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Presadiretta – A tutto idrogeno

Il viaggio dell’ultima puntata di Presadiretta parlerà dell’idrogeno verde, un gas che non emette co2, che ci consentirà di sganciarci dalle energie fossili.

 

Poi un passaggio in Svezia dove si producono le batterie a ioni di sodio.

In Italia invece il governo Meloni punta su costosi rigassificatori con cui trasformare l’Italia nell’hub del gas, perché, visto che si deve consumare (e si sta consumando) sempre meno gas?

L’idrogeno verde

Al centro Enea di Casaccia sta crescendo la prima Hydrogen Valley italiana, dove sperimentare l’idrogeno verde: idrogeno prodotto da energie rinnovabili (e non da combustibili fossili) il cui surplus può essere dedicato all’idrogeno “green”.

Per produrre idrogeno si usa il processo di elettrolisi per scindere la molecola dell’acqua: l’acqua diventa un gas combustibile pulito, che non ha nella sua molecola il carbonio.

Serve tanta energia elettrica e serve tanto idrogeno: Presadiretta è andata a Livorno dalla Erre2, dove si producono i macchinari per generare l’idrogeno verde, in loco proprio nelle grandi produzioni industriali che oggi usano fonti energetiche inquinanti.

La tecnologia ad idrogeno andrà in parallelo a quella dell’elettrico, può convivere: è uno strumento in più per arrivare alla decarbonizzazione, la ricerca intanto sta andando avanti per arrivare a celle per centrali a idrogeno meno ingombranti.

Alla Erre2 esportano le loro macchine in Francia e Inghilterra, sono fiduciosi che questa tecnologia, l’idrogeno green, avrà un futuro nella transizione energetica: la Hydrogen Bank sarà finanziata dalla banca europea e su questo settore siamo addirittura davanti alla Cina.
Questi impianti per la elettrolisi sono ancora montati a mano, ma man mano che l’idrogeno verde andrà avanti la sua produzione avrà costi minori.
Come per le altre energie rinnovabili, come il solare: dove c’è il sole oggi produrre energia dal fotovoltaico costa meno rispetto ad altre fonti – spiega Marco Alverà a Presadiretta – il mix del futuro sarà 50% elettricità e il restante deriverà da un combustibile (per le navi, per il riscaldamento, per fare l’acciaio). Questo secondo 50% sarà per metà combustibili a idrogeno e l’altra metà combustibili fuel.

Con l’idrogeno verde si potrebbe ridurre le emissioni per 4 tonnellate l’anno, per questo tanti paesi europei stanno investendo in questo settore.

L’energia in Danimarca

Il vento genera la metà dell’elettricità in Danimarca: questo paese è stato tra i primi a puntare sull’eolico, anche con impianti offshore. Entro il 2030 vogliono quadruplicare l’energia dall’eolico, il surplus di questa energia verrà usata per produrre idrogeno: Presadiretta è entrata nello stabilimento di Everfuel, uno dei più grandi in Europa che è alimentato solo da energie rinnovabili.
Questo impianto venderà anche le energie di scarto, come il calore, per il teleriscaldamento.
L’idrogeno verde è accumulato in tante batterie in serie (poi mandate nella rete), il loro progetto è distribuirlo anche fuori dalla Danimarca.

In Germania nella regione che si affaccia sul mare del nord sono pieni di pale eoliche: sono ovunque perché i contadini si sono messi in società, coltivano e lasciano le pale eoliche sui loro terreni.
Il governo tedesco ha deciso che Amburgo diventerà un grande cantiere per l’idrogeno verde: una centrale a carbone è stata convertita per l’idrogeno verde, che sostituirà il gas naturale entro il 2045, e dovrà riscaldare l’intera città, raccogliendo il calore di scarto da tutte le produzioni industriali (il cui calore non deve essere sprecato).

Intorno al porto di Amburgo sono concentrate decine di industrie pesanti che andranno convertite: questa è la sfida della città che si appoggia proprio all’idrogeno verde, prodotto da energie anche non rinnovabili nel periodo di transizione, ma alla fine si userà solo idrogeno verde.

Negli stessi giorni in cui si sono registrate le interviste, i trattori dei contadini tedeschi sfilavano per le strade protestando contro le scelte dell’Unione Europea, che ha portato al dietro front sui pesticidi. Ma il governo tedesco continua a puntare sulle energie rinnovabili, anche nei grandi processi industriali che hanno bisogno di tanta energia, come quello siderurgico.
Ad esempio alla Arcelor Mittal puntano all’idrogeno verde, al posto del gas (in Germania, non in Italia), per arrivare a produrre acciaio verde.

Comunque due terzi dell’idrogeno verde dovranno essere importati: non saremo mai indipendenti sull’idrogeno dunque, la Germania sarà sempre un consumatore di quello prodotto in altri paesi, per esempio i paesi del nord Europa o i paesi del sud, come il nord Africa.

Dobbiamo prendere l’energia laddove si può, come il nord Africa, e trasformarla in qualcosa che si può trasformare come l’idrogeno: questo è il futuro, nonostante ancora si punti sul gas naturale.

Il grande Hub del gas

In Abruzzo a Sulmona Snam vuole realizzare il centro della rete di smistamento del gas: ma questo progetto, il gasdotto che attraverserà l’appennino, è ancora sulla carta.
Costerà 2,5 miliardi di euro questo progetto che era stato abbandonato e poi risuscitato dal governo Draghi e Meloni poi.
Questo progetto sarà strategicità – spiega la presidente del Consiglio – ma la popolazione locale lo ha criticato per l’impatto ambientale, perché la centrale di Sulmona è in una zona sismica dentro una valle chiusa.
Non ci sarà nessuna ricaduta occupazionale: si tratta di un’opera di pubblica utilità? No perché è stata pensata nei tempi in cui ancora si puntava sul gas, la stessa regione Abruzzo si è detta contraria a questa opera, ma la contrarietà della regione è stata superata dai decreti dei governi Draghi e Meloni.
Il gasdotto dovrebbe passare sotto Paganica, vicino all’Aquila: qui ancora ci sono le cicatrici del terremoto del 2009, poco lontane dal tracciato del gasdotto che prosegue poi verso il nord.
Come si fa a parlare di sicurezza? Le popolazioni sul territorio non credono alle rassicurazioni della Snam e del governo, la gente ha paura.

Ferdinando Galletti è il presidente dell'amministrazione usi civici: a Presadiretta racconta che il suo ok all’opera non lo darà mai, perché prima viene la tranquillità delle persone.

Molti dei proprietari dei terreni su cui dovrà passare il gasdotto hanno già firmato dei documenti in cui consentivano l’opera, ma ora dopo il terremoto temono il pericolo: Snam sta tenendo conto del rischio terremoto, dell’impatto sulle case di questa opera?

L’istituto nazionale di vulcanologia INGV ha confermato queste paure: questoo gasdotto provocherà delle accelerazioni del suolo che potranno essere superiori a quelle previste per l’opera. Il governo Meloni ha chiesto di fare altri studi anche sulla tratta da Sulmona a Foligno e serviranno altri due anni, mentre non si farà nessuna indagine sul tratto verso l’Emilia Romagna.

Ma non si potranno aspettare due anni, perché la Snam deve completare l’opera entro il 2027 per prendere i soldi del pnrr e i lavori devono iniziare entro il primo semestre del 2025, ovvero prima della fine degli studi.

Secondo Snam l’unico tratto dove serve l’analisi di INGV è quello verso Foligno, negli altri tratti le indagini sono sufficienti.

Ma il problema è che il consumo di gas in Italia è in calo: questo è il vero punto, quest’opera è inutile, lo racconta il think tank Ecco.
Anche con una transizione più lieve, il consumo di gas non giustifica investimento, a meno che i consumi di gas crescano (cosa molto improbabile).

Il rischio che la dorsale adriatica verrà ripianato dai consumatori italiani è dunque molto reale: il costo di questo gasdotto, di cui si vanterà questo governo, lo pagheremo noi due volte, prima col Pnrr (che sono soldi dell’Europa) e poi con le bollette.



Salvatore Carollo è stato a capo del trading del gas per Eni: a Presadiretta spiega che questo mercato del gas non interesserà il resto dell’Europa, come nemmeno il gas liquido (che costa anche molto di più).

Perché la Germania dovrebbe comprarsi il gas liquido da noi?

Il presidente Marsilio scarica le colpe al governo Draghi – racconta il conduttore Iacona in trasmissione: il governo Meloni ha solo confermato queste scelte.

Il gas liquido

Per la strategia energetica italiana, fondamentale sarà il rigassificatore davanti Ravenna: in Italia Snam ha acquistato una nave per la rigassificazione, col decreto energia Meloni ha fatto rinascere due progetti per rigassificatori, in Sicilia e in Calabria a Gioia Tauro.

Peccato che, a parte l’essere una fonte energetica vecchia e inquinante, lo stabilimento di Gioia Tauro è abbandonato e usato anche da una comunità di migranti.
A San Ferdinando sono preoccupati del rigassificatore e delle opere accessorie, promesse ma mai messe sulla carta: il sindaco vorrebbe delle garanzie su questa ennesima opera strategica (vecchia e costosa), prima di vedersi depredata un’altra parte del loro territorio.

Conviene investire su questi rigassificatori, la cui costruzione richiederà altri 4-6 anni? Come giustificano queste opere Iren e Surgenia anche di fronte al calo della domanda di gas?
Ci sono ragioni di sicurezza strategica, risponde Iren, che però chiede un forte sostegno economico allo stato, perché sanno benissimo che queste opera non si ripagherebbero da sole. Anche qui saremo sempre noi con le bollette a pagare queste opere.

Abbiamo bisogno anche di nuovi fornitori di gas per il nostro piano: tra i fornitori c’è anche Israele, che vorrebbe essere nostro partner nel piano sull’hub europeo, assieme a noi vorrebbero realizzare un gasdotto dai giacimenti italiani fino a Cipro, poi la Grecia per arrivare alla costa pugliese.

Estmed Poseidon costerebbe miliardi: nemmeno l’Europa ci crede più a questo progetto, ma nonostante questo c’è un grande lavoro di lobby in Parlamento per convincere lo stato a finanziare questa opera.
Le riserve di gas di Israele sono minuscole, anche questo è un fattore che dovrebbe farci riflettere sull’investire o meno su un nuovo gasdotto.

Estmed non servirà nemmeno a trasportare idrogeno verde, perché nel futuro l’idrogeno sarà prodotto – come si è visto prima – laddove sorgono i grandi impianti di elettrolisi.

Combustibili alternativi

Ci sono carburanti a base di idrogeno che possono funzionare anche nei motori termici: il problema è che costa tanto e dunque si pensa di usarlo nei trasporti a lungo raggio, come navi o aerei.

L’idrogeno può essere anche usato nei mezzi pesanti, come i trattori che spostano le merci nei porti: li stanno sperimentando sempre all’Enea con le loro fuel cell, che funzionano in un processo di elettrolisi inversa, l’idrogeno diventa acqua e energia elettrica (vapore acqueo e nessuna emissione di co2).
Ci sono anche le auto ad idrogeno: sono poche e funzionano anche loro col principio della fuel cell, emettono acqua a partire dall’idrogeno.
Sono auto con motore elettrico, con una batteria più piccola, nei serbatoi è contenuto idrogeno e non benzina: il modello della BMW ha una autonomia tra i 5-600 km, al momento sono solo prototipi, ma alla fine di questo decennio pensano di produrla in serie.

Lo svantaggio è il costo e la mancanza di una infrastruttura capillare per il rifornimento dell’idrogeno: in Italia ce ne sono solo due, in Germania ne esistono 60 circa.

Le batterie senza litio

Oggi stiamo costruendo le prime batterie al sodio, senza nemmeno un grammo di litio: questa è la nuova sfida dell’industria, alla faccia dei tanti detrattori dell’elettrico. Non solo, le stesse batterie al litio stanno diventando sempre più efficienti.

Assieme alla rivista indipendente Motor1.com, Presadiretta ha testato nuove auto elettriche per misurarne le performance, in termini di autonomia, di costo per km. Serviranno sempre più auto elettriche, da collegare alla rete per stabilizzarne i picchi quando serve.

In Svezia, dove circolano tante auto elettrico (nonostante il freddo) stanno lavorando a nuove batterie agli ioni di sodio, con un processo più semplice – raccontano dalla Altris: Il processo di produzione per gli ioni di litio o di sodio è lo stesso al 95%, possiamo usare gli stessi macchinari. Il vantaggio è che rispetto alle batterie al litio qui possiamo usare un unico tipo di rame anziché due ha dichiarato all’inviato Alessandro Macina il co-fondatore e CTO di Altris, Ronnie Mogensen fare le batterie al sodio è un processo più semplice e le batterie sono più facili da riciclare, i materiali sono sostenibili e tutto quello che c’è in queste celle viene dall’Europa, non bisogna più importare niente.
Dunque non ci sarebbe più bisogno dei metalli delle terre rare con questa tecnologia basata sugli ioni di sodio che al momento è usata per le cosiddette applicazioni stazionarie, dove vengono utilizzate come batterie di accumulo per l’energia prodotta dalle rinnovabili, ma qui in Svezia sono pronti per il grande salto e cioè portare le batterie al sodio anche nel settore dei trasporti, nelle auto elettriche. Sarebbe un bel passo in avanti per la filiera dell’auto elettrica che ci renderebbe più indipendenti dalla Cina.
“Abbiamo celle che possono caricarsi in 15 minuti e sono utili in applicazioni come i veicoli elettrici o come quando è necessaria molta energia in tempi rapidi, la densità energetica diminuisce leggermente, ma possiamo creare celle al sodio per ogni applicazione, la cella giusta per il lavoro giusto e per il consumatore non cambia nulla, userà la stessa colonnina di ricarica di prima, sodio o litio l’infrastruttura è la stessa. Parliamo di pochi anni al massimo, non stiamo parlando di un decennio. Abbiamo clienti automotive che ce le chiedono già ora. Questa cella è davvero molto vicina al mercato. Stiamo recuperando terreno sul litio settimana dopo settimana” ha aggiunto ancora Mogensen a PresaDiretta.

È molto promettente questa tecnologia: ad oggi queste batterie sono più pesanti, ma col tempo diventeranno sempre meno ingombranti: alla Altris immaginano un futuro dove le batterie al litio e al sodio conviveranno, per applicazioni diverse.

A questo progetto delle batterie agli ioni di sodio è interessata la Northvol, il più grande produttore europeo di batterie, che stanno aprendo la prima gigafactory europea del riciclo delle attuali batterie al litio. Dopo aver aperto un primo impianto in Norvegia destinato al riciclo del più grande mercato di auto elettriche, in questi laboratori hanno messo a punto un nuovo processo automatizzato in cui si fa tutto, dal disassemblaggio fino alla black mass, la polvere catodica contenente i materiali per le nuove batterie. Emma Nehrenheim è la responsabile sostenibilità ambientale di NorthVolt “questa polvere nera contiene tutto, grafite, nichel, cobalto, manganese e litio nel processo, aumentando lentamente il ph, riusciamo a separare tutti i diversi metalli fin quando non li avremo ognuno nella sua forma più pura”, il nichel o il cobalto riciclato, che la responsabile ha mostrato al giornalista, spiegando come “la cosa bella dei metalli è che possono essere riportati alla loro forma elementare, cobalto rinnovabile che non è estratto da una miniera, è lo stesso cobalto che continuiamo a tenere in circolo, è questa la chiave della sostenibilità ambientale per i veicoli elettrici perché, o apriamo nuove miniere in Europa oppure investiamo nel riciclo. Ma credo che questo investimento valga molto di più a lungo termine sia in termini di sostenibilità che economici.”
La nuova gigafactory riciclerà 125mila tonnellate di materiali per batterie all’anno, il vantaggio dei metalli riciclati è che le loro prestazioni nelle nuove batterie sono equivalenti o superiori a quelli dei metalli appena estratti e poiché non esauriscono mai le loro proprietà, possono anche essere riciclati più volte, così nel 2021 in questi laboratori NorthVolt ha prodotto le prime celle 100% riciclate.

Nel loro impianto il riciclo si fa da batterie che vengono da tutto il nord Europa: la strategia è rendere l’Europa indipendente dalla Cina, per le batterie e per il litio, occorre essere pronti a far partire il processo industriale del riciclo appena arriveranno a fine vita le prime batterie.

L’Europa ha messo obblighi di riciclo su ogni materiale e questo farà nascere una grande industria europea del riciclo. Sono previste 41 gigafactory al 2030 con investimenti per 2,6 miliardi ma i ricavi saranno almeno il doppio, ha calcolato il Politecnico di Milano.
Anche per l’Italia il riciclo delle batterie potrebbe essere un mercato promettente: il professor Colledani parla di un mercato da almeno 600 ml di euro l’anno e questa promessa del riciclo è quella che rende l’elettrico diverso dal motore endotermico.

Tutti le grida d’allarme sui rischi del motore elettrico, che ci renderà dipendenti dalla Cina, sono solo propaganda. Oppure ignoranza.

Quanto idrogeno verde produrremo (coi soldi del pnrr)?

Sono circa 3,6 miliardi di euro i fondi del pnrr destinati all’idrogeno verde: Presadiretta è andata a Figline Valdarno, in provincia di Firenze, dove un’azienda italiana attiva nelle energie rinnovabili prevede di installare 100 megawatt di fotovoltaico per riconvertire un’ex grande area industriale in una Hydrogen Valley: produrre idrogeno verde può essere un buon modo per riutilizzare siti industriali dismessi ma che abbiano ancora infrastrutture utilizzabili.

Il CEO di Ge-Group Federico Parma racconta che in questo sito ci sia ancora una linea per l’alta tensione già connessa, basta girare una leva dell’interruttore, sono presenti 11 pozzi di acqua, una condizione fondamentale per andare a produrre, ci sono 60mila metri quadri coperti e poi il sito è su una dorsale della A1, quindi in una situazione favorevolissima, come tanti altri siti dismessi, “chi è che vorrebbe dieci raffinerie di più in Italia, ma dieci elettrolizzatori ad idrogeno in più non creano problemi, male male emettono ossigeno.. ”
In questo progetto con il calore di scarto per la produzione di idrogeno si climatizza una vertical farm che coltiva in ambiente protetto frutta e ortaggi mentre con l’ossigeno si alimentano allevamenti ittici.
Ma per il fatto che questo progetto è così vario e non prevede la produzione di solo idrogeno verde gli ha impedito di accedere ai fondi del pnrr.

Lo racconta ancora il CEO: “non siamo riusciti in alcun modo ad intercettare alcun fondo per finanziamento pubblico, tenendo conto che questo progetto rientra in dodici misure del pnrr. Creare un’economia circolare dove è tutt’uno non è stato proprio concepito nel pnrr. Fondamentalmente andiamo avanti con soldi 100% privati. ”

Per l’idrogeno in Italia dai fondi pubblici del pnrr sono stanziati 3,6 miliardi di euro, oltre 700ml sono destinati proprio alla creazione di siti di Hydrogen Valley con cui produrre 700 mila tonnellate di idrogeno verde da qui al 2030. ReCommon sta seguendo questi progetti: “lo scenario migliore è quello dove si produce e si utilizza in loco per ad esempio decarbonizzare le industrie ” racconta Elena Gerebizza a Presadiretta, per evitare i problemi del trasporto e della distribuzione dell’energia.
Di progetti simili finanziati dal pnrr ce ne sono più di 50 in quasi tutte le regioni d’Italia, protagonisti sono i grandi operatori dell’energia da Snam a Eni. Quelli dell’associazione ReCommon hanno fatto i conti e si sono accorti che con i soldi stanziati si produrrà solo una minima parte di idrogeno verde, prodotto cioè con le energie rinnovabili, solo 7mila tonnellate: “siamo molto lontani dagli obiettivi e questo lascia immaginare che gli elettrolizzatori che si installeranno nelle Hydrogen Valley utilizzeranno sia energia prodotta in loco, principalmente da fotovoltaico, ma anche energia che circola nella rete [dove l’energia rinnovabile è solo al 40%], quindi sarà un idrogeno prodotto tramite elettrolisi ma non è necessariamente verde.”

In Italia potremmo produrre poco idrogeno verde, perché manca l’energia rinnovabile di partenza – spiega il professor Setti a Bologna: l’idrogeno verde che parte da un principio buono, parte male in Italia dove manca il surplus di energia rinnovabile. Gli elettrolizzatori saranno alimentati da impianti di rinnovabili dedicati altrimenti prendiamo l’idrogeno che arriva dalla rete.
Il rischio che tutto l’idrogeno che produrremo sarà generato da fonti non green: stiamo investendo per sviluppare un mercato dell’idrogeno che porterà vantaggio solo ai grandi player del settore, che hanno già una filiera pronta.

Oggi paghiamo il prezzo di non aver installato tutta l’energia rinnovabile come avremmo dovuto fare nel passato: siamo appena al 40% dell’energia rinnovabile sul totale, dovremmo arrivare al 60%, c’è ancora una lunga strada da percorrere.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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