Demo-1 Crew Dragon di Spacex: analisi di un successo scientifico e tecnologico
La missione: E’ partita lo scorso 2 marzo, dalla rampa 39 A di Cape Canaveral, con l’utilizzo di un vettore SpaceX Falcon 9, la Missione denominata Demo-1. L’obiettivo di questo test è stato quello di portare in orbita la navetta di SpaceX “Crew Dragon”, una capsula progettata per il trasporto di 7 astronauti.
Il razzo Falcon 9 è già stato utilizzato con successo da SpaceX per una dozzina di voli di rifornimento cargo verso la Stazione Spaziale Internazionale. Durante questo test di volo, a bordo della Crew Dragon era presente “Ripley”, un manichino munito di sensori che aveva il compito di monitorare le sollecitazioni e i parametri ai quali saranno sottoposti i futuri astronauti.
Una curiosità di marketing: Il nome scelto per il manichino è ispirato a Ellen Ripley, la protagonista del film “Alien”.
La Demo-1 ha portato a termine con successo l’intera missione, che è durata da sabato 2 a venerdì 8 marzo, e che è stata suddivisa nelle seguenti fasi:
- Lancio della capsula Crew Dragon con l’utilizzo del vettore Falcon 9.
- Ingresso in orbita e inseguimento della ISS - International Space Station
- Docking, ovvero aggancio automatico con la stazione orbitante
- Ispezione dell’interno della navicella Crew Dragon da parte di alcuni membri dell’attuale spedizione a bordo della ISS. Anne Mc Clain (USA), Oleg Kononenko (RUS) e David Saint-Jacques (CAN).
- Scarico dei circa 180 Kg di materiale a bordo della navetta, e carico del materiale da far rientrare sulla Terra
- Fase di Undocking, ovvero sgancio della Crew Dragon dalla ISS
- Avvicinamento, inserimento nella traiettoria di rientro
- Rientro nell’atmosfera terrestre
- Ammaraggio nell’Oceano Atlantico
Dal punto di vista ingegneristico, la missione non è stata una sfida “impossibile”, in quanto per modalità e tecnologia ha ricordato i parametri già in uso dalle Soyuz e dal Programma Apollo. Tuttavia, bisogna ammettere che, a parità di concetto, i 7 posti a disposizione della Crew Dragon (rispetto ai 3 di Soyuz e Apollo), uniti al moderno e accattivante design degli interni e alle nuove tecnologie informatiche applicate, hanno portato la navicella ad un livello più attuale dal punto di vista tecnologico.
Per il corretto funzionamento della missione, SpaceX ha risolto i problemi che in passato non hanno permesso alle missioni Dragon Cargo di attraccare senza l’ausilio del braccio meccanico alla ISS.
L’eccezionalità della Demo-1, più che di carattere tecnico, è di carattere politico e strategico, così come vedremo in modo approfondito nell’apposita sezione di questa analisi.
Considerazioni strategiche:
Era il 21 luglio 2011, quando l’atterraggio dello Space Shutle Atlantis per la Mission STS-135, poneva fine al Programma Shuttle. Un programma intenso che si è distinto dai precedenti per la grande varietà delle operazioni svolte in orbita. Lo Space Shuttle, poteva portare nello spazio sette astronauti ed era un veicolo riutilizzabile, seppur dopo lunghi e costosi controlli. Dalla fine del programma, gli Stati Uniti si sono dovuti rivolgere ai competitor russi dell’agenzia spaziale russa Roscosmos, per mandare gli astronauti in orbita a bordo della ISS.
Un passaggio non proprio a “buon mercato”, dal costo di circa 80 milioni di dollari, per un totale di circa 3 miliardi di dollari già versati ai russi.
NASA ha investito sulle vincitrici della gara per il ritorno degli USA nello spazio (SpaceX e Boeing che dovrebbe fare un test analogo a Demo-1 ad aprile con la navicella CST-100 Starliner), nell’ambito del Commercial Crew Program (Programma Commerciale per Equipaggi nda) la somma di 6,8 miliardi dollari.
Cifre alla mano si può non fare un ragionamento. Al netto dei 3 miliardi dati a Roscosmos, gli USA avrebbero investito 3,8 miliardi di dollari per continuare ad avere un programma spaziale proprio. Una cifra irrisoria rispetto a quanto speso per gli armamenti.
Questo “buco” di 8 anni, che ha visto al potere l’amministrazione Obama, ha portato ad un ritardo scientifico e tecnologico notevole. Si pensi che per ogni dollaro “investito” nella ricerca spaziale, c’è un ritorno sulla Terra di 8 dollari. Calcolatrice alla mano si può facilmente comprendere quanto sia enorme il danno causato.
Non è intenzione di chi analizza, “puntare il dito” verso una ideologia politica o un suo esponente, tuttavia, se si prendono in considerazione gli straordinari risultati che si stanno ottenendo con gli esperimenti a bordo della ISS, anche (e soprattutto) in ambito biomedico, si rimane colpiti da una così poca lungimiranza strategica. In un mondo in cui la parola “Space Economy” è in continua e poderosa ascesa, proprio i primi fautori di quel settore economico e tecnologico sono rimasti per 8 anni nelle mani (e nel conto in banca) dei principali competitor.
L’ingresso di SpaceX ora, e di Boeing (probabilmente) nel prossimo mese di aprile, nell’operatività dei voli “made in USA” nello spazio, rappresenta anche un nuovo modo di gestire l’astronautica statunitense, che ora si muove con un assetto pubblico-privato, e non più solo pubblico.
Per completezza di cronaca, bisogna osservare come la stessa NASA, stia lasciando le operazioni di trasporto umano verso la ISS a SpaceX e Boeing, e contemporaneamente stia sviluppando la capsula “Orion” e il razzo SLS che avranno il compito di riportare l’uomo sulla Luna.
Una nuova stagione di slancio quindi, che come hanno dimostrato gli oltre 100.000 brevetti registrati durante e dopo il Programma Apollo, potranno avere importanti ricadute multisettoriali sulla società terrestre.
Concludiamo questa sezione mettendo l’accento sul fatto che la Demo-1 non rappresenta un balzo quantico nella storia dell’astronautica, ma più uno sviluppo e contemporaneamente un rientro degli USA e della NASA sul palcoscenico internazionale, in un contesto dove oltre alla Russia, i prossimi “avversari” tecnologici si chiameranno India e Cina. Un risultato strategico di grande levatura tecnica, politica, scientifica ed economica.
Considerazioni comunicative:
Dal punto di vista comunicativo, bisogna ammettere che gli americani “imparano le lezioni”.
Il Programma Apollo infatti, terminò in anticipo a causa (anche) di errori del piano di comunicazione. Una volta ottenuto il risultato politico - ovvero quello di raggiungere la Luna prima dell’Unione Sovietica - l’opinione pubblica si disinteressò della “corsa alla Luna”, imputando alla NASA dei costi ingiustificati. In altre parole, quegli stessi contribuenti che prima del luglio 1969 dichiaravano che arrivare sulla Luna era una necessità, dopo l’impresa di Armstrong, Aldrin e Collins facevano dichiarazioni di segno opposto, che mettevano in evidenza come quel denaro potesse essere investito per “risolvere i problemi sulla Terra”.
Quegli stessi problemi che erano presenti sul pianeta anche prima di Apollo 11.
Si pensi che ai tempi di Apollo 13 - 2 missioni e 9 mesi dopo Apollo 11 - i network televisivi non acquistarono dalla NASA i diritti per la diretta degli astronauti dalla navicella. Tutto questo all’insaputa degli astronauti stessi. Un fatto che venne ben raccontato in un film dall’omonimo titolo del 1995.
La comunicazione della NASA, non riuscendo a trovare nuovi stimoli oltre quelli competitivi e politici, portò alla chiusura anticipata del programma, nonostante gli oltre 100.000 brevetti derivanti da quell’epopea, molti dei quali con ricadute dirette nella vita quotidiana della popolazione terrestre.
Pensate quante altre straordinarie scoperte scientifiche si sarebbero potute ottenere, e quali ulteriori evoluzioni tecnologiche avremmo potuto inserire ancora nella nostra vita quotidiana.
Da allora la NASA ha dato molta importanza alla comunicazione e al marketing, trasformando queste discipline in risorse in grado di creare consenso e volumi. Nel caso specifico della Demo-1, le strategie di marketing e co-marketing della NASA si sono unite a quelle di SpaceX.
Anzi, sarebbe più corretto dire che il piano di comunicazione della NASA ha inglobato e “ingabbiato” i volumi di SpaceX.
La diretta della missione è stata gestita con l’oramai consueta modalità cross-mediale, utilizzando in contemporanea il canale ufficiale web, supportato dai social media e dai media tradizionali generalisti e di settore.
Una macchina comunicativa imponente, che ha dato visibilità alla missione, agli enti e ai protagonisti coinvolti in questa impresa.
L'amministratore capo della Nasa, Jim Bridenstine, ha scelto Twitter per esprimere la sua soddisfazione per il successo della missione: «Con orgoglio mi congratulo con SpaceX e con la squadra della Nasa per questa pietra miliare nella storia spaziale della nostra nazione». Per Bridenstine «questo primo lancio di un sistema spaziale progettato da un'azienda commerciale attraverso una collaborazione pubblica-privata è un passo rivoluzionario sulla strada tesa a portare uomini sulla Luna, Marte e oltre». Elon Musk, patron di SpaceX, vero titano della comunicazione, è parso molto emozionato ed “emotivamente esausto” alla conferenza stampa della NASA.
I parametri comunicativi della NASA lo hanno un po’ “ingabbiato”. Elon Musk infatti è abituato ad uno stile di esposizione più “libero” e dinamico, che lo vede protagonista di un palco, con una formula di infotainment che non poteva essere sviluppata in una classica conferenza stampa che lo teneva seduto dietro un tavolo. È verosimile pensare che il cerimoniale NASA, unito alle grandi e oggettive responsabilità della missione, gli abbiano fatto sentire maggiormente il peso del momento, e non gli abbiano permesso di scaricare la tensione in un contesto a lui non familiare.
Rimane comunque intatto il successo dal punto di vista aziendale e tecnologico. Anzi, c’è da dire che la Demo-1 ha visto risolti molti dei problemi che avevano afflitto in passato le missioni cargo delle capsule Dragon, che avevano bisogno del braccio meccanico della ISS per ancorarsi alla stessa. Ancoraggio che, come abbiamo precedentemente precisato, è avvenuto in modalità automatica questa volta.
Come spesso capita quando si svolgono attività “di frontiera”, e quindi ad alto tasso di insuccesso, siamo certi che NASA e SpaceX avessero pronto un piano di crisis communication, che era mancato alla Missione ExoMars 2016, così come avevamo messo in evidenza nella nostra analisi dell’ottobre dello stesso anno. (1)
Da appassionati di astronautica, siamo felici del fatto che non sia stato necessario attivare il piano di crisis communication e che la missione abbia avuto successo. Tuttavia, non nascondiamo una certa curiosità, in virtù del fatto che immaginiamo che due colossi (anche della comunicazione) come NASA e SpaceX, abbiamo costruito una notevole strategia in tal senso, dalla quale - ne siamo sicuri - si potrebbe imparare molto.
Così come abbiamo visto in passato, dal punto di vista del marketing e della comunicazione, i protagonisti sono riusciti a creare una grande attesa per la missione. Hanno agito in modo tecnicamente corretto, attraverso tutti i canali a disposizione. Hanno mantenuto alta l’attenzione per l’intera durata della missione, gestendo i “picchi” in maniera impeccabile, così come in queste ore stanno gestendo correttamente le azioni di RP post eventum.
Un’attuazione del piano comunicativo da manuale di prim’ordine, gestito da veri professionisti della comunicazione, estremamente preparati dal punto di vista tecnico, che speriamo possa essere preso in considerazione anche dagli altri enti di ricerca spaziale e non solo.
Emmanuele Macaluso
Note:
(1) E. Macaluso, “Analisi della crisis communicatione ExoMars 2016, e riflessioni sull’importanza della buona divulgazione per lo sviluppo delle imprese spaziali del presente e del futuro”, COSMOBSERVER, 28 ottobre 2016
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