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 Home page > Tribuna Libera > Prima al Teatro alla Scala di Milano: Boris Godunov

Prima al Teatro alla Scala di Milano: Boris Godunov

Si è rinnovato il rito scaligero con l’opera di Modest Petrovič Musorgskij condotta dal Maestro Riccardo Chailly, con Ildar Abdrazakov nei panni del protagonista e la regia di Kasper Holten.

Anche questo 7 dicembre, le luci del Teatro alla Scala di Milano hanno accompagnato il pubblico a prendere posto nel tempio della musica mondiale, in un rito collettivo che porta l’eccellenza italiana al centro della cultura mondiale.

Un evento che è cultura, glamour, arte e che viene seguito da milioni di spettatori in tutto il mondo, non solo attraverso la TV, ma anche attraverso la radio e i media digitali. La musica e l’opera escono dai propri contesti e incontrano un pubblico pressoché infinito.

In scena il Boris Godunov di Modest Petrovič Musorgskij, opera presentata a Milano nella versione con un prologo e tre atti (versione del 1869). A dirigere l’orchestra il direttore musicale del teatro M° Riccardo Chailly.

Un’opera che per il maestro ha una connessione con la sua storia personale. Infatti il Boris Godunov andò già in scena nel 1979, sotto la direzione del maestro Claudio Abbado, che aveva come assistente proprio Chailly. Una sfida artistica decisa anni fa e che ha visto il 7 dicembre 2022 il suo compimento.

La regia è stata affidata a Kasper Holten e i costumi a Ida Marie Ellekilde. Sul palco, nei panni del protagonista il basso Ildar Abdrazakov, ormai di casa alle prime del teatro milanese e autore di una prova (l’ennesima) magistrale.

In questo nostro articolo, non entreremo nella critica musicale, lasciando alle competenze di altri tale questione, ma ci occuperemo del “confezionamento” del prodotto musicale e comunicativo, rimanendo nel nostro ambito di pertinenza.

 

Il prodotto - Lo spettacolo visivo

Dopo le due ultime edizioni firmate dal regista Davide Livermore, la differenza è stata netta. Si è passati da una mise en place di ricerca, con un grande utilizzo di effettistica dell’ultima generazione a una prova visiva decisamente più tradizionalistica e meno ardita.

Sembrano lontani i tempi della realtà aumentata e dell’intersezione tra i wallscreen e le scenografie tradizionali.

Il Boris Godunov andato in scena non ha voluto osare dal punto di vista scenografico. Non conosciamo le motivazioni stilistiche e strategiche. Quel che è certo è che dal punto di vista dell’impatto visivo è parso, soprattutto all’inizio, “povero” rispetto ad un Macbeth che è stato richiamato più volte dal punto di vista concettuale dell’opera.

Forse – ma questo è un azzardo di chi scrive – la scelta stessa di un’opera cantata in russo, pareva un azzardo. Per questa ragione probabilmente è stata scelta una piattaforma di comunicazione visiva di base più tranquillizzante.

Di grande impatto l’ingresso di Boris, nella prima parte dell’opera, da una porta dorata, in un costume iconico che per un attimo ci ha fatto assaggiare una pietanza che però poi non è mai arrivata.

Uscendo da un provincialismo del quale l’italiano medio è stato tacciato troppe volte, non ci è arrivato quell’impatto sfarzoso che ci si immagina quando ci si riferisce al periodo zarista.

Nell’insieme comunque, senza capriole, l’idea di questo “scritto narrativo”, che sullo sfondo accompagnava l’opera ha avuto un senso concettuale e ha retto.

I costumi, al contrario della scenografia, hanno trovato maggior appoggio nell’immaginario collettivo del mondo russo. Come già scritto, il momento dell’ingresso della processione, ha rappresentato il focus principale del primo atto e forse dell’intera opera. Il lavoro di artigianato dietro quel momento è valso da solo la visione della prima scaligera, facendo andare in secondo piano le domande sul “perché” delle doppie maniche cucite sulle giacche e che “al di là dell’effetto maneggione” non hanno dato nulla.

I costumi hanno seguito un percorso narrativo che è partito dai tempi della narrazione dell’opera, passando attraverso quelli della composizione della stessa e arrivando ai giorni nostri nelle scene finali. Una sorta di viaggio nel tempo che ha voluto unire l’ossessione del potere raccontata a quella identica dei giorni nostri. Un’unione che è contemporaneamente concetto e denuncia e che ha reso dal punto di vista comunicativo.

Arrivamo ora al momento “The Walking Dead”, come è stato definito da alcuni utenti sui social media. Se le scelte registiche sulla scenografia non hanno fatto ribaltare lo spettatore sulla sedia, la scelta di mettere delle persone/spiriti per un periodo così lungo, e in tale quantità, ha atterrito (dal punto di vista comunicativo) il picco di attenzione che l’opera avrebbe meritato. Se il fanciullo - e solo lui - fosse stato mostrato in un momento chiave avrebbe sortito un effetto sorpresa. Ma il tenere questo elemento, in compagnia di altri, non solo non ha creato un “effetto shock”, ma al contrario ha portato il pubblico ad abituarsi ed è diventato un elemento, in alcuni momenti, di disturbo.

Anche qui, il paragone con la scelta dello scorso anno, che era meno forte visivamente, ma ben ponderato nei tempi, non viene vinto. Anzi.

Se invece, l’opzione strategica che è stata alla base della scelta, non sia stata di natura comunicativa ma di marketing e stampa, l’abbiamo accontentata scrivendone e dandone conto e attenzione in questa breve analisi.

Si metta comunque agli atti che non ne sentivamo il bisogno. L’idea è che, su una piattaforma visiva tradizionale, al truccatore sia scivolato di mano il secchio con la tintura rossa e non ci sia stato il tempo per rimediare.

Con quello che si vede ogni giorno sui media, consiglieremmo di trovare nuovi linguaggi comunicativi per descrivere la sofferenza e la morte. L’odore di cantina, abbinato all’eccesso che si muoveva sul poco è parso evidente.

Sulla direzione musicale e la performance dell’orchestra e degli artisti sul palco, non entremo nel merito, in quanto non abbiamo competenze così approfondite. Fermo restando che quella che inseriamo in questo articolo non è una “critica” al lavoro degli altri. Un lavoro che va sempre rispettato, a prescindere dal gusto personale, che rimane tale e ha come confine le pareti delle nostre stanze. La nostra vuole essere più una “fotografia” - termine ormai arcaico - di un esperto di comunicazione e marketing contemporaneo alla performance a favore dei colleghi del futuro.

Sulla musica desideriamo solo fare una considerazione di natura comunicativa. La musica, abbinata alla performance degli artisti dal punto di vista vocale e interpretativo ha fatto onore al suo grande potere comunicativo universale.

La fine di ogni aria ha lasciato quella necessità di silenzio che è trascendenza e contemporaneamente la prova più tangibile del potere della musica sulla mente e l’animo umano. Quel misto di smarrimento, rapimento e riflessione che è prova di potere.

I momenti con il coro sono stati potenti e hanno messo in evidenza una professionalità condivisa che è eccellenza di un gruppo di lavoro (dentro e fuori la buca) che diventa orgoglio. Arte. Cultura. Semplicemente Musica.

Il protagonista poi, soprattutto nel momento dei suoi ultimi momenti sulla scena, ha segnato un punto difficilmente raggiungibile in futuro. Ildar Abdrazakov ha dato infatti sfoggio di una prova maiuscola sia dal punto di vista vocale che interpretativo. Una performance maiuscola che ha riempito il palco. Lo incontreremo il 7 dicembre 2023 per la prossima prima al Teatro alla Scala nel “Don Carlo” di Giuseppe Verdi.

Una prova intensa anche quella di tutti gli artisti impegnati in questa opera scritta da un artista troppo a lungo sottovalutato. Soprattutto in occidente. Spiace dover quasi liquidare così tutti gli altri professionisti sul palco, ma ci perdoneranno se non li sottoponiamo a un’analisi di chi non ha i titoli per farla.

 

Analisi di comunicazione e marketing

Entriamo nel nostro mondo, dove ci sentiamo sicuramente a nostro agio per fare alcune valutazioni che non vogliono essere sterile critica, ma motivo di riflessione da parte di chi ha il dovere di mettere in atto possibili migliorie.

Intanto gli ascolti. Il Boris Godunov dal punto di vista televisivo non ha “bucato” come è successo negli scorsi anni. La prima è stata seguita da circa 1 milione e mezzo di telespettatori e uno share del 9% circa (fonte: Ufficio stampa RAI). (1)

Al di là dei noti (per gli addetti ai lavori) toni trionfali, ma contemporaneamente difensivi del tipo:”Un grande successo per un’opera come Boris Godunov di Mussorgskij…” (sic!), non possiamo non notare la differenza con i dati presentati dallo stesso ufficio stampa nella stessa data un anno fa, dove i telespettatori erano più di 2 milioni e lo share oltre il 10%. (2)

Sugli stessi comunicati stampa, e questa è un’annotazione didattica per i non affini al settore comunicativo, sono interessanti anche la dichiarazioni dell’AD RAI Carlo Fuortes che nel 2021 dichiarava: "Vinta sfida di portare l'opera a tutti" e nel 2022 "Vinta sfida di portare l'opera a tutti".

Tutto questo entusiasmo pare un po’ eccessivo, visto che in assenza di sviluppi tecnologici, nell’ultimo anno, che potrebbero aver convogliato il pubblico su altre piattaforme, è stato perso un quarto del pubblico con la mancanza all’appello di oltre mezzo milione (500.000 persone).

Qualcosa non ha funzionato, soprattutto nella strategia di avvicinamento con l’evento e nelle strategie di co-marketing con il Teatro alla Scala.

Che dopo anni di opera italiana, l’arrivo di un’opera in russo avrebbe comportato qualche complicazione dal punto di vista strategico non era un segreto. La sfortuna poi ci ha messo del suo. Ammesso che la guerra possa essere un fatto attribuibile alla sfortuna. Ma che la rappresentazione di un’opera russa dopo 10 mesi di azione mediatica congiunta anti-russa potesse obiettivamente rappresentare un fattore di riflessione strategica, andava oltre l’ovvio.

Certo, il continuo ribadire - soprattutto da parte di Chailly - che le opere vengono scelte 3 anni prima della rappresentazione non ha sortito effetto. Ma della diffusione del messaggio da parte del teatro ne parleremo a breve.

Forse lo spettacolo è rimasto imbrigliato dalla stessa strategia comunicativa e politica della RAI, che per troppo tempo ha attaccato la Russia invece della sua attuale leadership. A farne le spese, a quanto pare, sono state la cultura russa e la stessa RAI.

Poco servono le parole sagge del Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella che, durante l’evento ha fatto una distinzione intellettuale tra quanto sta succedendo in Ucraina e la bellezza dell’arte russa. Forse questo tipo di comunicazioni avrebbero dovuto arrivare prima dell’evento e non durante.

Tuttavia, per onestà intellettuale, non possiamo addossare solo alla TV di stato un approccio comunicativamente troppo “strillato” e semplicistico di un problema complesso come la guerra. Ma questo meriterebbe un’altra analisi.

Ma che qualcosa ieri non andasse liscio lo si è visto già durante la diretta. O addirittura prima. La “Vita in Diretta”, non ha fatto da traino alla prima. Tra un omicidio trattato con il fare del gossip e il lancio del programma di Malgioglio, che onestamente ci pareva poca cosa rispetto ad una prima mondiale, non si è trovato il tempo di fare un lancio decente. O - probabilemente - non si è voluto.

Durante la diretta poi, inspiegabilmente, sono saltati i tempi. Un fatto curioso se si pensa che di fronte questo fatto si è trovato l’organizzatore dell’evento televisivo stesso. I conduttori Milly Carlucci e Bruno Vespa, non sono riusciti neanche a spiegare la trama al pubblico prima dell’inizio.

Cosa necessaria se il problema era che un’opera come il Boris Godunov potesse provare dei problemi di comprensione per il pubblico stesso. Ammirevole la volontà della Carlucci che ha provato a ovviare al problema durante la pausa. Ma inutile. Esattamente come le parole a favore della cultura russa nell’intervallo.

Che la RAI sia uno strumento anche politico, lo sanno anche i bambini che sono poi saliti sul palco imbrattati di tintura rossa. Ma la sensazione è che le tensioni sociali e politiche che si percepivano nei giorni antecedenti all’opera, anche attorno alla figura del cantante protagonista, abbiamo indotto ad un atteggiamento strategico cauto. Troppo.

Non è stata minimamente accennata una strategia di “attacco” e “traino” del prodotto televisivo, se non quello istituzionale di ordinanza che è stato ridotto al minimo sindacale, sia da parte della media company che del teatro.

Ma, se nei confronti del teatro possiamo fare qualche atto di clemenza in virtù del fatto che ci troviamo di fronte a operatori che hanno mirabolanti basi accademiche ma che nessuno ha mai visto fare esperienza nel settore, da una media company ci si aspetta di più. Soprattutto se si pensa ad un canone coatto preso dalla bolletta della luce e un atteggiamento di ingegnerizzazione dell’opinione pubblica che non esce mai dall’agone politico a favore della cultura e quindi della comunità.

Vedremo nei prossimi giorni lo sviluppo dei dati sull’opera attraverso le piattaforme streaming.

Rimane il fatto che 500.000 persone in meno su 2.000.000 sono il 25% in meno. Qualche riflessione andrebbe fatta. A più livelli.

Passiamo alla strategia del teatro. Una strategia istituzionale che purtoppo però toglie libertà strategica imbrigliandola ad un protocollo che, in fondo, è giusto che ci sia.

Manca però la visione (e forse anche la volontà e la capacità tecnica) di creare una linea strategica parallela che supporti quella istituzionale e porti volumi che potrebbero dare maggiori soddisfazioni agli sponsor.

Perché qui è il grande baco tecnico del teatro. Quello di muoversi come un ente pubblico in un mondo che ha altri assetti ormai. Se è vero che non tutti gli spettacoli hanno le stesse attenzioni della prima (e qui si aprirebbe un altro discorso sulle media partnership), non possiamo trattare uno spettacolo globale con la mentalità della fondazione pubblica-privata, basata più che sul concetto di sponsorizzazione e la ricerca dei fondi, sul concetto di mecenatismo pubblico e/o privato.

Nella conferenza stampa di presentazione della prima (3), il sovrintendente e direttore artistico del teatro Dominique Meyer ha parlato di numeri e incremento dei fondi, ma forse qualcosa non funziona nell’interconnessione tra gli interessi della sua azienda e gli interessi reali di quelle partner. Diamo la nostra vicinanza a Meyer, che nonostante i limiti strutturali, dovrà dare ragione di questi risultati.

A proposito della conferenza stampa, cominciamo a parlare delle strategie digitali di una delle istituzioni culturali principali del Paese. Proprio quella conferenza stampa è stata mandata in streaming sulla piattaforma YouTube il 22 novembre 2022. Nelle circa 2 settimane trascorse dalla conferenza stampa (22 novembre - 8 dicembre), il video, come si può vedere nello screenshot, è stato visualizzato solo 3.781 volte.

Partendo dal fatto che, il canale ha oltre 47.000 iscritti che ricevono la notifica di messa online e che stiamo parlando della presentazione di un evento culturale globale, il risultato parla chiaro e - sicuramente - non può essere soddisfacente.

Altro esempio sul fatto che qualcosa non abbia funzionato è Twitter. Il canale ufficiale del Teatro alla Scala ha (come si evince dagli screenshot) 309.337 follower.

Qui è successo qualcosa di inaspettato: i tweet pubblicati dopo la fine della prima hanno ricevuto molti più like di quelli postati durante l’evento. Ora, una visione “apologetica” della situazione direbbe che il pubblico era impegnato nella visione dell’opera, ma quesa indicazione non sarebbe in linea con l’andamento degli anni scorsi.

Sembra quasi che il pubblico non abbia voluto esprimere un giudizio senza l’ausilio tranquillizzante del conformismo pubblico che si è liberato al termine della prima. Anche se, neppure in questo caso, possiamo parlare di numeri degni della grandezza comunicativa dell’evento.

Quello che però ha colpito è quanto è successo nei tweet postati durante l’evento. Testi chiaramente già scritti prima dell’inizio e che mancavano di volontà di inclusione, coinvolgimento e ricerca del pubblico. Si pensi solo che con una platea di più di 309.000 persone c’erano tweet con 29 o 33 like. Ci sono feste di compleanno andate molto male che hanno visto più presenti.

Siamo rimasti colpiti anche dal fatto che sul sito istituzionale del teatro (forse per trasparenza), la responsabile delle attività digital ci abbia tenuto a far sapere che è lei a postare i tweet. Una cosa inedita per chi fa e insegna (anche) questo mestiere da anni.

Ci si perdoni la franchezza, ma pur mettendo in evidenza anche il risultato del miglior tweet post eventum, rilevato alle 12:17, di ben 233 like su 309.337 follower, non ci pare davvero un risultato degno del prestigio dell’Istituzione rappresentata e della potenza di fuoco, anche in termini cross-mediatici messi a disposizione.

È uno di quei risultati per cui, all’interno degli stessi uffici marketing delle aziende che stanno donando denaro al teatro, il responsabile marketing e quello digital sarebbero richiamati la prima volta e licenziati la seconda.

E questo è un fattore che potrebbe influire nelle scelte di quelle stesse aziende. Un’indicazione che ci permettiamo di segnalare umilmente all’attenzione del Dott. Meyer.

Analisi simile si potrebbe fare sugli altri canali social, dove si evincono volumi non adeguati alla grandezza dell’evento.

In conclusione

Al termine di questa breve analisi, su quanto visto ieri, quello che vorremmo sottolineare con spirito di servizio verso un’Istituzione culturale di eccellenza e verso la cultura è quanto segue:

  • La strategia di marketing e co-marketing ha evidenziato delle forti mancanze nel supporto all’opera prima e durante l’evento. Mancanza che ha contribuito a portare nel risultato una perdita di pubblico, faticosamente fidelizzato negli anni precedenti.
  • La strategia degli apparati digitali e multimediali, anche durante l’evento ha volumi insoddisfacenti per qualsiasi azienda che si muove sul mercato e non ha contribuito all’arricchimento del bacino di pubblico televisivo prima, durante e dopo l’evento.
  • La scelta visiva dell’immagine coordinata dedicata all’evento non ha aiutato il pubblico a memorizzare o sviluppare interesse verso il prodotto. Non funziona sempre l’utilizzo di una grafica e di colori “pop” se non si vede il prodotto. A volte per essere troppo concettuali si rischia di essere poco pragmatici, e la comunicazione oggi va fatta per persone che hanno la percezione di non avere tempo per comprendere il concetto. Non appoggiamo questo andamento, ma lo fotografiamo come un dato di fatto.
  • Lo spettacolo: Nell’insieme il connubio tra opera, scenografia e prodotto video è da considerare positivo e riuscito dal punto di vista del prodotto e della comunicazione.

 

Rimane l’amaro in bocca per i rischi di questo calo di volumi. L’impressione è che ormai la prima sia un servizio e non un lavoro creato per il raggiungimento di risultati. Risultati che però sono alla base del business di quelle stesse aziende che dovrebbero vedere nel danaro dato al teatro un investimento di sponsorizzazione e non una donazione detraibile dalle tasse. È vero che un milione e mezzo di telespettatori sia un buon risultato in termini assoluti, ma non è così se ci si sforza di capire quale sia la platea raggiungibile e il fatto che si è perso un quarto del pubblico già fidelizzato.

Anche la strategia di corporate del prodotto e quella digital non ha funzionato, come abbiamo dimostrato.

In Italia, dovremmo uscire dalla logica del lavoro fatto per dare un servizio al cliente e entrare in quella legata al risultato. La logica del “dipendente pubblico” non funziona se poi si devono andare a chiedere soldi al privato. Questo è un fattore di approccio al lavoro sul quale tutto il sistema culturale dovrebbe porsi delle domande, che però al termine sfocino in azioni programmatiche e attuative.

È ormai, non solo opportuno, ma necessario tirare fuori la cultura dalle azioni di CSR aziendali a quelle remunerative e di marketing per poter garantire collaborazioni reciprocamente soddisfacenti sul medio e lungo periodo.

Non se la prendano i protagonisti di questa analisi, ma il marketing è una disciplina che evol con la società, anche quando la società non va nella direzione in cui vorremmo o al di là della nostra zona di confort.

Ringraziamo comunque la RAI e il Teatro Alla Scala di Milano per aver condiviso con noi tutti lo spettacolo visto ieri sera, che al di là delle analisi tecniche, ha regalato bellezza e arte in un mondo che da questa tende ad allontanarsi.

Un ringraziamento alle tante persone, delle quali non sapremo il nome proprio e che rientrano in quel “le maestranze” per il grande lavoro che speriamo possa essere sempre più valorizzato da un pubblico sempre più ampio.

Emmanuele Macaluso

 

Note:

(1) https://www.rai.it/ufficiostampa/assets/template/us-articolo.html?ssiPath=/articoli/2022/12/Un-milione-e-mezzo-di-spettatori-per-Boris-Godunov-alla-Scala-81c0bd3b-0351-4c68-b7ca-3146ab3606bd-ssi.html

(2) https://www.rai.it/ufficiostampa/assets/template/us-articolo.html?ssiPath=/articoli/2021/12/Oltre-due-milioni-di-spettatori-per-il-Macbeth-alla-Scala-65de7fdb-4f04-464d-81bf-58825e37e84f-ssi.html

(3) https://www.youtube.com/watch?v=kkfqbHkkbRQ

Foto Wikipedia

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