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Pomigliano e la questione del lavoro

Il lavoro, come noi lo abbiamo conosciuto nel secolo scorso, sta finendo. Ma nessuno sembra rendersene conto.

Dopo il mancato plebiscito richiesto dalla Fiat ai "ricattati" lavoratori campani vale la pena interrogarsi sulle prospettive dell’occupazione in Italia anche e soprattutto perchè nella discussione che ha coinvolto le parti una notevole importanza ha avuto la questione globalizzazione. Marchionne, infatti, ha usato un forte argomento, ripreso dai sostenitori del si in ogni discussione di merito, secondo il quale la lista dei paesi pronta all’accordo sarebbe così lunga da tagliare la testa al toro (qualunque discussione di merito). Lasciamo stare le valutazioni sulla vicenda anche perché il gioco è fatto e quel che mi (ci spero) interessa è quel che sta sotto alla vicenda e che, molto probabilmente, vedremo riapparire spesso nel prossimo futuro. E’ notizia di qualche giorno fa che la Whirlpool, nota fabbrica americana di frigoriferi, ha chiuso il suo storico stabilimento nell’Indiana per spostarlo nel Messico con questo piccolo ma dirimente argomento: "Perché pagare 18 dollari l’ora ai dipendenti americani quando in Messico il costo per lo stesso lavoro è di 4 dollari l’ora?". Non sono, dunque, queste storie appannaggio, soltanto, di questo sventurato paese ma sono all’ordine del giorno nei paesi ricchi e non risparmiano nessuno.
 
Dunque, la discussione che abbiamo vissuto su Pomigliano appare datata, un po’ provinciale perché da più parti si è giocato a carte truccate. I lavoratori italiani possono accettare sacrifici notevoli, come quelli richiesti dalla Fiat, ma non credo possano accettare salari paragonabili a quelli dei cinesi, dei messicani, degli indiani o anche dei polacchi perché, col costo della vita italiano, ciò significherebbe ridurli a poco più che schiavi, moderni ma schiavi. Dunque oggi la Fiat cerca di imitare i tedeschi, che lavorano su esportazioni di qualità, ma entro qualche anno ciò potrebbe non bastare anzi, sicuramente non basterà e, dunque, vale la pena di andare oltre cercando di ragionare sulle tendenze di fondo del lavoro nell’epoca della globalizzazione. Estremizzo il mio pensiero per non lasciare adito ad equivoci e chiarire la tendenza che mi sembra di vedere nello sviluppo delle cose. Sono convinto che il lavoro, per come lo abbiamo conosciuto nei lunghi anni del fordismo e del secolo passato, sta per FINIRE. Naturalmente come tutti i processi di grandissime dimensioni, ciò non accadrà in un giorno, un anno, insomma in un periodo breve ma è la tendenza che mi interessa. In un mondo piatto come è quello che viviamo la produzione dei beni di consumo fatalmente si sposta dove i fattori produttivi costano di meno ma, ed è questa la cosa più importante, la produttività delle imprese si realizza attraverso un uso sempre più esteso della tecnologia ed una riduzione dell’occupazione. La tendenza generale che viviamo è automatizzare sempre di più comportamenti umani, attività umane, ottenendo maggiore efficienza e minore occupazione. Possiamo lamentarci quanto vogliamo ma così è e così sarà ogni anno di più. Ecco perché mi sono permesso di dire che il lavoro sta finendo.
C’è un futurologo americano Jim Carroll che alla fine del 2009 ha messo in rete un pdf che merita la nostra attenzione. Carrol è consulente di molte multinazionali ed agenzie governative ed è, anche, molto stimato nell’ambiente Open Source che mi onoro di frequentare. 

Il punto centrale del suo ragionamento sulle tendenze dell’occupazione è: "A huge amount of expertise is walking out of the door as baby boomers begin to retire. In 2010, 3 people will leave the economy for every new person that enters; by 2012, 4; by 2016, 6". Traduco per i quattro in difficoltà: "Una grossa massa di competenza sta uscendo dalla porta mentre i baby boomers iniziano a ritirarsi. Nel 2010, 3 persone lasceranno l’economia per ogni nuova persona che entra; dal 2012, 4; dal 2016, 6". I baby boomers essendo la generazione che va dal 1945 al 1964 e che progressivamente sta andando in pensione. Se questa è la trasformazione che sta subendo la nostra economia è evidente che il problema produttivo si sta trasformando in problema ridistributivo. Detto in altre parole nella fase in cui le esigenze delle imprese non si sposano più con l’interesse generale bisogna trovare un modo attraverso il quale si difende il reddito senza proporre, però, soluzioni anacronistiche. Ma questa è un’altra nota. Mi basta considerare che qui da noi si va ignari, come il pazzo dei tarocchi, verso il burrone.

Commenti all'articolo

  • Di aalessandro (---.---.---.10) 11 settembre 2010 22:53
    alessandro tantussi

    Ned Ludd. Sebbene l’effettiva esistenza di questo personaggio inglese non sia neppure provata, resta il fatto che esso divenne l’emblema del proletariato per un episodio che sarebbe avvenuto nel 1779 e cioè la distruzione da lui compiuta di un telaio meccanico in uno scatto d’ira. Vera o leggendaria che sia la figura di Ludd, ad essa si ispirò, e da essa prese nome, la protesta conosciuta come Luddismo. Questo movimento, che per la verità sorse verso il 1811-1812, vide protagonisti operai e lavoratori a domicilio. Ritenendo di attribuire la colpa della loro povertà allo sviluppo industriale, decisero di colpire gli impianti e le macchine, considerati la causa della disoccupazione e dei bassi salari. La storia ha dimostrato che sbagliava.

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