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Popolo viola: che cos’é e che cosa deve essere

C’é un dibattito all’interno del Popolo Viola sulla natura, l’organizzazione ed i progetti che tale movimento deve darsi. Pubblichiamo questo contributo di San Precario, uno degli organizzatori delle prime ore che dice la sua sul movimento...

Trovo interessante questa intervista a San Precario sul progetto Popolo Viola pubblicata sul blog Diritto di critica e quindi la riporto integralmente.

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A pochi giorni dalla manifestazione nazionale contro il legittimo impedimento, in programma per il 27 febbraio in Piazza del Popolo a Roma, il blog ha intervistato San Precario, figura ormai nota nel mondo dei social network come una delle menti che ha organizzato il No Berlusconi Day. Il successo di quella manifestazione, documentata anche da Diritto di critica, con circa un milione di persone riversate nelle strade di Roma, ha dato il via ad un progetto giovane e dinamico che dalla fase di dissenso politico si sta muovendo verso un’idea più complessa. Cerchiamo dunque di capire dalle parole di un addetto ai lavori cosa ne sarà del Popolo Viola, in vista anche delle elezioni regionali e di un futuro tumultuoso per l’Italia ancora immersa nella crisi.

Il Popolo Viola, nato su facebook e cresciuto nelle strade di Roma, corre il rischio di restare un movimento di protesta di piazza. C’è già un progetto per un programma alternativo e costruttivo che sappia coinvolgere e inglobare tutte le diverse realtà, anche ideologicamente distanti tra loro?

Il popolo viola non è mai stato un “movimento di protesta” tout-court ma semmai una sensibilità politica ricostituente (una flebo), una reazione chimica allo stato di decomposizione del tessuto democratico e culturale del Paese corroso dall’autoritarismo berlusconista nelle sue varie declinazioni: dalla casta del malaffare a ciò che Guy Debord chiama “La società dello spettacolo“. E persino il “No” che chiama in piazza centinaia di migliaia di cittadini il 5 dicembre è in realtà un Sì. Un Sì alla Costituzione, alla legalità democratica e al principio di eguaglianza: questi, al momento, sono con certezza gli unici elementi condivisi e la loro declinazione, per quanto possa apparire scontata, non può che essere il frutto di un complesso rapporto dialettico tra le tante identità che costituiscono il corpo politico del popolo viola. Per questo il popolo viola non può essere ancora considerato un soggetto programmatico, per questo non può esservi “già un progetto o un programma alternativo” (come dite voi): sarebbe un’operazione verticistica e oppressiva nei confronti della dimensione molecolare del popolo viola.

In diverse città, dietro all’effige del Popolo Viola ci sono spesso e volentieri persone di partito, generalmente Idv e Prc. Questa partecipazione diretta di tesserati ai partiti non mina l’essenza di un movimento nato come forma di protesta verso il governo, ma anche verso un’opposizione inaffidabile e inconcludente?

Essere iscritti ad un partito (qualunque esso sia) non è incompatibile con lo spirito del popolo viola e la demonizzazione dei partiti (soggetti riconosciuti dalla Costituzione) è frutto di una visione populista e manichea esattamente speculare a quella berlusconiana: non è casuale che Berlusconi sia storicamente antipartitico e abbia sempre accuratamente evitato (a partire dallo slogan “il nuovo che avanza”) di identificare i prodotti plastificati della sua “discesa in campo” nell’esperienza partitica. Altra cosa sono le élites che governano i partiti: a quelle va rivolta una critica spietata (a maggior ragione di una fase di emergenza democratica come quella attuale) per aver anteposto il tatticismo istituzionale alla difesa dei principi costitutivi della nostra Repubblica. Per quanto riguarda il rapporto popolo viola/partiti il nostro approccio è molto chiaro e molto serio.A nessuno è consentito utilizzare il movimento per fini elettorali. A questo proposito abbiamo anche diramato una nota.

L’affinità ideologica e i contenuti da voi proposti sicuramente trovano spazio in gruppi politici già esistenti. Qual’è la vostra prossima mossa, trovare un dialogo diretto con queste forze politiche o proporrete un percorso alternativo, magari con la costituzione di un movimento politico indipendente?

Il popolo viola deve dialogare con tutte le forze democratiche del Paese ma in un quadro di forte autonomia dai partiti. Finora ci siamo riusciti: noi abbiamo proposto ed i partiti ci hanno seguito, mai il contrario.

Sul suo blog lei ha recentemente scritto che «i tentativi di dare una struttura al Popolo Viola nato dalla Rete, ricorrendo agli schemi della democrazia delegata, dai coordinamenti ai gruppi di controllo, si sono rivelati fallimentari perché introducono elementi di paralisi o peggio ancora di “correntismo” tipici della modalità partitica». Questa affermazione è una nota dolente che viene a margine di una vicenda spiacevole che non tutti conoscono, ossia la “lite al vertice” tra lei e altri suoi collaboratori che la accusano di aver preso in mano il movimento in maniera non troppo dissimile dal Berlusconismo che lei combatte. Ci può spiegare la situazione anche a margine dell’articolo pubblicato sabato 20 febbraio sul sito di sky tg24?

Alcuni confondono il cosiddetto movimento con la pagina Facebook “Il Popolo Viola” di cui sono, assieme ad altri, amministratore. Chi parla di “lite al vertice“ tradisce una visione verticistica del “movimento” che è, ripeto, un incontro tra identità (cittadini, gruppi locali, associazioni) che agiscono dialetticamente in una dimensione molecolare (e non orizzontale: definizione vuota che appartiene alla retorica del politicismo “di base” e, un po’, anche alla simbologia necrologica). Dopodiché, se essere berlusconiano significa rinunciare a lavorare con soggetti che avevano deciso, unilateralmente e senza alcuna legittimazione democratica, di esser diventati i leader del popolo viola e allora sono berlusconiano. Per quanto riguarda alcuni gruppi locali che fanno campagna contro il 27 febbraio meglio di me possono spiegare le contestazioni che a questi gruppi arrivano dai cittadini nei confronti delle loro scelte (vedere per esempio commenti al comunicato stampa pubblicato su questo blog: http://www.popoloviola.bs.it/?p=11). Questo ci insegna che la prospettiva va capovolta e che i gruppi locali devono essere strumenti operativi al servizio dei cittadini e non viceversa.

Affrontare e protestare contro un Governo nazionale non è cosa da poco. Sicuramente in Italia è più facile che in altri paesi, per esempio in Iran, dove un movimento partito dal basso, e che si rifà anch’esso ad un colore come simbolo, deve affrontare pesanti censure e ritorsioni. Il controllo mediatico in Italia è forse l’ostacolo più ostico. Sono in programma altri eventi oltre alla manifestazione contro il legittimo impedimento? Come farete a comunicare le vostre ragioni se 5 televisioni su 6 non mandano in onda nemmeno i vostri presidi fuori da Montecitorio?

I prossimi eventi cui parteciperemo sono lo sciopero dei migranti del 1° marzo, il No Razzismo Day del 6 marzo e il No Mafia Day del 13 marzo. Continueremo a comunicare le nostre ragioni principalmente attraverso la Rete.

Il vostro obiettivo è far cadere il Governo Berlusconi, ma a molti sorge spontaneo il dubbio che i tempi non siano maturi. Esiste a suo modo di vedere un’alternativa? Non si rischia di creare i presupposti per un vuoto di potere, qualora un inconcludente Pd fosse chiamato a governare? Avete valutato l’idea di fare una manifestazione contro l’incapacità di un gruppo politico che, anche per la votazione sullo scudo fiscale, era “altrove”?

L’opposizione in Italia ha dimostrato la sua totale inadeguatezza ad affrontare questa delicata fase politica ma altrettanta inadeguatezza ha dimostrato quando ha avuto l’onere di governare il Paese. Penso che il problema risieda innanzitutto nella sclerotizzazione dei gruppi dirigenti, nella loro incapacità programmatica, nella vocazione tatticistica, e nella volontà auto-conservativa delle élites. Non hanno saputo e non sapranno raccogliere la sfida di un modello radicalmente alternativo a quello imposto dal berlusconismo. In altre parole, siamo ancora al We Can’t della politica italiana.

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