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Perché l’elezione di Cota sarà annullata (ma forse troppo tardi)

Termometro Politico ha seguito la vicenda dei ricorsi sulle elezioni regionali piemontesi fin dal primo giorno. Abbiamo cercato di fornire ai nostri lettori tutte le informazioni e qualche retroscena. Non abbiamo risparmiato neppure i pronostici. Fin dal primo articolo dedicato all’argomento, avevamo messo in luce come il ricorso contro la lista di Michele Giovine (Pensionati per Cota) fosse certamente da considerarsi il più fondato e, di conseguenza, quello con maggiori possibilità di successo, capace di minacciare la vittoria di Roberto Cota. Questa era l’opinione condivisa dalla maggior parte dei legali e delle parti coinvolte nella vicenda. Le sentenze del TAR Piemonte non hanno smentito questa previsione, ma hanno contribuito a spostare l’attenzione dell’opinione pubblica su di un altra lista: quella di Deodato Schanderebech. La decisione con cui è stata ritenuta illegittima la sua presentazione ha colto tutti di sorpresa: si riteneva infatti che il ricorso sarebbe stato respinto. Precisione corretta: solo pochi mesi più tardi, il Consiglio di Stato, pronunciandosi definitivamente in grado d’appello, ha respinto il ricorso, ribaltando la decisione del TAR.

Da quel momento, l’attenzione dei media nei confronti della vicenda è crollata. Roberto Cota e l’attuale maggioranza in Consiglio regionale hanno lasciato indendere – non sappiamo quanto consapevolmente – che la partita fosse chiusa. La stessa Mercedes Bresso ha dato l’impressione di voler abbandonare il campo, rassegnandosi alla vittoria dell’avversario della Lega. Ma, dietro le quinte, la battaglia non è affatto terminata.

Anzi: essa è proseguita con rinnovato slancio proprio sul ricorso contro la lista Pensionati per Cota, alla quale si rivolgeva l’accusa più grave: essere stata presentata con l’ausilio di firme false. Come abbiamo già avuto modo di spiegare ai lettori, la vicenda ha del paradossale. Fin dall’inizio, da quando la Procura di Torino ha presentato le proprie perizie relative alla falsità delle firme, è apparso chiaro che le accuse di falso nei confronti di Michele Giovine e altri fossero fondate. Ne conseguiva che la lista presentata alle elezioni regionali, che aveva raccolto all’incirca 27.000 voti, determinanti per la vittoria di Roberto Cota, non avrebbe mai dovuto essere ammessa alla competizione. Tuttavia, il Tribunale Amministrativo, chiamato a pronunciarsi sulla legittimità del voto, non poteva, in virtù di una legge anacronistica, accertare direttamente la falsità o meno delle firme. Possibilità, questa, riconosciuta soltanto al tribunale ordinario, civile o penale.

Il relativo giudizio è stato pertanto sospeso dal TAR e i ricorrenti hanno iniziato, avanti al Tribunale civile, il lungo procedimento volto a far accertare la falsità delle firme, per poi riprendere il giudizio avanti al Tribunale Amministrativo e ottenere l’auspicato annullamento delle elezioni. Considerati i tempi dei tre gradi di giudizio, la decisione definitiva arriverà presumibilmente non prima del 2012-2013.

Contemporaneamente, il processo penale nei confronti di Michele Giovine è iniziato e si è concluso in primo grado, pochi giorni fa, con la sua condanna. Il giudice penale, accertando la commissione del reato, ha così accertato la falsità delle firme. Tuttavia, la sentenza, che ha condannato Giovine a due anni e otto mesi di reclusione e all’interdizione dai pubblici uffici (impossibilità, fra l’altro, di ricoprire incarichi elettivi) potrà essere appellata e poi fatta oggetto di ricorso in Cassazione: anche in questo caso, la sentenza definitiva rischia di non arrivare prima di alcuni anni. Essa potrà essere utilizzata dal TAR per decidere sulla legittimità del voto ma, appunto, non prima di essere divenuta definitiva.

I ricorrenti, consapevoli dei tempi lunghi che entrambe le strade avrebbero comportato, hanno quindi deciso di tentare, in parallelo, una diversa soluzione. Impugnando al Consiglio di Stato la sospensione del processo disposta dal TAR hanno chiesto di sollevare questione di legittimità costituzionale della norma che impedisce al Tribunale Amministrativo di pronunciarsi direttamente sulla falsità delle firme. Il Consiglio di Stato ha sposato la posizione dei ricorrenti e sollevato la questione di costituzionalità. I supremi giudici amministrativi hanno infatti osservato che la necessità di attendere un giudicato civile o penale prima di pronunciarsi sulla legittimità del voto rischia di vanificare i ricorsi: la sentenza potrebbe infatti giungere dopo la conclusione della legislatura o del mandato elettorale dei candidati di cui si contesta l’elezione.

Al momento, è quindi in atto una corsa a tre. Posto che la falsità delle firme è pressoché indiscutibile, fin dall’inizio della vicenda, arriverà ad accertarla per prima la sentenza definitiva del giudice penale o quella del giudice civile? O forse arriverà prima la sentenza della Corte Costituzionale (l’udienza è prevista per il 4 ottobre prossimo) che, aderendo alla posizione del Consiglio di Stato, consentirà al TAR Piemonte di pronunciarsi sulla falsità delle firme?

Nessuna delle prime due ipotesi potrà realizzarsi, verosimilmente, prima di uno, due anni. Ma l’esito sembra scontato: in qualche momento, tra il 2012 e il 2013 (o molto prima: l’autunno prossimo in caso di decisione favorevole della Consulta), il giudice amministrativo avrà tutti gli elementi per decidere sull’ammissione della lista di Michele Giovine alle elezioni regionali piemontesi. Se le firme sono false, la lista dovrà essere esclusa. Con la sua esclusione, Roberto Cota verrà quasi certamente privato dei 27.000 voti ricevuti mediante la lista (il TAR Piemonte ha già deciso in questo senso riguardo alla lista Scanderebech e il Consiglio di Stato non ha cassato la decisione sul punto). Senza quei 27.000 voti, la vittoria sarebbe andata a Mercedes Bresso ed alla coalizione di centrosinistra: sarà quindi inevitabile annullare il voto e ripetere le elezioni.

Le incognite e le variabili sono molte: più di quante possano essere qui analizzate. La decisione potrebbe arrivare troppo tardi, nell’imminenza o addirittura dopo le prossime elezioni regionali. Ma è evidente che, dopo la condanna in primo grado di Giovine, il rischio di una conclusione anticipata della legislatura si fa più concreto. Se questo fosse l’esito della vicenda, risulterà doverosa una riflessione: il Piemonte sarà stato governato per anni da una Giunta abusiva. E la giustizia non sarà stata in grado di porre rimedio.

di Andrea Carapellucci

Commenti all'articolo

  • Di paolo (---.---.---.4) 4 luglio 2011 09:56

    Ma Roberto Cota ,in virtù della sentenza di primo grado a carico di Michele Giovine e visto che la materia è puramente accertativa (firme false) , non dovrebbe sentire il dovere morale e politico di dimettersi ?


    Ma perchè in Germania si dimettono per avere scopiazzato una tesi di laurea e qui neanche se li ammazzi ? 
  • Di Damiano Mazzotti (---.---.---.157) 4 luglio 2011 16:20
    Damiano Mazzotti

    Basterebbe renderli invisibili... Non guardiamoli più e non salutiamoli più certi personaggi quando li troviamo in giro.... facciamoli sentire per quello che sono... delle nullità...

  • Di (---.---.---.252) 4 luglio 2011 16:59

    Questi politici non si dimettono neanche di fronte all’evidenza.Visto che il capo in testa resiste a tutto pur di non mollare la carica e poi è sempre possibile che possano cambiare in parte la legge.Non si vergognano di nulla. Aspettare l’esito di processi lunghi e defaticanti equivale ad occupare abusivamente una carica che non corrisponde al volere degli elettori. La base padana viene sempre evocata per poi fare solo quello che interessa ai dirigenti leghisti e il popolo padano è meglio che stia zitto e non abbia le dovute informazioni per decidere con la propria testa.

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