecia non era affatto un caso isolato ma costituiva un campanello di allarme per l’intera Europa. Nel giugno 2010, con duecentocinquanta economisti sostenevamo che le politiche di austerity e di deflazione, caricate in larga misura sulle spalle dei paesi debitori verso l’estero, avrebbero solo aggravato la crisi e avrebbero reso prima o poi inevitabile lo sganciamento di alcuni di essi dalla moneta unica. All’epoca eravamo ancora piuttosto isolati. Negli ultimi tempi, invece, il numero di osservatori pessimisti sui destini della attuale unione monetaria è cresciuto esponenzialmente. Meglio tardi che mai.

Del resto, le evidenze sono ormai chiare a chiunque intenda esaminarle con un minimo di realismo. Pensiamo ad esempio ai tassi d’interesse. Qualcuno si consola del fatto che i famigerati “spread” - cioè le differenze fra i tassi d’interesse dei paesi debitori verso l’estero e i tassi d’interesse prevalenti nella Germania creditrice - sarebbero sotto controllo. Ma il motivo per cui essi al momento non aumentano risiede in misura prevalente nella “anestesia” che la Banca centrale europea ha praticato sui mercati. Se la Bce interrompesse gli acquisti di titoli, la speculazione riprenderebbe con ancor più vigore di prima. E gli spread tornerebbero a salire.

Per giunta, a segnalare lo scollamento sempre più ampio tra i paesi dell’eurozona, non ci sono soltanto gli spread tra i tassi d’interesse. C’è per esempio anche quello che potremmo definire “lo spread della disoccupazione”. In Germania i tassi di disoccupazione aumentano poco e in alcune fasi addirittura declinano, mentre in Italia e negli altri paesi del Sud Europa la disoccupazione effettiva cresce vistosamente. Ci sono poi anche gli “spread” che segnalano divergenze tra i dati dei vari paesi europei inerenti alle sofferenze bancarie, alla mortalità delle imprese, nonché ai valori di borsa delle banche, i quali tra l’altro evocano la possibilità di acquisizioni estere dei capitali più deboli ad opera dei più forti.

Un altro “spread” altamente indicativo è poi quello tra i costi del lavoro per unità di prodotto. La figura seguente descrive l’andamento effettivo dei costi monetari unitari fino al 2009, e poi una loro possibile proiezione lineare fino al 2025:

 

Figura tratta da E. Brancaccio, Crisi della unità europea e standard retributivo, Diritti Lavori Mercati 2011/2 (cfr. anche E. Brancaccio, Current account imbalances, the Eurozone crisis and a proposal for a European wage standard, International Journal of Political Economy, forthcoming)

Se si considera la proiezione lineare come una pur rozza approssimazione dei potenziali andamenti futuri dei costi, la conclusione è che potremmo trovarci ben presto di fronte a una forbice incompatibile con la sopravvivenza stessa della moneta unica. La dimensione dei divari, oltretutto, è tale da rendere risibile qualsiasi tentativo di correggerli a colpi di deflazione salariale nei paesi debitori. Considerato che la stessa Germania in surplus ha praticato la deflazione relativa dei salari, la corsa al ribasso delle retribuzioni necessaria all’aggiustamento sarebbe di tale portata da provocare una nuova, ancor più violenta depressione.

Il Presidente Monti ha dichiarato che “non siamo nel mezzo, ma verso la soluzione della crisi”. Se ci fosse il vecchio Premier, non avremmo dubbi a classificarla sotto la voce “barzellette”.

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.187) 9 febbraio 2012 12:00

    Ancora un analisi economica che termina con un giudizio politico

    In periodo di speculazione gli uccellacci hanno sempre fortuna ma possiamo essere certi delle proiezioni vista la sensibilità a fattori extraeconomici ...esempio fukushima per un giappone super forte??
     Invece di urlare all’allarme con tanto di grafici si potrebbe usare tutta l’intelligenza e le competenza degli esperti per cercare e suggerire soluzioni alternative? Non si tratta di tranquilizzare e anestetizzare la gente come ha fatto il governo precedente senza prendere alcuna risoluzione ma fare un amalgama fra il governo precedente e questi che fanno a spronbattuto un lavoro sicuramente opinabile ma reale . Mi risulta che i media "creino" in parte la realtà siamo sicuri che li si debba usare per creare la speculazione oppure favorirla?

    • Di Davide Falcioni (---.---.---.123) 9 febbraio 2012 12:14
      Davide Falcioni

      Sono mesi, se non anni, che fior di economisti come Brancaccio propongono un modello economico differente da questo. Le proposte non mancano, ma non vengoni passate mai sui grandi media e così trionfa il pensiero unico liberista, che ci ha condotto sull’orlo del baratro e ora, pian piano, ci sarà anche la spintarella finale

  • Di (---.---.---.112) 10 febbraio 2012 10:49

    Egregio, una politica di rigore porta recessione e deflazione.

    una politica di non rigore porta al default.

     Mi spieghi per favore cosa bisognerebbe fare che Monti non fa?!?!

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares