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Per la Corte dei Conti insufficienti le infrastrutture

Dall'inizio degli anni ottanta le risorse che lo Stato italiano ha dedicato alle infrastrutture sono state più che dimezzate, passando dal 3,5% del Pil all'1,6% previsto per il 2014. Per quella data gli investimenti si saranno ridotti del 25% rispetto al 2009 per le amministrazioni pubbliche e quasi del 30% per le amministrazioni locali.

A lanciare l'allarme sul taglio delle risorse destinate alle infrastrutture e le possibili ricadute sulla crescita è la Corte dei conti, che mette in evidenza come, nel confronto con l'Europa, a fare la differenza sia soprattutto il Sud. La magistratura contabile, nell'ultimo rendiconto generale dello Stato, evidenzia quindi come il taglio previsto per il settore “palesa un orientamento contraddittorio con gli impegni programmatici di natura strutturale (ribaditi nel piano nazionale di riforma e nel piano per il sud) volti al rilancio e all'accelerazione delle infrastrutture e delle opere pubbliche”. Presenta quindi due problemi, di difficile soluzione. Da una parte osserva che senza la riduzione della spesa in conto capitale il taglio della spesa primaria avrebbe delle dimensioni di “difficile sostenibilità” (intorno al 7% al 2014). Dall'altro lato, però, “se la quota degli investimenti pubblici sul prodotto è sacrificata e indirizzata lungo un percorso di forte contrazione, si allontanano le prospettive di sviluppo economico, di aumento dell'occupazione e di riduzione dei divari regionali”. Altra riflessione che la Corte dei conti invita a fare riguarda “l'ampio e crescente divario” della dotazione infrastrutturale del Mezzogiorno rispetto al resto del paese. Un divario che pregiudica la ripresa economica “in una fase nella quale il recupero di tassi di crescita più elevati costituisce l'obiettivo prioritario della politica economica”.

Il nostro Paese che agli inizi dello scorso decennio “era sostanzialmente allineato ai valori medi dell'area euro, si colloca attualmente su un livello più basso esclusivamente per effetto della drastica flessione degli investimenti pubblici” registrata lo scorso anno. Una flessione che si accentua nelle proiezioni del Def (Documento economico finanziario), nel quale gli investimenti pubblici scenderanno di oltre il 30% rispetto alla media Ue. Considerando inoltre la capacità “assai inferiore” di tradurre l'impegno di risorse finanziarie in maggiori dotazioni infrastrutturali, allora lo scenario prospettato dal Def “suscita allarme”. Se da una parte le risorse destinate dall'Italia al sistema infrastrutturale sono in linea con il resto dell'Europa, dall'altra il paese è in ritardo rispetto agli altri big. “Negli ultimi due decenni non sono emersi segnali evidenti di un rapporto causa/effetto tra esiguità di risorse finanziare pubbliche e ritardo infrastrutturale rispetto agli altri paesi europei”. Il livello di spesa pubblica in conto capitale “non si discosta significativamente da quello prevalente altrove”. Tuttavia il divario infrastrutturale “tende ad ampliarsi”. Alla base del ritardo vi sono “ostacoli e inefficienze che non ritroviamo nelle esperienze degli altri Paesi europei” dovuti a diversi fattori, come l'assenza di una valutazione sistematica dei costi e benefici dei progetti, la frammentarietà delle fonti di finanziamento, la frequenza di ampi scostamenti tra preventivi e costi di realizzazione, l'inadeguatezza delle procedura di affidamento dei lavori.

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