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Porto di Genova contro i traffici di morte

La “nave della guerra” Bahri Yanbu, un ro-ro cargo della Compagnia di navigazione saudita Bahri, ha fatto nuovamente scalo nel porto di Genova lo scorso lunedì 17 febbraio.

di Sinistra Anticapitalista Genova

La nave, come altre della stessa Compagnia di navigazione, trasporta abitualmente materiali e mezzi militari verso il Medio Oriente, destinati in particolare alle forze militari del regime iperreazionario dell’Arabia Saudita che, a capo di una coalizione di altri Stati, sta conducendo dal 2015 una guerra nello Yemen che ha già causato 250.000 morti, di cui oltre la metà per la gravissima situazione sanitaria e alimentare, con bombardamenti aerei sulle popolazioni civili, e che rappresenta attualmente, secondo quanto afferma l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari, la più grave crisi umanitaria al mondo. La peggiore epidemia di colera dell’era moderna ha colpito oltre un milione di persone.

E sempre nel Medio Oriente e nel continente asiatico sono anche altri gli scenari di guerra. La nave Bahri Hofuf, transitata per Genova lo scorso 18 gennaio e proveniente come sempre dai terminal militari Usa e canadesi, aveva a bordo elicotteri da guerra destinati all’India, dove prosegue da decenni un conflitto con il Pakistan nella regione del Kashmir, e prima di dirigersi verso le sue tappe abituali in Arabia Saudita e negli Emirati Arabi ha fatto uno scalo imprevisto a Iskenderun, nel sud della Turchia, dove c’è una base militare turca vicino al confine siriano, ed è presumibile che abbia portato rifornimenti alll’esercito turco impegnato nelle operazioni militari e di occupazione della Siria del nord e del Rojava, che avvengono anche in collaborazione con bande jihadiste di vario tipo.

La Bahri Yanbu, anch’essa proveniente dagli USA, prima di Genova ha toccato altri porti europei, con proteste e mobilitazioni che in alcuni casi, come ad Anversa (Belgio) e a Tilbury (Inghilterra) ne hanno impedito l’approdo.

Il Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali (CALP), un collettivo di movimento che opera nel porto di Genova, ha promosso una mobilitazione per respingere e boicottare la nave e il suo carico di morte, come già avvenuto in occasione di un precedente attracco della nave a Genova nel maggio dello scorso anno. Si veda, a tal proposito, su questo stesso sito, l’articolo “Bahri Yanbu: una preziosa battaglia internazionalista della classe operaia genovese” del 23 maggio 2019:

https://anticapitalista.org/2019/05/23/bahri-yanbu-una-preziosa-battaglia-internazionalista-della-classe-operaia-genovese/

La mobilitazione, partita da alcune settimane, ha saputo raccogliere un ampio e variegato sostegno in città e altrove, anche da diversi Paesi europei.

Dalle 7.00 della mattina di lunedì 17 febbraio è così iniziato un presidio, protrattosi fino al pomeriggio, al varco Etiopia, il varco portuale più vicino al terminal GMT dove doveva attraccare la nave, con la presenza sotto la pioggia di lavoratori portuali, militanti politici e sindacali, Amnesty International, Emergency, pacifisti dell’Ora in silenzio per la pace.

Anche il Coordinamento delle Sinistre di opposizione, che a Genova è attualmente costituito, oltre che da Sinistra Anticapitalista, dal PCL, dalla locale Federazione del PRC e dal gruppo di Resistenze Internazionali, ha sostenuto attivamente l’iniziativa. Si veda in proposito il comunicato del Coordinamento nazionale delle Sinistre di opposizione, “A fianco dei lavoratori portuali contro la guerra”:

https://anticapitalista.org/2020/02/11/a-fianco-dei-lavoratori-portuali-contro-la-guerra/

Il presidio ha bloccato l’entrata al varco portuale e il traffico di Tir è dovuto quindi essere dirottato verso varchi secondari. Dal presidio abbiamo visto attraccare la nave al ponte Etiopia e si è levato più volte il grido collettivo “Vergogna! Vergogna!”. Purtroppo, diversamente dal maggio scorso, quando la nave dovette ripartire senza poter imbarcare due generatori elettrici destinati alle forze armate saudite, stavolta le operazioni in banchina non si sono interrotte. Certo, stavolta non venivano imbarcate a Genova armi e attrezzature militari. E forse, dopo quanto accaduto a maggio, la Bahri Yanbu non ne imbarcherà più a Genova. Ma le armi la nave le aveva già nella stiva, imbarcate in particolare nei porti nordamericani ma anche in qualche altro porto europeo.

Diversamente dal maggio scorso, non c’è però stata stavolta la proclamazione dello sciopero da parte della CGIL e della FILT, pur richiesta a più riprese da parte dei lavoratori portuali del CALP, da un comunicato di RSU e RSA non solo dell’ambito portuale, ma anche di Ericsson, AMT, altre del pubblico impiego, che richiedevano il rispetto della legge 185/90, dall’Area “Riconquistiamo tutto!” di opposizione in CGIL che ha anche emesso un suo comunicato nazionale, “Insieme ai portuali contro la guerra!”:

https://sindacatounaltracosa.org/2020/02/14/insieme-ai-lavoratori-portuali-mobilitiamoci-contro-la-guerra/

La CGIL si è limitata a un incontro qualche giorno prima con il prefetto, insieme ad altre associazioni, per richiedere un impegno del Governo, anche al fine di chiarire se sia lecito il transito nel territorio italiano di armi destinate a paesi coinvolti in conflitti bellici, anche se provenienti da altre nazioni. Insomma, sono “la politica” e le istituzioni a dover controllare se il transito di armi viola la legge 185/90, la CGIL esclude la proclamazione dello sciopero. Ma Prefettura e Ministero degli Esteri del ministro M5S Luigi Di Maio, come riporta l’articolo “La protesta non ferma la nave delle armi”, di Andrea Moizo, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” di martedì 18 febbraio, hanno dichiarato che “Non sono coinvolte imprese italiane nella spedizione, il transito è regolare” e che “La 185 non si applica, perché non c’è passaggio doganale”. Insomma, una interpretazione di comodo che aggira quanto scritto al punto 6 dell’articolo 1 della legge 185/90, che recita testualmente che “L’esportazione ed il transito di materiali di armamento sono altresì vietati: a) verso i Paesi in stato di conflitto armato, …”. Del resto, nemmeno l’articolo 11 della Costituzione, per cui “l’Italia ripudia la guerra …”, riesce a fermare le tante missioni militari “di pace” all’estero …

In ogni caso, è anche stata significativa la discussione tra i lavoratori chiamati quel giorno a lavorare sulla Bahri Yanbu e che alcuni si siano rifiutati di farlo, scegliendo una sorta di obiezione di coscienza.

A qualche giorno di distanza dall’iniziativa, possiamo fare qualche riflessione. Se pure la nave è potuta “transitare” e attraccare in porto e le operazioni di carico del materiale, di natura solo “civile”, non sono state impedite, riteniamo comunque che diversi siano stati i punti positivi di questa mobilitazione:

  1. Il presidio, come abbiamo già detto, ha avuto una presenza variegata e ha bloccato per 8 ore l’entrata al varco portuale. La mobilitazione si è ampliata, con iniziative in altre città di sostegno e solidarietà o di dibattito sul tema, come a Livorno e a la Spezia, ma anche in altri Paesi europei, di fronte a consolati italiani.
  2. Pur senza la proclamazione dello sciopero, tant* delegat* sindacali e lavoratori/trici, non solo portuali, hanno partecipato al presidio, con una presenza organizzata del S.I. Cobas e, come abbiamo già detto sopra, dell’Area “Riconquistiamo tutto!” di opposizione in CGIL. A tal proposito, ecco qui alcuni link a siti web dove sono visibili interviste a militanti del CALP, anch’essi delegati sindacali, e a delegati CGIL e S.I. Cobas di altri settori:

→ https://fivedabliu.it/2020/02/17/la-bahri-yanbu-attracca-carica-di-armi-rudino-calp-a-genova-troveranno-sempre-la-nostra-opposizione/

→ https://www.primocanale.it/notizie/nave-bahri-yanbu-a-genova-protesta-e-varco-bloccato-contro-il-traffico-d-armi-216184.html

→ https://video.repubblica.it/edizione/genova/genova-l-arrivo-della-nave-delle-armi-e-le-voci-dei-portuali-che-vogliono-fermarla/354149/354716

  1. La mobilitazione ha avuto una buona eco e ha saputo fare breccia nello spazio mediatico, su tv e giornali anche nazionali.
  2. Soprattutto, dalla lotta del maggio scorso si è allargata la consapevolezza di una battaglia internazionalista, che parte da lavoratori, e si è fatta più luce sulla “guerra dimenticata” in Yemen.

Di questi tempi, tutto ciò non è scontato in un Paese come il nostro che è al 9° posto nel mercato mondiale delle armi, che continua a vendere armi anche a Paesi direttamente impegnati in conflitti bellici, che annovera numerosi esponenti politici vicini alla lobby delle armi, che spesso sono gli stessi che promuovono o sostengono leggi securitarie come i decreti Minniti-Orlando o i decreti sicurezza di Salvini e del Governo Conte 1, che il Governo Conte 2 non ha ancora minimamente scalfito.

Di fronte all’enormità della guerra, sembra che non si possa fare nulla e che tutte le iniziative siano prive di efficacia. Noi invece pensiamo che quello che si è sviluppato in questi mesi intorno alla vicenda delle navi della compagni Bahri sia importante e abbia prodotto informazione e coscienza, abbia quindi prodotto effetti reali e concreti.

Certo, si tratta di un piccolo granellino di sabbia posto in un ingranaggio colossale. Ma è altrettanto evidente che a Genova si è costruita una rete, composta da diversi soggetti politici, sindacali, associativi e di movimento, capace di mobilitarsi su questi temi. Una rete che, come Sinistra Anticapitalista, siamo impegnati a sostenere e rafforzare, contribuendo a far crescere, anche per questa via, la necessità di una prospettiva di classe e anticapitalista.

Foto: Alessandro Vecchi/Wikipedia

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