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Protesta Tunisia e Algeria. Perché?

Sidi Bouzid, Centro della Tunisia. Mohamed Bouazizi, 26 anni, povero, disoccupato, con studi superiori alle spalle, si ritrova a vendere verdure abusivamente sul marciapiede. Le forze dell’ordine gli sequestrano la sua merce. Potrebbe sembrare una scena banale di quotidiana povertà. Ma è una di troppo. Mohamed Bouazizi, come molti giovani magrebini, considera che ormai non ha più niente da perdere e per protesta si immola con il fuoco, in pubblico. Lui muore in atroci sofferenze, ma da ai giovani tunisini il coraggio di sollevarsi e scontrarsi con il regime che li soffoca da ormai vari decenni. Stesso scenario in Algeria o quasi.

Quello di Mohamed é il destino di tantissima gioventù magrebina. Le famiglie investono sullo studio dei figli, si sacrificano sperando di dare loro un futuro migliore, alla fine si va a finire “chòmeur diplomé” (disoccupato con titoli). A questo aggiungi la corruzione profonda dei regimi e dei loro apparati, a tutti i livelli, il divario crescente tra ricchi e poveri, l'arroganza della classe arricchita a spese del popolo, la violenza della polizia e dell'esercito, i livelli di disoccupazione che superano i 50% tra i giovani, la crisi degli alloggi, l'incapacità di fondare una famiglia e farla vivere in dignità, le scuole che si deteriorano sempre di più... Ci sarebbe di che suicidarsi tutti i giorni... e in massa.

In effetti il gesto di Mohamed ha scatenato nella Tunisia (di solito così tranquilla) un'onda mai vista di proteste. I giovani non hanno più niente da perdere e lo fanno capire benissimo. I casi di automutilazioni e suicidi spettacolari si moltiplicano. La gente per le strade affronta le forze armate a mani nude. I morti cadono ma la protesta non accenna a calmarsi.
 
In Algeria é il rialzo improvviso di alcuni generi alimentari a scatenare il finimondo. Il rialzo é solo una causa scatenante, la goccia che ha fatto traboccare un vaso già pieno da tempo.
 
È riduttivo chiamare le proteste della Tunisia e dell'Algeria “proteste del pane” o Addirittura “dell'olio e zucchero”. Sono proteste di profondo malessere. Sono proteste non per chiedere pane ma dignità, per contestare un intero sistema.
 
Ma di proteste così in Nord Africa se ne vedono spesso. In Algeria addirittura sono decine all'Anno le sommosse. In Tunisia, gli anni scorsi c'è stato una vera e propria insurrezione popolare nel bacino minerario di Gafsa. In Marocco, poche settimane fa, c'era il “Protest Camp” dei Sahraoui di Laayoun, che sono usciti dalla città per andare ad isolarsi in mezzo al deserto. Movimento pacifico represso selvaggiamente dalle forze dell'ordine.
 
Quello che succede in Magreb é quindi nella normalità, in qualche modo. Sono anni che i popoli della regione cercano vie per uscire dall'oppressione. Invece quello che non é normale é l'improvviso interesse dei media internazionali a queste faccende.
Si potrebbe pensare che i “network” fanno solo il loro lavoro e quando succede qualcosa di interessante lo raccontano. Ma non è così. In realtà non raccontano tutto e non sempre con la stessa intensità. Basta pensare a come le lapidazioni, queste pratiche barbare, sono coperte ampiamente quando é l'Iran a compierle. Invece quando è l'Arabia Saudita ad organizzarle (e lo fa spesso) non se ne parla, assolutamente. Basta chiedersi ma allora perché quasi nessuno ha sentito parlare delle proteste di Gafsa e Radayef, l'anno scorso in Tunisia?
 
Perché l'insurrezione della cabilia, in Algeria, durata 2 anni (2001, 2003) e costata 150 morti non é stata raccontata da nessuno?
 
Perché il “protest Camp” Sahrawi é stato ignorato da tutti, comprese le Tv francesi che oggi vanno in centro di Sidi Bouzid per trasmettere in diretta?
 
Non si capisce esattamente cosa, ma qualcosa é evidentemente rotto negli equilibri al potere nei due paesi. I due dittatori sono vecchi e malati. I due regimi ormai sono impresentabili e rischiano un collasso per cause naturali. Un collasso che porterebbe a risultati che nessuno può prevedere. Allora per evitare l'incertezza forse qualcuno, da dentro e da fuori ha deciso di organizzare una sorta di esplosione controllata.
 
Il potenziale esplosivo c'è. É la rabbia e la frustrazione. Bastava aspettare la prima scintilla e accompagnare l'onda d'urto per dirigerla dove si vuole farla arrivare.
 
Gli equilibri in Africa stanno cambiando velocemente. Quella che era una volta riserva di caccia occidentale é oggi invasa da nuovi cacciatori: cinesi in testa, ma anche coreani, turchi, iraniani....
 
Per due decenni gli interessi francesi e statunitensi si sono scontrati sul continente generando guerre civili, genocidi, colpi di stato... E lasciando nello steso tempo spazio aperto per nuove potenze neocoloniali. Oggi (anche questo ce lo rivela Wikileaks) sembra abbiano deciso di rimettersi insieme, come al buon vecchio tempo della Guerra Fredda. Rimettersi insieme vuol dire rimettere ordine nelle classi dirigenti locali. Forse ci vuole una nuova classe dirigente, più presentabile, più efficace, ma sempre fedele al campo occidentale. Ma rimescolare le carte, creare nuovi equilibri, non sempre è del gusto di chi ha il potere. La riorganizzazione di questi sistemi genera scontri, sangue, dolori, tensioni, Insicurezza...
 
Ciò che bisogna sperare, e ciò su cui bisogna lavorare, se si vuole premere per una soluzione giusta, che sia a favore di quei giovani, di quei lavoratori che stanno facendo crollare questi sistemi corrotti e corruttori, è, secondo me, dimostrare solidarietà con i giovani in lotta. Dimostrare che l'interesse continua anche quando i media internazionali avranno deciso di spegnere i loro riflettori. Bisogna creare spazi d'incontro, di dibattito, di scambio. Cercare di far uscire questi giovani dall'isolamento in cui sono volutamente tenuti, tra i sistemi polizieschi e le forze oscurantiste integraliste.

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