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Perché ai giornali interessano «le canne della Camusso»

Il leader Cgil si faceva le canne al liceo? Il Giornale ci apre: «Disoccupati & spinelli», Libero ne fa un graffio di prima pagina: «Le canne della Camusso.» Repubblica ci titola pagina 7: «La confessione della Camusso: ‘Canne? Al liceo, poi ho smesso’». Il Corriere e il Fatto ne parlano a pagina 2 in un riquadro: «La leader Cgil: fumai spinelli mentre frequentavo il liceo», il primo; «Camusso: amori, scioperi (e canne)», il secondo. Avvenire riassume il tutto in poche righe a pagina 7 in un box intitolato «la confidenza»: «qualche canna da ragazza». 

E sul web si contano almeno 170 articoli. Ora, tanta attenzione dei media per un fatto così profondamente irrilevante per la vita pubblica e l’attualità del Paese merita una riflessione. I giornali avranno preso la dichiarazione di Camusso a Un giorno da pecora come spunto per affrontare la questione più ampia del consumo di droghe ‘leggere’ e la sua correlazione con quelle ‘pesanti’? No, neanche una riga in proposito. L’unico commento è quello che accompagna l’apertura del Giornale, a firma Paolo Guzzanti. Dove peraltro l’ex berlusconiano e anti-berlusconiano scrive: «Ammettere di essersi fatta le canne in adolescenza è in fondo una cosa da poco». Singolare, allora, lo faccia a corredo di un titolo di prima pagina: chissà se al Giornale leggono il Giornale (e che fine hanno le critiche ai ‘moralisti’ dell’era berlusconiana?). E’ gossip? Allora non si capisce perché dovrebbe stare alla voce «Economia e politica» (Repubblica) o «Primo piano» (Corriere).

I cinici diranno: è un modo per mettere in dubbio la credibilità della sindacalista. Per screditarla. Se lo fosse, sarebbe squadrismo mediatico. Ma se per alcune testate l’ipotesi ha – per così dire – una certa fondatezza, io non credo basti a spiegare una copertura tanto ampia, e non ne esaurisca le ragioni. Temo che sia semplicemente il riflesso condizionato di un certo giornalismo, da troppo tempo incapace di sbattere la porta in faccia alla morbosità dei lettori almeno per sezioni che trattano temi serissimi, come – in questo caso – la trattativa per riformare il lavoro. E da troppo tempo abituato a camuffare ipocrisie e sensazionalismi con la scusa dell’ironia o un’alzata di spalle. Ecco, più che fango mi sembra l’ennesimo rigurgito di proibizionismo di un Paese che può fare tutto, ma non può e non deve ammetterlo. Se lo fa, non c’è etica professionale che tenga: si mette in pagina. 

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