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Processo Mills, reato prescritto

La Cassazione prescrive il reato a Mills. La prescrizione si è giocata sulla differenza di circa quattro mesi; per il pg della Cassazione, Gianfranco Ciani, è dall’11 novembre 1999 che decorrono i termini di prescrizione e non a partire dal 29 febbraio 2000, come ritenuto invece dai giudici della Corte di appello di Milano. Prescrizione che, comunque, è stata possibile grazie alla legge del 2005 (legge ex cirielli - governo Berlusconi) che ha ridotto i termini da 15 a dieci anni.

Processo Mills, reato prescritto

Nel Pdl, con in testa Berlusconi, c’è euforia. Per il premier, in sostanza, il fatto che si sia dovuti arrivare in Cassazione e che la condanna di David Mills sia stata annullata solo per prescrizione dimostra che l’accusa si è mossa unicamente sulla base di quella "persecuzione giudiziaria" più volte denunciata, da anni, dallo stesso premier.
 
Mentre per Denis Verdini (coordinatore del Pdl) anche i muri sapevano ciò che oggi ha sancito la corte di Cassazione. Solo la protervia dei giudici milanesi, che colpendo Mills intendevano colpire Berlusconi, ha fatto sì che il processo contro l’avvocato inglese venisse trascinato per mesi attraverso continui strattonamenti al codice. È questo il prezzo che si deve pagare, anche a danno del contribuente, per l’incredibile persecuzione giudiziaria di cui è fatto oggetto il presidente del Consiglio». «Per fortuna - prosegue - esiste una maggioranza silenziosa e autorevole della magistratura non militante che applica il diritto e non lo altera solo per sovvertire la volontà degli italiani».

Da quanto si legge, il Pdl interpreta la prescrizione come se fosse un’assoluzione e prende lo spunto per attaccare di nuovo quei giudici che, di fatto, cercano di interpretare la Costituzione (la legge è uguale per tutti) proprio la dove il sig. Verdini lo attribuisce all’attuale sentenza.

Anche il guardasigilli interpreta allo stesso modo e anche lui prende lo spunto per dare più enfasi alle leggi in discussione al parlamento sulle intercettazioni, processo breve e legittimo impedimento.
 
Leggi che, se dovessero passare, renderebbero più agevole la corruzione poiché toglierebbero ai magistrati la possibilità di: indagare (intercettazioni), emettere sentenze con la calma e tranquillità che dovrebbe essere propria di chi esercita la giustizia dato che, anche un minimo errore potrebbe determinare la rovina delle persone (processo breve) e l’impossibilità di programmare le udienze (legittimo impedimento).

Ed è proprio l’interpretazione data a rendere inquietante il quadro della giustizia in Italia. Da una parte c’è un governo tutto teso nella difesa a priori dei suoi - inchiesta G8 - dall’altra, un’opposizione che non riesce a staccarsi dal pantano del giustizialismo (rivoluzionar/reazionario) che porta con sé tutti gli elementi della lotta per il potere. Il tutto in nome di un popolo che è sempre più destinato a fare da spettatore anziché essere partecipe della politica intesa come momento di realizzazione di programmi per la soluzione dei problemi.

Dare alla sentenza, che non ha annullato il reato ma lo ha prescritto a causa del restringimento dei termini, una valenza politica significa, a tutti gli effetti, politicizzare la giustizia stessa, ovvero l’istituzione preposta. Politicizzazione che, la stessa maggioranza, almeno formalmente, addebita all’opposizione.

Tutto questo accade proprio all’inizio della campagna elettorale per le amministrative; campagna che dovrebbe vedere le formazioni politiche in campo con programmi ben definiti e chiari da proporre ai cittadini per la soluzione dei problemi. Invece ci ritroviamo, noi cittadini, ad assistere all’ennesima disputa sui problemi dei soli politici e sul come renderli tema principale della politica italiana, evitando così di affrontare i temi essenziali alla vita sociale quali:

1) stato sociale, reso ancor più urgente dalla crisi economica in corso;

2) gestione dell’ambiente, sia nell’ambito dell’edilizia (che ha portato al dissesto idrogeologico di cui se ne vedono gli effetti ogni giorno), sia in quello agricolo e paesaggistico;
3) energia;
4) edilizia abitativa pubblica;
5) sanità;
6) scuola
e altri non meno importanti. Problemi, questi, che se non affrontati in modo adeguato e senza un vero consenso delle parti, potrebbero influire negativamente sullo sviluppo democratico del’Italia.
 
Qualcuno opporrà sicuramente l’obiezione che questi settori sono stati tutti affrontati, ma come? E con quale consenso? Quando il cittadino è stato chiamato - attraverso i suoi rappresentanti locali - ad esprimersi direttamente? Basta il consenso delle elezioni per fare riforme di tale portata? 
Basti pensare al problema "energia"; mentre le regioni in maggioranza si sono espresse contrarie ai siti sul loro territorio, il governo si è affrettato a fare un decreto che di fatto obbliga le regioni scelte ad accettare.

Certo, la corruzione in ambito pubblico, ma anche privato, è un comportamento che va combattuto, ma c’è veramente bisogno di leggi straordinarie? In Italia esistono già leggi in grado, se applicate, di constrastare la corruzione ad ogni livello e in qualsiasi ambito si manifesta, ma per far ciò bisogna che tutti siano ritenuti uguali di fronte alla legge.
 
E ciò non avviene. Ci sono, in Italia, delle forti resistenze a favore di una giustizia egualitaria - e tra dette forze c’è anche l’attuale maggioranza. Resistenze che hanno spostato l’attenzione del parlamento prevalentemente sul problema giustizia dando l’impressione che, in Italia, essa sia il problema principale. Questo fa sì che, anche in campagna elettorale, non si presenti più un programma complessivo, e tantomeno dettagliato, dei problemi concreti.
 
Questo modo di fare politica si è ulteriormente concretizzato con le ultime indagini dei magistrati che coinvolgono anche personaggi politici eletti in parlamento.
Tutto questo indica che, sia il centro sinistra che il centro destra, ma anche il sindacato, pongono i problemi concreti, per la popolazione, in secondo piano.
Problemi come la disoccupazione, la casa, la sanità, la scuola e il fisco, non essendo ritenuti emotivamente rilevanti, o ritenuti emotivamente negativi, ai fini elettorali e comunque scomodi perché, per la soluzione, richiedono interventi che potrebbero essere impopolari e di conseguenza potrebbero creare divisioni interne, si guardano bene dal porli come momento di dibattito elettorale tra i candidati e i cittadini.
 
Dibattito che oggi è agevolato dai mezzi di comunicazione moderni. Il cittadino oggi deve accontentarsi di programmi generici e confidare negli "eletti".

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