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Algeria: morto il generale stragista Mohamed Lamari

Si chiamava Mohamed Lamari. Negli anni '90 faceva parte del gruppetto di generali più potenti del paese. Quelli che hanno messo l'Algeria a ferro e a fuoco per una quindicina di anni. E' morto questa settimana di un arresto cardiaco mentre si trovava nel suo domicilo nei pressi della cittadina di Biskra (circa 500 km à sud-est di Algeri).

Quando passa una stagione eccezionalmente calda o fredda, come l'onda di freddo che ha colpito il nord dell'Algeria in queste settimane, con nevicate che in alcune zone hanno superato il metro, i vecchi, in cabilo, le chiamano: "Taferrat", la spazzatrice. Mia nonna mi spiegò che era perché "taferra t  spazza via e aiuta ad andarsene a riposare i vecchi e i malati, che non hanno più niente da fare in questo mondo ma che non riescono a morire".

Nella tradizione contadina cabila, la morte che arriva in tempo opportuno (dopo una lunga vita o dopo lunghe sofferenze) è un diritto al quale alcuni rinunciano per paura di far soffrire i propri cari o in attesa di rivedere il volto di qualcuno che si è amato e che si è allontanato da molto tempo. E molto spesso nei funerali, si sentivano i saggi del paese rimproverare ai parenti di una persona anziana il fatto di piangere troppo, dicendo: "Lasciatelo/a andare in pace. Ha il diritto di riposare!".

La taferrat del freddo di questi giorni, però, ha fatto una vittima eccezionale. Eccezionale perché non era né troppo vecchio né povero (anzi) per patire il freddo: il tristemente celebre Generale Maggiore Mohammed Lamari. Colto da un malore all'età di 73 anni, mentre era nella sua casa-roccaforte nei pressi di Biskra la sua città di nascita.

Mohamed Lamari è nato nel 1939 in una famiglia benestante di Bordj Benazzouz (provincia di Biskra). Mentre il popolo algerino lottava per l'indipendenza in tutto il paese, il giovane Mohamed è inviato dai suoi ad arruolarsi nell'esercito francese dove frequenta una delle migliori scuole per ufficiali: L'École de Cavalerie de Saumur.

Ma all'improvviso nel 1961, mentre ormai era avviato il processo verso l'autodeterminazione della futura nazione algerina, il giovane Lamari si scopre patriota e, insieme ad una ventina di altri ufficiali di origine algerina, disertano le caserme francesi e vanno a raggiungere l'esercito di Liberazione Nazionale in Marocco e in Tunisia. Sono quelli che rimarranno nella storia come “la promotion Lacoste”, dal nome di Robert Lacoste, allora ministro di stato e governatore generale dell'Algeria, che si dice fosse il “cervello” di quella infiltrazione del futuro esercito nazionale algerino. Una operazione portata avanti con precisione e pazienza sull'arco di 30 anni. E che portò pienamente i suoi frutti negli anni '90, quando, grazie alla loro ottima formazione militare e alla loro solidarietà, come degli alpinisti attaccati l'uno con l'altro con una corda, i “figli di Lacoste” arrivano a controllare l'istituzione militare, i servizi segreti e quindi tutto lo stato algerino.

Stranamente inizio degli anni '90 corrisponde anche all'inizio della “guerra civile”. Il movimento islamista Fronte Islamico Della Slavezza (FIS) prima è stato spinto a prendere il potere e poi messo fuori legge e represso duramente. Dalla confusione che segue l'interruzione del percorso elettorale del 91/92, nascono una miriade di movimenti armati, che semineranno morte e terrore attraverso il paese. La reazione dell'esercito sarà altrettanto violenta. Una guerra contro i civili che fa più di 200.000 morti e milioni di sfollati. La mafia dei generali al potere ne approfitta per fare man bassa su quasi tutte le ricchezze del paese.

Tra i “figli di Lacoste” il generale maggiore Mohamed Lamari era uno dei più potenti: Capo dello Stato Maggiore insieme a Mohamed Lamine Mediène, consciuto come « Toufik », capo della famigerata Direction des Renseignements Speciaux (DRS). I due sono stati per anni deus ex machina di tutto l'apparato di stato algerino. Le organizzazioni dell'opposizione li accusano di aver perpetrato omicidi di oppositori e ufficiali rivali, di essere dietro all'assassinio del Presidente dello Stato (nonchè uno dei padri della lotta armata contro il colonialismo) Mohamed Boudiaf, ucciso da un uomo di scorta, mentre rivolgeva un discorso alla nazione in diretta televisiva, di aver organizzato una vera e propria rapina sull'economia nazionale, di rapimenti, torture, esecuzioni extra giudiziarie, creazione di gruppi armati pseudo integralisti coinvolti nella guerra e di essere quindi dietro il massacro di migliaia di civili inermi.

Basta ricordare, per dare la dimensione e il savoir-faire di questa mafia, che i capi fondatori di questa creatura strana che si chiama oggi Al Qaida nel Maghreb Islamico (quella AQMI con la quale si gargarizzano ormai i media internazionali per spiegare tutto e il contrario di tutto nel Sahel), Hassan Hettab e Abdelrezaq El-Para, altro non sono che ufficiali delle tremende truppe speciali dell'esercito algerino e del DRS.

Nel 1999, sotto la pressione della comunità internazionale (USA in testa) i generali accettano di condividere il potere con Abdelaziz Bouteflica. L'uomo appare dal nulla e vince elezioni cucite su misura con la benedizione dell'ONU, della comunità europea, della Lega Araba e, ovviamente, degli Stati Uniti. Poco a poco “Boutef”, come lo chiama la satira algerina, rafforza il proprio potere e spinge, uno dopo l'altro i generali degli anni '90 ad andare in pensione.

Nel 2004, dopo aver fatto tutto per impedire la rielezione di Boutefika per il suo secondo mandato, Lamari riconosce la sconfitta e depone le dimissioni da capo di Stato Maggiore e si ritira dalla vita politica e militare.

Ma nonostante fosse in pensione, l'ex Generale è rimasto molto potente. Durante la sua carriera ha accumulato delle ricchezze colossali e, operando tramite una schiera di “industriali” prestanome, ha ottenuto il controllo di vasti reparti dell'economia nazionale.

La morte del Generale ha risvegliato le vecchie polemiche dell'epoca della guerra. I forum sono intasati di commenti opposti tra chi lo considera un eroe perché avrebbe salvato l'Algeria dal pericolo integralista e chi lo considera un criminale di guerra.

Io, ricordando le parole della mia vecchia nonna, mi sono detto: in fin dei conti la morte è l'unica giustizia in questa vita. Non si fa corrompere dai ricchi e non si fa intimorire dai potenti. Nessuno furbo è riuscito a scapparne e nessun seduttore è riuscito ad intenerirla. Prima o poi “taferrat” spazza via tutti.

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