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Prossima fermata, Arabia Saudita: se cadrà anche Ryadh cambierà il mondo

I venti di protesta interessano anche l’Arabia Saudita. La Casa regnante, preoccupata dalle possibili conseguenze, è corsa ai ripari elargendo denaro e benefici alla popolazione. Troppo poco per i giovani e gli i intellettuali che domandano riforme e giustizia sociale e che domani scenderanno in piazza per chiedere una monarchia costituzionale. Se anche a Ryadh la rivolta dovesse infiammarsi, le conseguenze per l’economia mondiale potrebbero essere drammatiche.

1. Da venti giorni la crisi libica ha fagocitato l'attenzione dei media internazionali, distogliendola dai fatti in corso nel resto della regione. Nel mondo arabo, infatti, le acque sono tutt'altro che calme e ora cominciano ad agitarsi anche in Arabia Saudita.

Il peggior incubo della Casa di Saud, ossia la possibilità che il germe della ribellione infetti anche il regno di Ryadh, rischia di diventare anche l'incubo dell'Occidente se domani la gente dovesse scendere in piazza in risposta agli appelli lanciati su Facebook nei giorni scorsi.

Finora il regno Saudita era rimasto relativamente al riparo dal vento delle manifestazioni. A differenza del Nord Africa e di quasi tutto il Medio Oriente, le condizioni di vita dei cittadini sauditi sono relativamente decorose, frutto delle periodiche erogazioni di benefici da parte dei reali. Ma la la disoccupazione giovanile si attesta su un insostenibile 40% e il quotidiano Arab News aveva già intuito che i venti di libertà dal Nord Africa avrebbero potuto spingersi fino in Arabia Saudita.

La scorsa settimana l'ottantaseienne re Abdullah, rientrato sulla dopo un assenza di tre mesi, ha annunciato aumenti di stipendio e in generale l'elargizione di 37 miliardi di dollari in benefici per i cittadini, nel tentativo di frenare il dissenso. Re Abdullah parla come un padre alla sua popolazione (si pensi che questa è l’unica famiglia reale a dare il proprio nome al Paese che governa), e come un padre si aspetta che essa obbedisca ai suoi richiami.
Ma tanto non è bastato per smorzare la voglia della gente di far sentire la propria voce. punto è che il popolo avanza delle richieste che la Casa di Saud non riesce a capire. L'età media dei principi della Casa di Saud è di 83 anni, mentre il 47% della popolazione è sotto i 18. Non c'è da stupirsi se l'annuncio di grandiose munificenze è stato accolto dai giovani con indifferenza. Il re non comprende le richieste di considerazione e di autentica partecipazione al governo che questi avanzano, confondendo piuttosto le loro pretese con i borborigmi della loro pancia. Rumori di fondo da placare a suon di pane, soldi e spettacoli di piazza.

2. La protesta di Riad è partita da un giovane sunnita, Mohammed al-Wadani, che in febbraio aveva caricato un video su YouTube in cui spiega perché la monarchia dovrebbe essere riformata, se non addirittura sostituita con la repubblica. Dopo le proteste, 26 persone sono state arrestate nella regione orientale, a maggioranza sciita e in parte influenzata dalle rivolte in corso nel vicino Bahrein. Lo stesso al-Wadani è stato catturato nei pressi di una moschea della capitale.

Dopo tutto il regno saudita è circondato da focolai rivoluzionari: a sud lo Yemen, a est il Bahrein, a ovest il Nord Africa. Anche a nord la Giordania, Paese solitamente tranquillo, denota qualche segno di instabilità.

Il disagio popolare ha raggiunto presto un'ampia diffusione sul web. Al-Eman Nafjan, una donna che ha aperto un blog sotto il nome di Saudiwoman, scrive: "c'è la richiesta di una monarchia costituzionale, della fine della corruzione e di redistribuzione delle ricchezze". Mohamad Al-Deheme, 24 anni, programmatore di computer, ha creato un sito web chiamato shakwa.net (in arabo "reclamo") dove il pubblico può inviare denunce dirette ai ministeri del governo. Il sito ha già diverse centinaia di segnalazioni.

Poi ci sono le petizioni. Una si intitolava "Verso lo stato dei diritti e delle istituzioni", e aveva raccolto oltre 1554 firme prima che le autorità bloccassero l'accesso al sito. Altre erano state promosse da gruppi giovanili o da intellettuali per avanzare esigenze nazionali di riforma costituzionale, dialogo con le istituzioni, libere elezioni e partecipazione femminile alla vita pubblica. Tutte già censurate.

Il personaggio di più alto rango a gettarsi nella mischia è il principe Alwaleed bin Talal, ottavo uomo più ricco del mondo (parole sue), che pochi giorni fa ha scritto sul New York Times chiedendo riforme stabili e autentiche. L'alta posizione nell'albero genealogico della Casa dovrebbe tenerlo al riparo da eventuali colpi di mano dei membri più anziani, ma è inutile sottolineare che il resto della popolazione non gode dello stesso ombrello.

Sotto una monarchia assoluta, anche sostenere un'innocente petizione può essere fonte di guai seri. Nel 2006, Musa al-Qarni e altri tre uomini avevano chiesto al re di formare un'istituzione nella quale affrontare i temi di "libertà, giustizia, uguaglianza, cittadinanza, pluralismo, indipendenza della giustizia, partecipazione popolare e delle donne". Il re (che all'estero è considerato un moderato, e nel suo Paese un riformatore) ha ignorato la richiesta. Alcuni mesi dopo, al-Qarni è stato arrestato e portato via in carcere dopo che la polizia segreta ha fatto irruzione nella sua villa di Jeddah, dove diversi intellettuali si erano riuniti per discutere di temi sociali.

Tutte le petizioni chiedono la transizione verso una monarchia costituzionale, piuttosto che la caduta della monarchia. Coloro che hanno firmato le petizioni sono per lo più fedeli al re, ma animati da propositi di riforma. Inoltre, molti dei firmatari sono pensatori, scrittori e accademici e in generale appartenenti a gruppi d'élite sauditi. Dunque non si tratta di meri sommovimenti dal basso ma di una più ampia corrente di pensiero che attraversa tutti i livelli della società. 

Per comprendere la rigidità della posizione della Casa di Saud va detto che la struttura istituzionale del regno è fondata da un lato sul potere assoluto del monarca, e dall'altro sulla stretta convergenza tra organi dello Stato e leader religiosi ultraconservatori. Figure che, nondimeno, spesso e volentieri coincidono nelle stesse persone. Una ferrea alleanza tra poteri che si è rivelata preziosa soprattutto nei periodi di instabilità sociale. Negli anni re Abdullah ha mantenuto la fiducia della classe conservatrice anche attraverso il rifiuto di cambiamenti radicali all'interno della società saudita. Se da una parte ciò ha salvaguardato il Paese dall'integralismo di Al-Qa'ida, dall'altra ha chiuso entrambi gli occhi su una corruzione e un'ingiustizia sociali dilaganti.
Una realtà sulle quali la gente comune ha finalmente preso coscienza anche attraverso Al-Jazeera e i nuovi media.

Più di 17.000 persone hanno aderito all'invito su Facebook di partecipare a due manifestazioni per questo mese, la prima delle quali, dapprima definita “giornata della rabbia” e ora ribattezzata “Rivoluzione di Hunayn”, è in programma per oggi.

Si tratta di una valle vicino alla Mecca, dove nel 630 Maometto combatté una delle ultime battaglie del profeta Maometto contro i beduini. Il Profeta ottenne una netta vittoria dopo che i suoi uomini si erano inizialmente mostrati timorosi dei loro avversari. Il riferimento al Corano 9, 25-26 contiene una lezione per i principi sauditi: “Dio vi ha dato la vittoria su molti campi di battaglia. Ricordate il giorno di Hunayn, quando vi compiacevate del vostro gran numero. Allora la terra, con tutte le sue distese, si restrinse davanti a voi, e voi vi voltaste e fuggiste. Allora Dio fece discendere il Suo Messaggero sui credenti, e fece discendere truppe che voi non vedeste. E punì i miscredenti”. Ovviamente, agli occhi dei promotori della manifestazione i miscredenti sono il re e i 22000 membri della Casa regnante.

3. La risposta del re Abdullah è stata quella di mettere mano al portafoglio (suo o dello Stato? In Arabia Saudita non esiste una reale distinzione tra le due cose). Buttare soldi dalla finestra è il modo consueto degli sceicchi del Golfo per affrontare i problemi. Ma non è una soluzione, perché nel lungo termine diventa sempre meno efficace. Potrà essere sufficiente per i sauditi sotto la soglia della povertà, ma non per quei giovani che invocano un reale cambiamento.

La questione è se il messaggio arriverà a destinazione di re Abdullah. Finora il re e i suoi fratelli non hanno neppure preso in considerazione l’ipotesi di concessioni politiche. Peraltro, i tentativi di rabbonire il popolo con la carota del denaro va di pari passo con il meno reclamizzato bastone della censura, segno che la Casa regnante è in crescente apprensione.

Per tutta settimana le agenzie governative hanno ribadito il divieto di manifestazioni di protesta. Venerdì scorso il governo ha anche deciso di inviare 10000 agenti di sicurezza nelle sue province del nord-est a maggioranza sciita, intasando le autostrade a Dammam e in altre città con pullman e camion di truppe.

A preoccupare i Saud è soprattutto la regione orientale, a minoranza sciita e dirimpetto all'arcipelago del Bahrein, teatro di violente proteste nelle scorse settimane. Già nel 1979 analoghe manifestazioni nella zona furono stroncate dalle forze terrestri e aeree del regno spararono sulla folla, uccidendo decine di persone e ferendone centinaia. Anche se i funzionari della sicurezza sauditi hanno cercato di evitare la diffusione di notizie al riguardo, ci sono chiari segnali che la rivolta sciita nel piccolo Stato vicino possa propagarsi in Arabia Saudita. E fonti non confermate riportano che re Abdullah abbia minacciato le autorità del Bahrein che, se non schiacceranno loro la rivolta sciita, lo faranno le forze saudite.

4. In Arabia Saudita le manifestazioni politiche sono vietate. Qualora i cortei annunciati per oggi dovessero aver luogo, rappresenterebbero un segno di sfida al re e al suo potere. I quali probabilmente reagirebbero secondo le parole del Ministro degli Interni, il principe Naif: “ciò che abbiamo ottenuto con la spada, manterremo con la spada”.

Se la famiglia reale saudita deciderà di utilizzare la violenza contro i dimostranti, il presidente americano Barack Obama si troverà ad affrontare una delle più delicate decisioni della sua amministrazione: reagire o aspettare? In Egitto egli ha appoggiato i manifestanti solo dopo che la repressione della polizia aveva causato almeno 300 morti; il Libia ha dapprima annunciato che “tutte le opzioni sono sul campo” e poi è rimasto a guardare, in attesa di capire se Gheddafi manterrà o no il suo trono. Ma in Arabia Saudita Obama potrebbe essere più restio a schierarsi dalla popolazione. E lo stesso vale per l'Europa, per non parlare di Russia e Cina.

Eppure il resto del mondo ignora la situazione. Con il petrolio a 115 dollari e la crisi libica che ha decurtato la produzione petrolifera di Tripoli del 75%, proviamo ad immaginare cosa accadrebbe se il vento della rivolta avvolgesse (e travolgesse) anche l'Arabia Saudita. Il Paese ha una produzione di nove milioni di barili di petrolio al giorno e riserve stimate per circa 265 miliardi. L'oro nero di Ryadh unge le ruote dell'economia del mondo. Se alcuni economisti si affrettano a bollare come transitorio l'impatto della Libia sui prezzi, nessuno può negare che una crisi in Arabia Saudita provocherebbe uno shock petrolifero senza precedenti.

Forse l'Arabia Saudita non cadrà, ma se cadrà c'è il rischio che porti con sé il resto del mondo.

 

Riferimenti:

http://www.independent.co.uk/opinion/commentators/fawaz-gerges-saudi-probably-wont-fall-but-if-it-does-the-world-will-change-2225167.html

http://www.independent.co.uk/news/world/middle-east/saudis-mobilise-thousands-of-troops-to-quell-growing-revolt-2232928.html

http://www.guardian.co.uk/commentisfree/2011/mar/01/saudi-arabia-protests-middle-east

http://www.guardian.co.uk/world/2011/mar/06/saudi-arabia-bans-public-protest

http://www.atimes.com/atimes/Middle_East/MB19Ak01.html

http://www.guardian.co.uk/commentisfree/2011/feb/27/king-saudi-arabia-protesters

http://www.guardian.co.uk/commentisfree/2011/mar/08/saudi-arabia-revolution-protests

http://www.linkiesta.it/i-sauditi-e-l-ora-della-prova-del-fuoco

Commenti all'articolo

  • Di Mr. Hubbert (---.---.---.128) 13 marzo 2011 02:47

    il crollo del mondo arrivera’ comunque, senza bisogno di rivolte.
    Un rapido calcolo, il mondo consuma un miliardo di barili/12 giorni, questo significa che, se i consumi dovessero rimanere quelli odierni, l’arabia saudita sarebbe asciutta in 70 anni, ma le cose non stanno cosi’.
    Intanto, secondo i documenti di wiki, le riserve di Riyad sono sovrastimate del 40%, quindi i 70 anni gia’ diventerebbero 40 poi, il consumo mondiale è destinato ad aumentare in maniera esponenziale e, terzo fatto, alcuni paesi come messico e venezuela, hanno visto crollare in maniera verticale la propria capacita’ produttiva(i dati messicani fanno rabbrividire).
    Conclusione? è presto detto, secondo la IEA il mondo entrera’ in crisi energetica strutturale entro 3/4 anni, non c’è bisogno di nessuna rivolta, la natura gia’ ci sta pensando a come calmierare la popolazione mondiale

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