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Processo Standard & Poor’s. Guasto agli impianti (accusatori)

Giovedì a Trani, durante un’udienza del processo contro Standard & Poor’s per asserita manipolazione aggravata del mercato in seguito al declassamento del rating sovrano dell’Italia deciso nel 2011, hanno deposto Maria Cannata, direttore generale del debito pubblico, e Giuseppe Vegas, presidente della Consob. Una nuova opportunità per constatare quanto è pericolante l’impianto accusatorio.

La tesi dell’accusa, come noto, è la seguente: S&P (non quotata), è controllata dalla casa editrice McGraw Hill, che ha nel proprio azionariato, tra gli altri, Morgan Stanley. Bene, quindi? Quindi, secondo l’accusa (in mezzo a tutte le altre cose, s’intende), questo è il legame alla base della estinzione anticipata di un derivato che il Tesoro italiano aveva in essere con Morgan Stanley, e la cui chiusura è avvenuta tramite pagamento di 3,1 miliardi da parte dell’Italia.

Ora, come vi abbiamo già detto, dietro il nome “Morgan Stanley” vi sono soprattutto le società di gestione del gruppo, che quindi compravendono per conto terzi e non per conto proprio. Il tutto prescindendo dalla fantasia sfrenata di pensare che McGraw Hill ordini a S&P di declassare l’Italia perché in questo modo sarebbe scattata la clausola risolutoria di un contratto sui derivati tra i molti in essere con la Repubblica Italiana.

Poi capita che la Cannata dichiari in udienza una cosa del genere:

«La chiusura del derivato con Morgan Stanley, con il pagamento di 3,1 miliardi di euro, non è intervenuta per il declassamento del rating. La clausola era indipendente dal rating»

Ma sono chiaramente dettagli minori. E comunque troveremo altre pistole fumanti. Ad esempio il fatto che i declassamenti decisi dalle agenzie di rating hanno severamente danneggiato la capacità del Tesoro di collocare il proprio debito in asta. Giusto? Sempre Cannata in udienza:

«(…) sull’asta dei titoli italiani non vi furono contraccolpi negativi a seguito dell’outlook negativo del 20 maggio 2011 deciso da S&P; vi furono contraccolpi, durati però poche ore, solo sul mercato secondario del lunedì successivo l’outlook»

E ancora, come riporta Repubblica:

Eppure secondo Cannata “con il declassamento” del rating dell’Italia deciso dalle agenzie di rating “talvolta è successo che l’asta dei titoli pubblici italiani sia andata anche meglio. Dopo il declassamento può accadere qualsiasi cosa”, ha risposto al pm Michele Ruggiero

Ohibò, hai visto che roba? Agenzie di rating che muovevano sempre meno il mercato, lo sappiamo. Però qualcosa bisogna trovare, sappiatelo. Magari notando che la teste Cannata in deposizione stava tentando di ridimensionare la portata delle dichiarazioni rese in istruttoria, come sentito ieri in udienza. Però il rovello ci arrovella: i due gradini di declassamento del rating italiano, decisi il 4 ottobre 2011 da Moody’s, sono meno pesanti dei due gradini di S&P, avvenuti il 13 gennaio 2012, e di quelli di Fitch del 27 gennaio 2012? Vorremmo capire perché, visto che è stata la stessa procura di Trani a chiedere l’archiviazione per Moody’s con la motivazione che

«(…) pur essendoci elementi che ci dicono che c’è stata manipolazione dei mercati, non abbiamo la prova che fossero consapevoli. Manca l’elemento soggettivo, non abbiamo la prova che volessero intenzionalmente destabilizzare i mercati»

Ohibò, di nuovo. Eh, comprendiamo. Stesse azioni di rating, praticamente nello stesso arco temporale, e però di due soggetti “abbiamo le prove” di intento destabilizzante dei mercati, del terzo no. E poi non dimentichiamo le proprietà transitive, tra i fondi comuni di Morgan Stanley, che hanno in portafoglio azioni della controllante dell’agenzia di rating coinvolta. La visibilità è a zero causa eccesso di fumo dalle pistole, si direbbe.

Attendiamo gli sviluppi del processo, con la scorta di popcorn a portata di mano.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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