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Perché prendersela con la Digos?

Appena caduto il fascismo, l’Italia mussoliniana si intreccia con quella antifascista. La formazione tecnica della polizia finisce in mano a Guido Leto, ex capo dell’OVRA, i magistrati che avevano inflitto secoli di galera e confino agli oppositori non sono epurati, ci teniamo il codice Rocco, i docenti fascisti, persino gli sciagurati del Manifesto della razza e in attesa di libri repubblicani “impariamo la storia” dai testi sui quali studiavano i giovani borghesi negli anni di Gentile.

Non basta. Mentre il personale politico del regime conserva lavoro, stipendio e ruolo sociale – Gaetano Azzariti, ex numero uno del tribunale della razza, giunge alla Corte Costituzionale, prima come giudice, poi come presidente – i partigiani affollano carceri e manicomi e si giunse al punto che i Tribunali della “Repubblica antifascista” assolvono Anfuso, mandante dell’omicidio Rosselli, che, si dice, hanno agito contro lo Stato italiano e le pugnalate francesi sono andati a cercarsele. Quanto a noi ragazzi, per poco non ci parlarono di Matteotti come di un aspirante suicida.

A fare da contraltare a quella miserabile restaurazione pensò per anni un libro curato da Ernesto Rossi e pubblicato da Einaudi nel 1957. Intitolato No al fascismo – le parole che giorni fa hanno indotto la Digos a identificare un cittadino che le aveva utilizzate alla Scala di Milano – il libro colmava i vuoti di una storiografia che non riusciva a stare al passo coi tempi, raccogliendo alcuni scritti, sui quali si formò una generazione di democratici: Ernesto Rossi, L’Italia Libera, Enzo Tagliacozzo, L’evasione di Filippo Turati, Ernesto Rossi, Fuga dal treno, Massimo Salvadori, Il sacrificio di Lauro De Bosis, Carlo Rosselli, Partenza per il fronte, Gaetano Salvemini, L’assassinio dei Rosselli, Egidio Reale, Il volo su Milano, Aldo Garosci, L’attentato di Bruxelles, Umberto Calosso, La battaglia di Monte Pelato, Alberto Tranchiani, L’impresa di Lipari, Manlio Magini, Il processo degli intellettuali.
Pensare che alla Scala la Digos dovesse rendersene conto significa pretendere l’impossibile dalle forze dell’Ordine. Chi, negli anni di delirante parificazione che viviamo, ha mai pensato di spiegare ai solerti funzionari della Polizia Politica che identificare qualcuno per un “No al Fascismo”, vuol dire aprire fascicoli sui padri della nostra Costituzione e sulla prima, felice idea di federalismo europeo? La Digos non sa di che si parla.

Diverso il discorso per gli “intellettuali” che passa il convento, ai quali è giusto chiedere di tacere, piuttosto che mostrare il ruolo di sputasentenze privi di conoscenze assunto nel pieno di una grave crisi della democrazia. Sentire Carofiglio ridicolizzare chi denuncia la svolta autoritaria che si realizza nel Paese è a dir poco sconfortante. La Digos non fa opinione e non pretende di essere colta, ma l’esercito dei “liberali – Travaglio, Serra, Mieli – dovrebbe sapere che avallare operazioni di polizia volte contro chi torna indignato al vecchio e nobile “No al Fascismo”, significa ignorare chi sia stato e per molti aspetti continui a essere moralmente Ernesto Rossi, autore con Altiero Spinelli del Manifesto di Ventotene e tra i più convinti esponenti del federalismo europeo.

A chi occupa gli spazi di informazione non è consentito ignorare o trattare con arrogante distacco Enzo Tagliacozzo, uomo di spicco del primo antifascismo e biografo di Gaetano Salvemini, Massimo Salvadori, antifascista, azionista, perseguitato politico, fratello di Joice Lussu, partigiana e poetessa, che in gioventù ho avuto l’onore di conoscere, Carlo Rosselli, fondatore di Giustizia e Libertà, comandante dei primi volontari antifascisti in Spagna, barbaramente ucciso col fratello in Francia da assassini pagati dai fascisti. Egidio Reale, antifascista, fuoruscito, leader della resistenza e diplomatico italiano; Aldo Garosci, che respirò l’aria della Torino operaia negli anni di Gramsci e Gobetti, fu tra i fondatori di Giustizia e Libertà, esule politico, combattente ferito nella guerra di Spagna e partigiano a Roma, Umberto Calosso, che frequentò Gramsci e Rosselli, fu in Spagna e partecipò alla Resistenza, Alberto Tranchiani, antifascista e fuoruscito, nel 1929 organizzò la fuga dal confino di Lipari di Carlo Rosselli, Emilio Lussu e Francesco Fausto Nitti, Manlio Mangini, antifascista militante dopo la campagna di Russia, confinato a Tito nel Potentino, dove incontrò Marisa Tulli, la più giovane confinata d’Italia, poi compagna di tutta la vita, fu infine, catturato dalle SS e finì a Mauthausen e Gunskirchen.

Carofiglio si ferma a uno staccio di commento giuridico – un sapere fondato sul Codice Rocco – afferma che la Digos è in regola e nemmeno per un attimo azzarda la proposta: cambiamo la regola. Chiacchiera, ma incredibilmente non sa che prima della tragedia finale, l’ultima opposizione al regime si espresse nei teatri, dove giovani repubblicani urlarono, allora come oggi, “NO al Fascismo”. Poco dopo la libertà morì nel silenzio.  

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